da bambina mi faceva ridere la scritta “Otis” sull’ascensore.
lo leggevo al contrario, “sito”, o lo anagrammavo, “osti” oppure aggiungevo mentalmente “redding” e sorridevo. così arrivavo al piano che volevo, non ci voleva tanto tempo: non sono cresciuta a new york, a lucca le case con l’ascensore erano i condomini di sant’anna che raggiungevano al massimo il quinto piano.
a dresda, nel primo ascensore nel quale sono entrata, mi è venuta la pelle d’oca.
perchè in germania in quasi tutti gli ascensori non c’è scritto “Otis”.
è un’altra la marca dominante degli ascensori tedeschi.
“thyssen”.
e quando vengono a fare manutenzione, sulle macchine c’è scritto “thyssen” e gli operai che scendono hanno sulla tuta scritto “thyssen” e sulla borsa degli attrezzi “thyssen”.
all’inizio non avevo neanche ricollegato immediatamente il nome alla fabbrica.
ma il brivido lungo la schiena mi aveva in qualche modo sgradevolmente colpito, come quando capita di ricordare qualcosa che si era dimenticato solo perchè passeggiando si incontra qualcuno che te ti ricorda qualcosa di brutto, in un contesto diverso, in un mondo diverso, in un capitolo diverso della tua personale e limitata biografia.
e così mi era tornato in mente.
dopo due anni.
“il rogo della thyssen”.
poi ne è passato un altro e un altro ancora.
e adesso sono quattro, gli anni trascorsi.
oggi i parenti delle vittime e gli “affamati di giustizia” (come diceva quello) aspettano la sentenza.