Nell’annoso e quasi noioso dibattito su tecnologia sì/tecnologia no, e cosa deve fare il bravo scrittore per non soccombere, resta nell’ombra questo. Deve badare a scrivere.
E la tecnologia potrebbe essergli di grande aiuto.
Non mi riferisco solo alla reti sociali, e alla necessità di esserci e soprattutto di saperle usare cum grano salis. La forza di un artista (e se uno scrive senza avere come obiettivo l’arte, non comprendo perché perda tempo con la scrittura, e non provi col commercio del rame), risiede nella sua testa, nel suo cuore.
È il talento (termine dal quale tutti rifuggono come se fosse un ordigno pronto a esplodere).
Se esiste qualcosa che mi lascia perplesso (non è vero: mi fa uscire dai gangheri), è incrociare autori che hanno una squallida prosa, e non fanno nulla per migliorarla. Perché devono scrivere.
È come se comprassi un violino e con l’archetto massacrassi le corde proclamando ai quattro venti che sto imparando. No: devo procurarmi un maestro.
Che io sia un asino credo sia agli atti ma a un certo punto, senza usare la Rete (a quei tempi non c’era), mi sono messo a leggere.
La Rete garantisce a tutti l’opportunità di imparare. Dopo vedremo cosa sai fare, ma adesso sarebbe bene che ti rassegnassi a procedere con ordine.
Al primo posto non c’è il tuo ego da soddisfare, la tua vita “mirabolante” da far conoscere, il successo da acchiappare. C’è la parola. Anche la Rete per diventare uno strumento utile, richiede che l’individuo impari a riconoscere le priorità. Al primo posto c’è il tuo tempo.
Qualunque sia la definizione migliore per “talento” non credo esista niente di meglio, di più vincente, dell’accoppiata Tempo&Parola. Il primo permette di apprendere meglio la seconda, perché quel tempo (superfluo spiegarlo), deve essere utilizzato per apprenderla al meglio. Non si tratta solo di leggere; su OS X esiste la funzione per far leggere del testo a una voce femminile o maschile.
È una questione di studio, di riflessione, di comprendere come i maestri (Carver, e via discorrendo) abbiano affrontato e vinto le sfide che la parola poneva loro. Ma non perché lì c’è il segreto, la ricetta per uscirne vincitori.
Una volta pensavo che fosse importante trasmettere il messaggio; nemmeno fossi stato un telegrafo. Adesso so che la parola è il messaggio; la cura per una prosa adatta, di valore, che indichi la bellezza nonostante racconti di falliti. Certo, qualcosa deve passare, deve fissarsi nella testa di chi legge, questo mi sembra evidente. Ma se il centro non è occupato dalla parola, se questa non trasmette una tensione verso l’arte, è semplice cronaca. Tanto vale leggere i quotidiani.
Quando perdi di vista l’arte, non resta molto in mano. Di fatto sei disarmato davanti a un mondo mercantile che balbetta di fronte a Michelangelo, a Flaubert.
Riesce però a metterti in difficoltà quando hai abdicato al tuo ruolo, e ti limiti a scrivere. A quel punto, l’unica condotta che si può adottare è l’impegno. Devi trasmettere messaggi perché solo così hai un ruolo, uno scopo, e sei utile.
Sei però utile al mondo mercantile. Ti sei adeguato, hai adottato le sue leggi. Gli hai fatto un favore: hai tolto dall’orizzonte l’unico ingrediente in grado di metterlo in difficoltà. L’arte: così inutile. Così fondamentale.