Magazine Diario personale

Imparare a dire NO

Da Giovanecarinaedisoccupata @NonnaSo

In uno dei miei film preferiti c’è questa scena (che sarebbe esilarante se non toccasse corde così profonde e dolenti dentro di me) in cui il protagonista, sinceramente preoccupato per la protagonista, decide di aiutarla ad imparare a dire  NO.

no

I due sono al bar, lui le dice “ti devi sforzare, facciamo delle prove, dai” e lei gli dice subito “si, dai”. BIP. Toppato.

Ci riprovano, lui le dice “mi servono dei soldi” e lei dice no. Lui le dice che gli servono davvero, e lei dice no mi spiace, lui insiste un po’ e lei sempre no, no no… si sorridono, lui le fa i complimenti.

Poi le dice “Va bene che brava che sei, hai imparato, posso bere un sorso del tuo drink?” E lei “ma si fai pure”

AHA! TOPPATISSIMO!

Ecco, sta poveraccia mi ricorda tanto me. Ma tanto tanto (tranne che io di lieti fini all’orizzonte ancora niente).

Ultimamente, ve lo devo dire, sto riflettendo tanto su questa cosa. Sull’imparare a dire no.

Tolto che, a parte i buoni propositi, ancora non è che stia avendo tanto successo con questo impegno.Cosa che non fa che rendere ancora più accaniti i miei pensieri sul “sinceramente, dovrei sforzarmi di fare qualcosa per questo problema che ho, ma sul serio”.. si perché nonostante tutto, nonostante che potremmo stare qui le ore a dirci che è colpa di chi ti chiede non tua che non dici di no, etc. etc. io tutta sta cosa la vivo come una mia colpa. Una mia incapacità di essere la stronza di turno e dire NO (Quando sarebbe doveroso farlo, non a caso, intendiamoci).

E quando sarebbe doveroso farlo? Facciamo alcuni esempi:

Ti chiamano per un colloquio (no, non è a questo punto che dici di no!!): ti ci presenti, cominciate a parlare, si prospettano le tue fantastiche opportunità.

Un lavoro saltuario, senza garanzia di continuità e senza un orizzonte temporale che vada oltre i 3 mesi (di prova, quindi non aspettarti grandi compensi, dobbiamo prima capire chi sei e come lavori). Un lavoro che occupi 25 ore al giorno del tuo tempo, lasciandoti incapace di occuparti di altro (ma che secondo e terzo lavoro! Neanche alla tua vita privata riuscirai a stare dietro! E rimanderai tutto a quando sarai dinuovo senza lavoro.. che problema c’è?).

Un lavoro per cui, udite udite, non c’è budget (oddio quante volte l’ho sentita questa? Tante che se mi capita di sentire qualcuno che invece dite che il budget c’è, lo guardo con sospetto, chiedendomi dove è la fregatura!) quindi: a. sarebbe meglio che tu lavorassi con partita IVA b. per il momento possiamo solo rimborsarti le spese.

E si perché capisci, prima bisogna trovare i clienti, portarli in casa con le tue fantastiche idee, CREARE il budget, e POI, ma poi poi, ci sarà possibile costruire un ufficio dedicato su tutta questa impalcatura.  Ufficio di cui tu (forse, se non ci saremo stancati e non troveremo un altro da pagare di meno di te, e se leccherai ben bene e lavorerai da schiavetto per i mesi a venire) avrai la splendida opportunità di fare parte!

Andiamo, non vuoi salire su questa barca e fare parte del progettone?

ho

La risposta è No. DEVE essere no. E per una serie di validi motivi:

  1. IO so già chi sono e come lavoro. Se voi, abili valutatori e recruiter, non siete capaci di capirlo a vostra volta non è e non deve essere un mio problema.
  2. Io non la apro la partita IVA per la splendida opportunità di lavorare con voi e fare ancora più la fame: va bene che i contributi si pagano in base al guadagno, e che quindi per la miseria che mi date ne pagherei anche pochi, ma metà di questi li dovrei pagare di tasca mia, perché APRIRE la partita IVA significa, il primo anno, accollarsi le spese doppie senza possibilità di rientrarne (mai, visto che il secondo anno si pagheranno in anticipo quelle del terzo e così via..) e francamente.. ne ho già abbastanza di mettere di tasca mia dal 15 del mese in poi per l’affitto e il mangiare, visto che i pochi spicci che guadagno con lavori saltuari, sussidi & co. mi permettono di scialare, oh, non sapete quanto.
  3. Ma come czz state messi? Che ottima qualità di lavoro credete di offrire ai vostri “potenziali clienti” con un team di “scampai de casa” (Come si dice dalle mie parti: scappati di casa, sinonimo di straccioni, poveracci, e perché no, precari) che se va bene fate lavorare 3 mesi su un progetto e poi avanti un altro -  a cui dovete rispiegare tutto quanto e ora che vi si mette in pari sono già passati altri 3 mesi – e che se vi va male lavora alla czz per quelle poche lire che gli date? Che garanzie di serietà potete dare, se voi per primi non siete seri con quelli con cui collaborate? E che garanzie vi possono dare dei clienti che, trovati in questo modo, si comporteranno sicuramente nella stessa maniera con voi, cannibalizzandovi per qualche mese e poi salutandovi per qualcuno che lavora a meno (e velo meritate, gente, ve lo meritate!)?

Mi sono stancata, capite, di dire sempre si.  Di essere sempre quella accomodante e che fa “il favorino”, in onore della vaga promessa che “se tu mi fai questo io te ne sarò riconoscente, in futuro”. Mi sono stancata di non riuscire a far percepire ai “clienti” il valore delle mie idee (quelle stesse idee che vengono elogiate e sfruttate, ma non pagate. Non il giusto, almeno, non sempre.)

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E mi sono anche stancata di quei “professionisti” o presunti tali che ti vengono a dire che il problema è tuo (lo è) perché non riesci a venderti bene (non come loro), non riesci a far percepire al cliente il valore della tua idea e il ritorno economico che ne conseguirà, e quindi non riesci a farti pagare, per questa tua geniale idea.

A sta gente vorrei ricordare che PRIMA i progetti vanno presentati e spiegati in ogni minima virgola e con enorme dispiego di diagrammi di flusso e paradigmi analitici, ma che la reale portata della loro efficacia si riesce (FORSE, ma non in tutti i casi) a misurare DOPO che essi sono stati realizzati. Ma tanto dopo.

E che in quel DOPO, che non si sa quando arriva e se mai arriva, intanto il cliente ha avuto ampia possibilità:

  1. Di plagiare il tuo lavoro: prendere le tue idee, cambiarle quel tanto che basta a renderle abbastanza oggettive da non poter dimostrare che si tratta del tuo lavoro (cambia qualche parola, l’immagine utilizzata, e la newsletter che gli avevi costruito e presentato se la realizza con il suo tool gratuito in house, la spedisce, e magari tu neanche lo sai e stai ancora li ad aspettare che ti dicano qualcosa su quello che gli hai presentato).
  2. Di fare orecchie da mercante, o l’uccel di bosco, o comunque e in ogni caso di NON pagarti per il tuo lavoro, accampando mille scuse dai “problemi insormontabili” ai fantomatici fornitori che a sua volta non lo pagano, e così via fino al fatidico momento in ccui, all’ennesimo sollecito su pagamenti arretrati di 6 mesi sbottano dandoti della “attaccata ai soldi” e tentando di farti sentire in colpa per la tua mancanza di flessibilità e comprensione. Intanto però lui non intacca il proprio patrimonio personale: gira ancora con la mercedes lunga da qua a la e tutti i weekend se ne esce in barca con gli amici o va alla casa al mare, in montagna etc. (e vabeh, ma è un suo diritto, no?)
  3. Di cercare qualcun altro che gli faccia il lavoro gratis: di gente disperata ce n’è in giro tanta e anche di gente stupida come te che si fa intenerire e/o abbindolare e “per questa volta” fa il favore)

non era possibile salvare capra e cavoli

Detto (o lamentato) tutto questo, a me ancora resta il dubbio su come fare, però. Come fare a farmi pagare le mie idee.. idealmente SENZA perdere un lavoro appena conquistato (o ancora da conquistare)… e mentre ci penso, mi sento tanto come il tizio che vorrebbe salvare capra e cavoli, ma senza la sua costanza e ingegno.

O come l’asino che voleva mangiare dai due covoni di fieno, e che finisce irrimediabilmente a pancia vuota.

asino

Si perché vedete, il fermo intento di “dire NO” fin dalla prossima volta è onorevole e santo… ma non so quanto sarò in grado di metterlo in atto. Perché sono perfettamente consapevole di non vivere, ahimè, in quel mondo perfetto che vorrei, in cui gente come me, o alla canna del gas più di me, trova la forza di dire no e rinunciare alle non fantastiche – ma realistiche – possibilità di avere un lavoretto, lavoraccio, lavorino – uno qualsiasi – e tirare avanti malamente per qualche mese ancora.

(e poi? Boh)

E tuttavia devo, devo, devo imparare a dire No, senza paura di offendere nessuno. Anzi, pensando che, se qualcuno mi sta chiedendo qualcosa a cui in tutta coscienza e cuore io mi sento di dover dire no, in realtà è quel qualcuno che sta offendendo me, la mia intelligenza, e la mia disponibilità.

Amen.


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