9 novembre 20 4. I Memphis Grizzlies rispondono alle meraviglie degli Splash Brothers con tonnellate di regolarità grit-‘n-grind, ma Dave Joerger sente il bisogno di allungare il roster: i ritmi vorticosi dell’NBA 3.0 prosciugano le energie di un gruppo che ha bisogno di livelli industriali di intensità e vitalità per coltivare le ambizioni di vertice. Il front-office richiama un ragazzo che ha salutato il cielo umido del Tennessee due mesi prima; 213 centimetri di elettricità e mobilità spalmati su un condensato di incognite e misteri: un fisico strepitoso e perfetto per il Terzo millennio dei canestri, ma assistito da una mente troppo difficile da inquadrare. Hassan Whiteside.
Un globetrotter instancabile, un ragazzo che cerca di salire sul treno più importante, un venticinquenne che non smette di sognare il palcoscenico più importante dell’universo cestistico. Una firma e un saluto: i Grizzlies lo giubilano meno di ventiquattr’ore dopo che l’inchiostro ha sigillato l’ennesimo few-days-contract di una vita precaria. Game over? La carriera nella Lega più famosa del pianeta sembra finita prima di (ri)cominciare, ma un uomo che si scrive sulle spalle Whiteside sa aspettare che il lato giusto della luna illumini il parquet. Non per una coincidenza, le splendide atmosfere di South Beach gli mostrano il fascino dégagé di una stagione di passaggio: Pat Riley offre una chance a Hassan nel momento più controverso della tormentata ricostruzione post-LeBron, quando la felicità di una buona partenza affoga nelle difficoltà fisiche dei pilastri e il calore di una piazza senza tradizione rischia di spegnersi in una triste mediocrità. Whiteside capisce di essere stato a un passo dallo smarrire i sentieri del basket professionistico; come B-Rabbit di 8 Mile, sa che “the opportunity comes once in a lifetime, no more”. Vuole sfruttare l’occasione che il destino gli ha posto dinanzi alle sterminate braccia: il Prescelto naviga in altre acque, ma Miami è tutt’altro che da buttare, per un ragazzo abituato alle periferie più tormentate del globo cestistico.
GLOBETROTTER
Mentre calca l’ormai glorioso parquet dell’American Airlines Arena, Hassan Whiteside scorge i riflessi di fuoco degli orizzonti mediterranei: uno strano destino l’ha portato dalla demolizione di parecchi primati difensivi nel biennio NCAA di Marshall alle tensioni geopolitiche del Libano e alle bizzarre arene della Cina. I tecnici che lo osservano si riempiono di interrogativi: perché mai un atleta di 213 centimetri con strepitose capacità dinamiche non ha avuto nessuna chance nell’NBA? Nel Draft 2010 trentadue General Manager lo lasciano fermo a contemplare i primati nelle stoppate (5.4 di media), l’ottima attitudine per la protezione del ferro difensivo (8.9 rimbalzi) e le tre triple-doppie consecutive con le quali ha fatto girare le teste di tutta la Conference USA, prima che i Sacramento Kings lo chiamino: il quadriennale d’esordio non viene rispettato poiché un infortunio al ginocchio blocca la crescita tecnica di un ragazzo che lo staff californiano giudica troppo grezzo. Whiteside finisce nella D-League, ma neppure i Sioux Falls Skyforce accettano di puntare su di lui e lo girano ai Rio Grande Valley Vipers. Nell’estate 2013 accetta di vivere un’avventura diversa: i libanesi dell’Amchit Club gli concedono un’opportunità al di là dell’Oceano e lo accolgono in uno dei Paesi più controversi del Mediterraneo. Hassan – che ha avuto bisogno di frequentare una prep school poiché non si è mai segnalato per i risultati scolastici… – parte con entusiasmo, ma alla fine della stagione ha ancora voglia di dimostrare qualcosa e firma per i Sichuan Blue Whales della cinese NBL. L’avventura nell’ex-Celeste Impero è un autentico trionfo: 25.7 punti, 6.6 rimbalzi, 5. stoppate e .4 recuperi di media con il 56.4% dal campo, il titolo NBL da MVP delle Finals e i riconoscimenti di Difensore e Centro dell’anno.
Biglietto da visita per l’NBA? Nemmeno per sogno: gli scout USA non gli tolgono l’etichetta di “professionista mancato” che lo accompagna – a sua probabile insaputa – dall’estate degli esordi. Whiteside torna in Libano e firma per l’Al Mouttahed Tripoli, ma non immagina che le accuse di disattenzione e trascuratezza stanno per risparmiargli un grande spavento e, con ogni probabilità, qualcosa di più grave: un giorno arriva in ritardo a un raduno e perde l’autobus, ma la “lavata di capo” dello staff perde vigore quando le news annunciano che la corriera è finita in mezzo a un bombardamento. La vita è dura: l’impegno di Hassan scema e l’Al Mouttahed lo taglia, ma una nuova incarnazione cinese lo lancia verso il secondo assalto all’NBA; Memphis lo prende e lo cancella, ma Miami lo inserisce nel roster un mese prima di Natale e accende i riflettori della Triple-A sul suo profilo slanciato. Pat Riley ed Erik Spoelstra intuiscono che, a poco meno di un lustro di distanza da Joel Anthony, rischiano di aver messo le mani su un altro “lungo” capace di stupire l’Est con una storia incredibile e un’energia folgorante: il ragazzo si allena, è maturo e partecipa. It’s time!
Each passing monster game from @YoungWhiteside makes his journey that much more remarkable –> http://t.co/WxwIfFe3gg pic.twitter.com/k22cYefUJw
— NBA D-League (@nbadleague) 5 Marzo 2015
L’ESPLOSIONE
Dopo un passaggio fulmineo in D-League, Whiteside si stabilisce nell’organico degli Heat e studia in silenzio i bisogni di Spoelstra. Dopo qualche highlight sopra il ferro e diverse chiacchiere incuriosite sugli elettrici sette piedi di incognita selvaggia che si siedono sulla panchina, il 4 gennaio l’epifania di Hassan squarcia South Beach: punti, 0 rimbalzi, 5 stoppate e tanti saluti ai Brooklyn Nets (88-84). Una settimana dopo, CP3 e i Clippers ricevono un trattamento di favore: 23 punti, 6 rimbalzi, 2 recuperi e 2 stoppate. Il pubblico lo insegue sempre più spesso, ma non immagina neppure lontanamente che quindici giorni dopo Whiteside scalpellerà il nome di Alonzo Mourning dal libro dei record della franchigia; il 96-84 con cui gli Heat zittiscono i Bulls si nutre di un curioso dato statistico: il lungo #21 gioca solo 25 minuti, ma chiude con 14 punti, 13 rimbalzi e… 12 stoppate, franchise-best. Tutto qui? No, sir: il 4 febbraio i Minnesota Timberwolves strappano una vittoria all’American Airlines Arena, ma Hassan stampa una prova da 24 punti, 20 rimbalzi e 2/ 3 dal campo. Nel mese di febbraio offre allo staff tecnico degli Heat 4.3 punti e 2.7 rimbalzi di media: le 2.4 stoppate a gara che allenta in stagione, proiettate su cento possessi, diventano 6. e incidono tremendamente sull’impatto difensivo di un atleta capace di abbinare alle doti fisiche un grande tempismo. Nel mese di gennaio, quando il #21 ha spaziato nella metà campo difensiva, gli avversari hanno ottenuto un misero 37% nel verniciato e hanno convertito i pick-and-roll con il 3 .7%: l’abilità negli show e le smisurate possibilità di recupero che l’atletismo offre a Whiteside delineano scomodi enigmi ai penetratori; non a caso, il defensive rating di Hassan ha superato di gran lunga i 90 punti (96.8).
HASSANITY
L’esplosione di Hassan Whiteside consente ai tifosi dei Miami Heat di trovare motivi di ottimismo in una stagione complessa: dopo l’addio di LBJ, i problemi fisici di Wade, i limiti di un roster dal chilometraggio avanzato e le naturali difficoltà di ricostruzione degli equilibri tecnici e carismatici sul campo non hanno garantito alla franchigia uno spazio ai vertici della Eastern Conference. Dopo l’arrivo di Goran Dragic, i drammatici problemi di trombosi polmonare che hanno fermato Chris Bosh hanno assestato un altro colpo tremendo a un ambiente che lotta per strappare uno degli ultimi due posti della griglia-Playoffs. Miami alterna emozioni e risultati, ma Whiteside regala alla Triple-A scintille di una Hassanity che ricorda i bagliori scintillanti di Jeremy Lin al Madison Square Garden. La gloria svanirà in un battito di ciglia o sarà l’inizio di una grande avventura? Prevedere le dinamiche del complesso universo NBA è molto difficile, ma Whiteside rappresenta il prototipo del lungo del Terzo millennio e sembra maturo per una stabile consacrazione ad alto livello: l’atletismo straripante, gli ampi margini di miglioramento tecnico e la voglia di successo aprono spiragli di grandezza dinanzi a un venticinquenne che non dimentica le lezioni del Libano e le ovazioni della Cina. Good luck, Hassan! The White side of South Beach is yours.