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In fondo all'universo

Creato il 22 ottobre 2010 da Stukhtra

La galassia più distante mai osservata

di Marco Cagnotti

Ma gli astrofisici i nomi li inventano dopo essersi fumati qualcosa? Oppure usano uno di quei programmi per la generazione casuale di password?

In fondo all’universo

Una simulazione del blob primordiale durante l'epoca della reionizzazione. (Cortesia: M. Alvarez/R. Kaehler/T. Abel)

Qui parliamo infatti di UDFy-38135539: un nome che non dice niente, che è pure ostico da ricordare, ma che rappresenta il record (per il momento) di distanza per le galassie. Invece di dire quant’è lontana, si fa prima a precisare l’epoca dopo il Big Bang alla quale risale: 600 milioni di anni. Ovvero 150 milioni più indietro del record precedente. Ne rende conto un articolo nell’ultimo numero di “Nature”, firmato da un gruppo franco-britannico guidato da Matt Lehnert, dell’Osservatorio di Paris-Meudon. UDFy-38135539 (un nome che ripeteremo in quest’articolo sfruttando massicciamente il copincolla) ha già (anzi, aveva in quel momento) 100 milioni di anni di esistenza e una massa compresa fra l’1 e il 10 per cento della massa della Via Lattea, la nostra galassia. Tutto comincia con la scoperta, fatta dall’Hubble Space Telescope, di un faint blob, com’è stato definito da Lehnert. Per misurarne la distanza, gli scienziati hanno usato il Very Large Telescope dell’ESO, in Cile, cercando la riga Lyman-alpha nello spettro della galassia. Scopo: misurare quant’è spostata verso il rosso e, dal redshift, ricavare la distanza di UDFy-38135539. Ecco dunque il risultato per il blob, ormai identificato con una galassia: il redshift è pari a 8,55, corrispondente a 600 milioni di anni dopo il Big Bang.

C’è un po’ il problema dell’affidabilità del risultato, ottenuto usando un’unica linea spettrale, che potrebbe perfino essere un artefatto del metodo di misura. James Dunlop, dell’Università di Edimburgo, che aveva partecipato alla scoperta iniziale fatta con Hubble, lo precisa in un commento per “Nature”: “Hanno spinto al limite la strumentazione”. Ma Lehnert replica: “Ci sono voluti mesi per convincerci che il risultato fosse reale”.

Ma, a parte il fascino della galassia in culo all’universo, che cos’ha UDFy-38135539 di tanto speciale? Semplice: risale all’epoca della reionizzazione. Al principio di tutto, la materia primordiale era composta da gas ionizzato: protoni e neutroni separati dagli elettroni. Poi, col calare della temperatura, si formarono gli atomi di idrogeno neutro. Fine della storia? Per niente: nacquero le stelle e le galassie, il gas si scaldò di nuovo… e via con la reionizzazione. La nostra UDFy-38135539 (e dai col copincolla) sta lì proprio a far reionizzare il gas.

E forse non è la sola, in quella zona. La sua riga Lyman-alpha, infatti, appare un po’ grossa per essere prodotta da una sola galassia. Ce ne fossero altre, si spiegherebbe meglio il risultato. Solo che ormai i telescopi dal suolo sono stati spremuti al limite delle loro possibilità. E perfino Hubble, come s’è visto, più di tanto non può fare. Non rimane che aspettare il James Webb Space Telescope, suo successore, che dovrebbe (al condizionale, eh!) partire nel 2015.


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