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In morte di Cossiga, di Ivan Carozzi

Creato il 20 agosto 2010 da Fabry2010

Me ne vado tra i pellerossa
o tra i mammutones
Il fatto è che sono già sottile sottile
e fatico a pensare, a ricordare
Con tutte le accuse e gli insulti che si levano in rete
come frecce
io mi ci soffio il naso
che già mi cola di liquidi nerastri
sulla camicia azzurra stirata di Presidente pensionato
La connessione fra me e voi si fa sempre più lenta e disturbata
fischi, sibili strozzati, un pochettino di rumore bianco
riesco a vedere qualche post
su Twitter, su Facebook
qualche commento incazzato
null’altro
e dei Palestinesi, di quella bomba sul treno – ma dove poi? A Milano? A Bologna? a Peteano?
non rammento più niente
tutto un nevischio elettronico che mi scende bianco sull’occhiale
Allora me ne torno lassù, in Sardegna, e buonanotte

Sto sull’auto blu speciale
Guida Attilio
in guanti bianchi, mi pare
Attilio è un gladiatore padovano
forse ordinovista, non saprei
anche qui il ricordo sfuoca e impallidisce
come una lampadina a basso consumo
Vedo il guanto bianco che si aziona
è Attilio che mette un filo d’autoradio
andiamo lungo un viale d’aria
buio
tra dolmen, nuraghi e palme nane
un rumore basso e marginale, di aspirapolvere
(dev’essere che ancora la sento alle mie spalle
che passa e ripassa sul tappeto
oppure no, queste che sento son le mie pantofole di nappa che m’inseguono)
e distante appare il fuoco estivo di un piromane
Ogni minuto la connessione con voi si fa più lenta e disturbata
Il sedile m’inghiotte
come una vagina di velluto
la voce di mia madre che dice: ‘Torna qui, da dove sei venuto’
Finisce invece che trapasso nel bagagliaio
e lì trovo Moro, Giorgiana e Lo Russo lo studente
Qualcuno picchia sul metallo
sono mille chiavi inglesi: non hai pagato caro, non hai pagato tutto!
andate in culo, penso
Grazie ad Attilio
son già nello spazio più profondo
avvolto in un cielo scuro
come quel carbone dolce
che vidi tinto sull’occhio amoroso e funestato di Adriana
la Faranda
Pianeta Kappa in vista
Gallura
Barbagia
mio cugino Enrico
Fiammelle rosse e bianche
identiche alle penne di quel copricapo indiano che indossai a Chicago
Avevo un tempo una stanza con dieci computer
avevo un tempo dieci cellulari
da radioamatore il mio nome era Iofcg
ma qui non c’è più campo
vento in faccia, ora sto sulla cresta tricolore
che cucì la prima e la seconda Repubblica
Poi più nulla per un pezzo
Sono meno pazzo
ogni secondo un grammo più leggero
Sembra estate: un gelatone o un malloreddu?
non ho più gusto
anche su questo sono incerto e sfarinato.



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