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In Honduras via libera alla prima città privata

Creato il 10 settembre 2012 da Eldorado

Un’enclave particolare all’interno di un paese sovrano. La ciudad modelo, come l’hanno ribattezzata in Honduras, può diventare presto una realtà. Con le sue leggi, il suo sistema tributario, la sua polizia e la sua politica di immigrazione, il progetto gode già di una legge e di forti e potenti investitori che contano di fare del paese centroamericano la sede della prima charter city della storia. Non poteva essere altrimenti. L’Honduras è sempre stato uno dei laboratori favoriti del capitale statunitense in America latina, sin da quando, nella seconda metà del XIX secolo la United Fruits divenne padrona di intere porzioni del suo territorio. Negli anni Settanta dello scorso secolo, poi, il Paese sperimentò tra i primi le politiche neoliberali della scuola di Chicago.
L’idea della città privata segue un filo conduttore che la lega a quei giorni, quando Milton Friedman elargiva promesse e declamava meraviglie sul sistema neo-liberale. Uno dei principali artefici del progetto è infatti un suo nipote, Patri Friedman che, più radicale del nonno, si dichiara un anarcocapitalista, ossia assertore di un capitalismo selvaggio, la cui regola principale è quella appunto di non avere regole. Pericolosissimo, insomma. Sua e del socio Peter Thiel –cofondatore di PayPal- è l’idea di creare delle micronazioni e piccole enclavi Usa –grandi piattaforme galleggianti- in mare aperto, in acque internazionali. Nell’ambito di questa corrente, si è unito a Paul Romer –il fondatore del movimento delle Charter Cities- ed insieme hanno trovato cospicui finanziamenti tra i membri del settore più conservatore del Partito Repubblicano statunitense. L’idea di Romer è quella che i Paesi poveri debbano ammettere il loro fallimento come Stato e fare quindi tabula rasa per ricominciare da zero, con nuove regole di governo e nuove regole per i cittadini, basate naturalmente sulla logica di un capitalismo estremo e sull’intervento degli investimenti privati.
Romer ha trovato un buon ambiente per le sue idee in Honduras, grazie all’appoggio incondizionato dell’attuale presidente Porfirio ¨Pepe¨ Lobo che, dimenticati i tempi in cui studiava alla ¨Patrice Lumumba¨ di Mosca, ha sposato le tesi delle charter cities al punto da riuscire a fare approvare una legge, la Regiones Especiales para el Desarrollo (RED), che introduce il concetto e lo colloca in un quadro legale. Parti del testo della legge sono praticamente delle scopiazzature delle teorie di Romer: ¨le RED sono enti speciali per lo sviluppo dell’Honduras create con il proposito di accelerare l’adozione di tecnologie che permetteranno di produrre un alto valore aggregato, un ambiente stabile, con regole trasparenti capaci di captare gli investimenti nazionali e stranieri per garantire una crescita accelerata…¨.

In Honduras via libera alla prima città privata
Da allora, si sono mobilitati un po’ tutti gli interessati a questo tipo di investimenti. La Future Cities Development Corporation (che è l’azienda di Friedman) si occuperà dell’amministrazione della città ed intanto, ubicata la zona –la regione di Trujillo, sull’oceano Atlantico-, è stata anche costituita una giunta di teste pensanti capeggiata dal premio Nobel George Akerlof che dovrà dettare le regole (economiche, giudiziarie, architettoniche, sociali eccetera) della nuova città. Romer, in una intervista al Heraldo di Tegucigalpa dell’anno scorso aveva già ribadito come l’Honduras si trovasse in uno stadio avanzato per la costruzione della città e ne aveva ricalcato l’importanza dell’autonomia dallo Stato centrale. La Mkg, impresa statunitense, ha firmato intanto nei giorni scorsi il contratto d’intesa, anche se una data precisa per l’inizio dei lavori non è confermata. A farne le spese, tanto per cominciare, saranno i Garifuna, le cui terre saranno sacrificate al progetto di Romer. Stretti tra i progetti turistici e il piano della legge RED, agli indigeni non resta che la via della protesta, appoggiati anche dall’ex procuratore Óscar Cruz, che ha presentato un ricorso di anticostituzionalità dell’intero progetto.
Nelle intenzioni del movimento delle charter cities ci si auspica che già nel 2060 le città ¨libere¨ si siano moltiplicate, in concorrenza agli Stati nazione. L’applicazione di questo modello sarebbe davvero un successo per il capitalismo selvaggio. Pensate solo a una cosa: se oggi, con quasi duecento nazioni le guerre prosperano, cosa succederà quando il mondo sarà formato da migliaia di charter cities in disaccordo tra loro? Una manna per i mercanti di armi e per la lobby repubblicana (http://www.libertarianrepublican.net/2011/12/liber-topia-great-promise-for-two.html).


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