La foto mi colpisce se io la tolgo dal suo solito
bla-bla: tecnica, realtà, reportage, arte, ecc.
Non dire niente, chiudere gli occhi, lasciare che il
particolare risalga da solo alla coscienza affettiva.
Roland Barthes
Claudia Balzani. Non ho intenzione di annoiarvi malamente commentando le fotografie dei vostri quotidiani, non ho intenzione di citare eventi storici di cui avete le orecchie e gli occhi pieni.
Non ne ho intenzione ma lo farò.
![Immaginaria Raffaello,_pala_baglioni,_deposizione IMMAGIN[aria]: breve storia del mio adattamento all’orrore fotografico del quotidiano](http://m2.paperblog.com/i/139/1390107/immaginaria-breve-storia-del-mio-adattamento--L-DeYiDY.jpeg)
È un’immagine che parla direttamente al nostro inconscio e crea una sorta di “tuttialriparo” immediato: quello che mi accade nell’immediato, dopo una visione di questo tipo, è una ricerca disperata, mi scopro a rovistare tra gli scatoloni, rovescio le buste ed i quaderni, apro i cassetti e le ante degli armadi, sbuffo tra la polvere.
Devo forzatamente trovare qualcosa che mi renda questa visione accettabile. Ricordo nitide le pagine scritte da Susan Sontag riguardo alla prima visione delle fotografie-testimonianza dell’Olocausto: la sua vita sarebbe cambiata per sempre.
Molte immagini hanno cambiato la mia vita: le prime immagini pornografiche nascoste sotto le riviste di gossip dal giornalaio di fiducia, le immagini dei libri di storia sfogliate durante le spiegazioni dell’insegnante, i viaggi della memoria ed il Museo Cervi, i telegiornali ed i quotidiani degli anni di piombo, senza tanti vezzi e pudicizie, le fotografie di guerra e i reportage dell’estrema povertà, i malati di Aids di Nan Goldin. Ciò che ho guadagnato col tempo è un adattamento ed un allenamento della visione: quella t-shirt bianca, quel drappo cinereo, le braccia tese ed il gesto del trasporto segnano il culmine della tensione e dell’incertezza, il dramma si svolge e prosegue mentre l’immagine diventa già statica, prelevata dal flusso come fosse un pesce estratto dal fiume.
Se la fotografia vuole essere un messaggio, ciò che mi dice è duplice e impenetrabile, nonostante questa immagine mi faccia credere di favorirmi nella comprensione, quello che veramente accade è una coscienza estetica ed un distacco emotivo. “Ma le fotografie non spiegano: constatano.”[1] Non so nulla di questa fotografia trasmessa a tutti i media internazionali, questa immagine non sintetizza unicamente la tensione mediorientale e la violenza che ne è alla base, ma ha anche una somiglianza inconscia con Il trasporto del Cristo morto di Raffaello. Il corpo centrale della pala d’altare è di forte impatto drammatico, ed il tema stesso lo è, questo pathos prende vita nello sforzo fisico del trasporto di un corpo pesante e profondamente carnale e terreno. Ho paura delle fotografie perché hanno, alla pari dei quadri, una composizione seducente, tanto – e a mio malgrado – da essere capaci di abbellire ogni cosa. Anche il terrore puro e le sue gesta.
[1] S. Sontag, Sulla fotografia, 2004, Piccola Biblioteca Einaudi, p.98.






