Gerard Dou, autoritratto con libro e pipa (1650)
Nel dipinto qui a fianco, Gerard Dou, pittore olandese (1613-1675) allievo di Rembrandt si ritrae nell'atto di fumare la sua pipa mentre tiene aperto davanti a sé un libro. Come è tipico di questo artista, la figura ci viene presentata inquadrata in una finestra che fa da cornice; in questo caso c'è la particolarità della tenda drappeggiata sul davanti della finestra stessa che crea una sensazione quasi di sipario teatrale.E' come se l'autore volesse rappresentarsi, mettersi in scena presentando oltre a sé stesso due oggetti che evidentemente ritiene altrettanto importanti del suo aspetto e del suo abbigliamento per farci capire chi è.
Da Van Gogh a Rockwell la teoria degli artisti che si sono ritratti con la pipa in bocca è lunga, tanto lunga da escludere la pura e semplice causalità e legittimare la domanda: perchè un pittore che fuma la pipa ci tiene così tanto a farci sapere che fuma la pipa?
Secondo me ci sono almeno due ordini di motivi. La prima ragione è - diremo così- utilitaristica: la pipa è un oggetto che - dipinto o fotografato - aggiunge sempre interesse visivo al soggetto e ne sottolinea il carattere. In un vecchio manuale di fotografia americano della fine degli anni '40 ho trovato la raccomandazione esplicita di scegliere per i ritratti di soggetti maschili una luce forte e contrastata e di ritrarli - soprattutto se giovani (!) - pipa tra i denti.
Ma se per un attimo allarghiamo lo sguardo dalle arti figurative alla letteratura scopriamo che anche gli scrittori spesso hanno tenuto a farci sapere della loro passione per la pipa: Jerome K. Jerome ha dedicato alla propria pipa i Pensieri oziosi di un ozioso; Simenon ha creato Maigret, e scusate se è poco; nell'immenso atto creativo del Signore degli Anelli Tolkien ha trovato il tempo di immaginare ed elencare con amorevole minuzia tutte le varietà di tabacco (o meglio di erba-pipa) coltivate nella Contea.
Giungiamo quindi alla seconda motivazione, forse all'unica che conta autenticamente: la pipa diventa spesso parte integrante dell'identità del fumatore. Diventa qualcosa a cui pensiamo quando ci autorappresentiamo, e di conseguenza qualcosa di noi stessi che ci teniamo a mostrare agli altri.
Ci sono fumatori che possiedono centinaia di pipe e altri che ne hanno una o due; fumatori disposti a spendere migliaia di euro per un pezzo di radica fittamente fiammata e altri che scelgono le proprie pipe tra quelle proposte per pochi spiccioli che i tabaccai tengono a cesti sui loro banconi; fumatori che vagano capricciosamente da un tabacco all'altro a ogni pipata e altri che da trent'anni fumano sempre la stessa miscela; fumatori che vivono con la pipa in bocca e altri che accendono la pipa solo dopo il pranzo della domenica. Eppure per tutti il piacere che si trae caricando, accendendo e fumando tabacco in questi curiosi attrezzi angolati si trasforma in una componente non secondaria della propria esistenza.
Non saprei dire con precisione perchè accade una cosa del genere: ho un vago, informe sospetto che la cosa abbia a che fare col silenzio. Con una sorta di silenzio interiore che la pipa non crea, ma esige, presuppone e al tempo stesso aiuta a mantenere. Almeno questa è la mia personale esperienza.
Ma sia quello che sia il motivo, rimane il fatto che nel fornello delle nostre pipe oltre agli oli essenziali del tabacco si distilla anche un po' di noi stessi: ed è forse per questo che è difficile terminare una pipata mediamente riuscita senza sentirsi (anche solo un poco, anche solo per poco) migliori.
P.S: Questo post deve la sua nascita e soprattutto il suo titolo alla ricorrenza odierna della demenziale giornata mondiale senza tabacco... :-)