La questione del pagamento dell’Imu per i beni ecclesiastici sembra una storia senza fine.
A febbraio il governo Monti aveva annunciato che anche gli immobili commerciali della Chiesa avrebbero pagato la tanto vituperata tassa.
Il provvedimento aveva trovato spazio nel cosiddetto “decreto liberalizzazioni” con la postilla che un successivo regolamento avrebbe dovuto stabilire le nuove modalità di pagamento dell’imposta per gli immobili religiosi ad uso commerciale. Questo valeva soprattutto per quegli immobili che non svolgono esclusivamente attività commerciale e quindi il pagamento della tassa doveva applicarsi solo per quella porzione in cui si svolge un’attività di lucro.
Il regolamento avrebbe dovuto essere pronto per maggio ma a settembre ancora non era stato prodotto nulla. Dovendo arrivare entro la fine dell’anno affinché la Chiesa cominciasse a pagare l’Imu nel 2013, c’erano molti sospetti che anche per il nuovo anno i beni ecclesiastici sarebbero stati esentati. Ma i funzionari del ministero avevano assicurato che il regolamento sarebbe arrivato in tempo utile nonostante la materia fosse complessa. In effetti il regolamento è arrivato ma il Consiglio di Stato – che doveva esaminarlo – lo ha bocciato completamente.
Il problema non è che il ministero dell’Economia non abbia affrontato la materia ma è che ha fatto persino troppo. Infatti da via XX settembre non si sono limitati a stabilire i parametri per il calcolo dell’Imu per quelle attività miste (ossia in cui si svolge parzialmente anche un’attività commerciale) ma hanno stabilito tutte le casistiche in cui scatta l’esenzione dell’Imu rendendo – di fatto – nulla l’applicazione del tributo. Secondo il Consiglio di Stato queste norme stravolgono il senso del decreto sulle liberalizzazioni e quindi non è possibile usare un semplice regolamento di attuazione ma è necessario un altro decreto. In sintesi, i responsabili di via XX settembre sono andati ben oltre i poteri che il decreto liberalizzazioni aveva assegnato loro. Il ogni caso il sottosegretario all’Economia Polillo ha spiegato che il Governo terrà conto delle osservazioni del Consiglio di stato.
L’esecutivo ora ha due strade. Potrà eliminare dal decreto attuativo le casistiche in cui scatta l’esenzione Imu limitandosi (come doveva fare) a stabilire i parametri per individuare la parte commerciale di un immobile oppure potrà inserire queste casistiche in un altro decreto dandogli forza di legge: in quest’ultimo caso il Consiglio di Stato non avrebbe nulla da obiettare.
Sembra però che l’esecutivo non voglia rinunciare a elencare le casistiche per l’esenzione totale, infatti Polillo spiega che «quei criteri saranno stralciati da questo regolamento, come chiesto dal Consiglio di Stato, ma inseriti in un altro provvedimento». Certamente questa gaffe è molto strana per un “tecnico” come il ministro Grilli che proviene dalla magistratura ordinaria ed è significativo che il governo voglia stravolgere completamente il senso del decreto liberalizzazioni riducendo di molto l’area di applicazione dell’Imu per i beni ecclesiastici.
In ogni caso l’esecutivo dovrà agire in fretta perché se nessun provvedimento (nuovo decreto o regolamento) arriverà entro la fine dell’anno, gli immobili ecclesiastici continueranno a beneficiare dell’esenzione anche per il 2013. In tal caso l’erario non riceverebbe un importo che dovrebbe aggirarsi tra i 500 milioni di euro secondo le stime del governo e il miliardo di euro secondo la valutazione dell’Anci.
Anche se il governo dovesse decidere – così come sembra – di dare forza di legge alle casistiche per cui un immobile è esentato totalmente dal pagamento del tributo potrebbe restare aperta la procedura di infrazione della Commissione europea contro l’Italia per aiuti di Stato (illegittimi secondo la Ue). In quel caso oltre al mancato introito dell’Imu per i beni ecclesiastici l’erario dovrebbe pagare una multa milionaria che – di fatto – sarà pagata come sempre dai cittadini e dalle imprese italiane già tanto vessate dalla “cura Monti”.
In questo eterno balletto potrebbe inserirsi l’Unione europea che – oltre a sanzionare l’Italia – potrebbe obbligare il nostro Paese ad esigere dalla Chiesa gli arretrati dal 2006 (anno in cui è stata aperta la procedura d’infrazione): per sei anni si tratterebbe di una cifra di circa 3,6-4 miliardi di euro. Infatti – non a caso – subito dopo la decisione del Consiglio di stato i servizi del commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia ricordano che la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia «resta aperta».
In quel caso cosa farebbe il Governo? Rispetterebbe la decisione comunitaria oppure troverebbe un escamotage per continuare ad esentare la Chiesa e far pagare la multa ai contribuenti italiani?
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