di Michele Marsonet. E’ davvero sorprendente il silenzio tombale di europei e americani di fronte alla continua escalation cinese nei mari del Pacifico orientale. Soprattutto se lo si confronta all’attivismo estremo della NATO in Ucraina e nel Medio Oriente..
Quali le ragioni? Per quanto riguarda la UE si può ipotizzare una sostanziale ignoranza dei problemi. Dopo tutto si tratta di un’area geografica assai lontana e – a torto – giudicata poco importante per gli interessi europei. Diverso il caso degli Stati Uniti, che proprio in quell’area vedono da sempre uno snodo cruciale della loro politica estera. Per essere ancora più chiari, mette conto notare che nella crisi ucraina Putin è stato affrontato a muso duro. Certo hanno avuto un peso notevole le sanzioni economiche, ma la sensazione è che vi sia stata la minaccia di un intervento militare diretto dell’Alleanza Atlantica qualora i russi avessero appoggiato un modo più deciso le rivendicazioni dei separatisti.
Nulla di simile è avvenuto in Estremo Oriente. La leadership cinese sta in pratica adottando la politica del “mare nostrum” provocando in continuazione incidenti – che hanno già causato numerose vittime – con i Paesi vicini, e segnatamente con Vietnam e Filippine.
Da noi, nessun organo di stampa riporta che lo scorso 6 giugno il rappresentante permanente del Vietnam alle Nazioni Unite ha trasmesso al Segretario Generale Ban Ki-moon l’ennesima nota diplomatica al Ministero cinese degli Esteri. Tale nota “protesta contro la prosecuzione di attività illegali da parte della Cina – che, com’è noto – ha installato la piattaforma petrolifera Haiyang Shiyou-981 nella zona economica esclusiva e nella piattaforma continentale del Vietnam”. Proseguendo si legge che “l’installazione della piattaforma petrolifera della Cina, con le sue navi di scorta, costituisce una grave e continua violazione dei diritti sovrani del Vietnam; viola altresì la giurisdizione della zona economica esclusiva del Vietnam e della sua piattaforma continentale, come definito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare del 1982. L’azione viola inoltre la dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Orientale, sottoscritta dalla Cina e l’accordo Vietnam-Cina sui principi fondamentali che guidano la soluzione delle questioni marittime e altri accordi in materia, conclusi tra alti dirigenti dei due Paesi; il comportamento cinese compromette seriamente la fiducia politica tra le due parti”.
I vietnamiti sottolineano altresì la necessità di non “lesinare alcun sforzo per comunicare e impegnarsi in un dialogo serrato con la Cina in varie forme e a vari livelli. Il Vietnam chiede alla Cina di fermare immediatamente i suoi atti che violano i suoi diritti sovrani e la sua giurisdizione”. Nonostante questo, la Repubblica Popolare ha continuato le sue azioni inviando altre navi da guerra, pattugliatori d’attacco, barche lanciamissili, mezzi anfibi di trasporto e aerei da combattimento. Inoltre, le navi cinesi hanno addirittura speronato e affondato un peschereccio vietnamita con 10 pescatori a bordo e colpito una nave della Guardia Costiera nelle acque sovrane del Vietnam.
Vien da chiedersi cosa sarebbe accaduto se azioni simili avessero avuto luogo in Ucraina. Probabilmente Obama avrebbe fatto la voce grossa appoggiando subito, e in concreto, l’oligarca miliardario Poroshenko che ha vinto le ultime elezioni.
Spostandoci ora più a nord, non risulta che le proteste giapponesi riguardanti le isole Senkaku abbiano trovato riscontro presso gli organismi internazionali. Unico risultato una nota dell’amministrazione USA in cui si afferma che “la Cina sta esagerando”. Tuttavia Pechino prosegue imperterrita nel suo espansionismo “pratico” e non dichiarato. Il premier nipponico Shinzo Abe sta tentando di raccogliere solidarietà anche in Europa e, dopo una recente visita a Roma dove ha incontrato Matteo Renzi, è stato diffuso un comunicato ufficiale volto “a rimarcare l’importanza di mantenere la pace regionale, la sicurezza e la stabilità affrontando le dispute pacificamente, attraverso il dialogo e il negoziato tra le parti, in accordo con i principi della legge internazionale”.
Davvero poco, e in altre capitali europee Abe non ha certo ottenuto risultati migliori. Si osservi, infine, un altro fatto rilevante. Il Giappone, come Corea del Sud, Taiwan e Filippine, è pur sempre protetto dallo “scudo” americano, per quanto molti comincino a dubitare della sua efficacia. Il Vietnam, invece, non possiede neppure quello. Sin dai tempi della guerra con gli USA ha sempre avuto un rapporto privilegiato con i russi, ma è ovvio che Mosca in questo periodo ha ben altro cui pensare.
Quali conclusioni si possono trarre dall’incredibile scenario che ho appena delineato? Sottolineando una volta ancora la complessità della situazione, la conclusione principale è la seguente. L’Occidente – o, meglio, gli USA – sono in grado di imporre sanzioni alla Russia. Non lo possono fare, invece, con la Repubblica Popolare poiché i cinesi detengono nelle loro mani gran parte del debito pubblico americano. Sgradevole dirlo, ma è proprio così.
Ciò significa che i Paesi più piccoli dell’Estremo Oriente devono rassegnarsi a vedere navi e aerei da guerra cinesi che spadroneggiano senza pudore nelle loro acque e nei loro cieli, beffandosi delle proteste e sicuri dell’impunità. Il Giappone, finora, non si è rassegnato, ma non si sa fino a quando la resistenza potrà durare, dal momento che la costituzione pacifista che stata imposta nel 1945 consente ai giapponesi di possedere soltanto modeste forze di “autodifesa”. Nel frattempo l’arroganza cinese non si arresta e l’Occidente gioca un ruolo di semplice spettatore.
Featured image, una delle statue che fa parte dell’esercito di terracotta nella tomba dell’Imperatore Qin, a Xi’An.