Anna Lombroso per il Simplicissimus
Si sa che il più delle volte quella di presidente finisce per essere una carica onorifica, che comporta più fregi e più onori che oneri e poteri, un po’ come quella di ministro degli esteri europeo “concessa” alla Mogherini. In modo che il “nominato” si compiaccia di passare in rassegna la guardia impennacchiata, di tagliare nastri e tenere sproloqui pomposi e prolusioni solenni, di baciare le bandiere stellate, mentre sono altri a decidere e comandare, col suo tacito e soddisfatto consenso.
Deve essere successo così con il semestre di presidenza italiana, trascorso senza lasciare un’impronta, passato senza che il vitellone burbanzoso osasse sollevare un’obiezione o una richiesta, senza che mostrasse un’iniziativa autonoma o un pensiero, nemmeno su twitter, che si discostasse dall’ideologia dei padroni che ci hanno commissariato e che lo manovrano come un pupazzo.
Oggi, conclusa la sgargiante esperienza, fa la mossa di protestare, tanto non ci rimette nulla a sporgere rituali reclami a un’entità sorda e muta, a un convitato di pietra, algido e distante. Ma è una finta, come quella dei pugili che si sono venduti l’esito dell’incontro: “ Il problema non è Mare Nostrum o Triton. Si può chiedere all’Europa di fare di più e domani lo farò, ma il punto politico è risolvere la situazione in Libia”.
Se non ci fossero di mezzo tanti morti e tanti altri ancora condannati a morte dalla guerra, dalla fame, dalla paura, ci sarebbe da ridere per l’abuso di menzogna, per la reiterata e sfacciata abiura dalle responsabilità, per l’evidente disinformazione, tutte impiegate per rinnovare servilismo, sottomissione e cortigianeria ai Grandi, quelli dei patti con Gheddafi e dei tradimenti del Rais, dell’intermittente sostegno e altrettanto alternato contrasto a despoti e tiranni, di volta in volta amici e nemici, finanziatori e finanziati, corrotti e corruttori. Quelli che parlano di Libia, per non dire che si tratta di un sito di raccolta, uno snodo della fuga di profughi e disperati che provengono dalle geografie della guerra, della sete, delle incursioni dei mercenari, dai territori da bottino dei predoni occidentali che sfruttano risorse e popoli, dal Sudan, dal Niger, dal Mali, da gran parte dei paesi del Centro Africa, per cadere nelle mani di più di 500 bande organizzate e controllate da mafie locali e internazionali che hanno scoperto i profitti del nuovo schiavismo.
Possiamo già immaginare la risposta dell’Europa, lo sciorinare borioso ed altezzoso di raccomandazioni, inviti ed esortazioni che in sostanza vogliono dire quello che Renzi dice a noi, disoccupati, precari, malati, pensionati, insegnanti, infermieri, ogni giorno: sono cazzi vostri. E mi dolgo di ricorrere al turpiloquio, ma è proprio così. La pratica infame degli annunci e delle promesse subito smentite il ragazzotto di Rignano l’ha mutuata dalla matrigna cattiva, da partner più forti che hanno fatto i conti con il loro passato coloniale, integrando le vittime di un tempo diventate ospiti sgraditi ma utili, quando non c’erano esodi, quando non erano scoppiate primavere benedette o maledette, quando non c’era una crisi a nutrire diffidenza, egoismo, xenofobia estrema, quando le trattative si facevano con le valigie piene di dollari, a tu per tu con interlocutori bene identificati, fossero pure tiranni sanguinari e despoti feroci, con armi, trivelle, navi cariche di veleni, in cambio di ricchezze, beni di popolo, risorse derubate alla gente affamata.
Si sono affari nostri, come ha dimostrato quel prodotto propagandistico chiamato Triton, il suo carattere a malapena simbolico, grazie al fatto che se ne sapeva poco, e che esercitava funzioni di polizia di frontiera, spietato come quasi sempre sono quelle burocratiche ed amministrative, tanto che il direttore di Frontex scriveva all’Italia, cialtrona ma di criticabile “buon cuore”, per denunciare i ripetuti interventi fuori area dei mezzi italiani, in particolare della guardia costiera, ammonendo che le azioni di soccorso “in zone poste fuori dall’area operativa di Triton non sono coerenti con il piano operativo e purtroppo non saranno prese in considerazione in futuro”.
Sono affari nostri, invitati silenziosamente ad approfittare delle nuove povertà per legittimare respingimenti, indifferenza e per dare veste giuridica al razzismo, all’esclusione in modo da accontentare gli straccioni indigeni cui si è tolto tutto, lavoro, diritti, garanzie, sicurezza, lasciando loro disumanità, discriminazione, risentimento.
Stamattina gli habitué dei talkshow ribadivano senza vergogna: assistenza e aiuto vanno bene, ma il nostro dovere è assicurarli prima di tutto agli italiani. Come se uno Stato ridotto a espressione letteraria, munto e smunto a beneficio di pochi, immiserito da corruzione e evasione endemica, piegato da patti scellerati stretti con le troike, persa ormai sovranità e democrazia, stesse davvero garantendo almeno lo stretto necessario ai suoi cittadini, come se non pesasse su di noi profetica e tragica la minaccia di un destino analogo a quello degli stranieri, come è successo in passato e abbiamo rimosso. Come se immigrati, rifugiati e italiani non avessero pari diritto a quella “vita minima”, assistenza sanitaria, spazio naturale, anche se un gradino più sotto della cittadinanza. Come se non fossimo fratelli nello sfruttamento, nella riduzione a merce, nel disconoscimento della propria identità di cittadini e di uomini, come se non fosse dimostrato che quelli venuti da fuori e ancora più indifesi sono oggetto di speculazione ancora più abietta perfino dalle organizzazioni sedicentemente “sociali”, come se non fosse giunto, civile e necessario comprendere le ragioni di giovani della Tunisia, della Siria, dello Yemen, dell’Egitto legittimamente determinati a vivere un futuro diverso da quello che si credeva essere già stato scritto, proprio come lo vogliono vivere i nostri figli, presto costretti a percorrere strade del mondo lontani da casa, come lo vuole vivere chi è incollerito perché c’è chi detiene ricchezze, gestisce risorse e beni comuni come fossero provati, impedisce l’equa ripartizione per appagare una insaziabile avidità.
E come se non fosse fallito il paradigma “più sviluppo per meno migrazione” e addirittura quello della “migliore migrazione per più sviluppo” su cui ha scommesso l’Occidente dopo aver scoperto l’indispensabilità degli eserciti di lavoratori stranieri da far andare dove servono ai padroni. Sicché la crescita che resta è quella dell’ergere muri sempre più alti a difesa di una fortezza sempre più isolata, sempre più povera, sempre più vecchia e sempre più indifendibile, moralmente e legittimamente.