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Appena cinquant' anni fa più della metà della popolazione mondiale era denutrita o sotto-nutrita, oggi la percentuale è scesa ben al di sotto del 10%. In Africa la longevità si è allungata di ben dieci anni dal 1960, e questo nonostante il terribile impatto dall' epidemia di Hiv-Aids. Meno della metà dei bambini del pianeta frequentavano la scuola elementare nel 1950, oggi sono il 90%. L' alfabetizzazione si è più che raddoppiata dal 1970 ai nostri giorni perfino in quell' Africa sub-sahariana che ci ostiniamo a considerare come un' area di sola miseria e sofferenza. Quando l’ho letto mi sono chiesto dove stia la verità: in queste cifre che ci dipingono degli indubbi progressi oppure nella nostra percezione che vede un disgregarsi di valori e di conquiste civili?Ho la sensazione che queste visioni così dissonanti siano la conseguenza diretta dell’imperfezione dei nostri circuiti mentali. L’uomo non è fatto per cogliere l’insieme delle cose, di misurarsi coerentemente con la complessità. Di valutare, cioè, la totalità degli aspetti di ogni problema, di soppesarne la consistenza e di prendere dunque le decisioni più coerenti con tale visione “olistica”.L’uomo è per sua natura imperfetto. Una delle sue carenze più evidenti sta nell’avere un punto di vista. Di essere in grado di vedere la realtà solo da una specifica prospettiva, che di solito è la propria. Anche quando si sforza di assumere il punto di vista di altri non riesce ad avere una visione completa. Se esiste un Dio (personalmente ne dubito), egli deve avere necessariamente una differenza con l’uomo: quella di essere in grado di assumere contemporaneamente tutti i possibili punti di vista.Avere un solo punto di vista è utile, direi fondamentale, quando si lotta per la sopravvivenza. Ti aiuta a reagire velocemente al pericolo e a concentrarti sul tuo unico obiettivo, quello di salvare la pelle. La gazzella che fosse in grado di assumere, anche solo per una frazione di secondo, il punto di vista del leone, sarebbe spacciata. Il solo fatto di considerare le ragioni dell’altro le farebbe perdere quella frazione di slancio vitale che fa la differenza fra la vita e la morte.Oggi però per l’umanità quello che è in gioco non è la sopravvivenza del singolo. Non siamo animali della savana. Ci stiamo giocando la sopravvivenza della nostra specie. Ed è una partita che va affrontata gestendo la complessità. Non si risolve con ricette semplici, con singole azioni. L’uomo deve acquisire le abilità necessarie a superare il singolo punto di vista, deve provare a interagire con la complessità. In altre parole deve diventare un po’ più simile al dio di cui parlavo prima.
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