La settimana non era iniziata per niente bene, ma sta finendo peggio. Mi riferisco alla polemica imbastita dal direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara, riguardo alla manifestazione organizzata sabato 5 febbraio a Milano da Libertà e giustizia, dal titolo "Dimettiti. Per un'Italia libera e giusta". Intendiamoci, la polemica in sé è sempre salutare, e l'intelligenza di Giuliano Ferrara poteva far presagire uno stile diverso nel suo argomentare. Così, purtroppo, non è stato. Sul Foglio di lunedì 7, Ferrara se l'è presa con l'ex presidente della Corte Costituzionale, Gustavo_Zagrebelsky, intervenuto a Milano. Il bersaglio (legittimo) di Ferrara è quel filone culturale che va sotto il nome di "azionismo torinese", personificato oggi da Zagrebelsky, che ha fatto dell'intransigenza morale la sua cifra assoluta, e che può vantare una tradizione che parte da Piero Gobetti e i fratelli Rosselli e si dipana con Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Vittorio Foa e altri. Ma l' "elefantino" non si è limitato al merito, è andato sul piano personale con queste parole: «E che orrore la fosca antropologia di Zagrebelsky, una caricatura lagnosa, saccente, falsamente mite e professorale, la voce chioccia e la perfidia negli occhi », e più in là, sempre riferendosi al giurista torinese «il timbro vocale, dalla tonalità e dall'inflessione piccolo dialettale [...] che in fondo in fondo preferisco la banda Cavallero». E' un modo di attaccare l'avversario che può ricordare quello in uso in una dittatura. Su la Repubblica dell'8 febbraio è intervenuto, in replica, il direttore Ezio Mauro, evidenziando come sia emblematico del momento che si sta vivendo, l'attacco "ferrariano" ad una tradizione politica (quella azionista) - sostanzialmente minoritaria e organizzata in partito solo fino al 1947 - "pericolosa" perché caratterizzata dal richiamo della coerenza morale dell'agire politico. Sul Foglio del 9 febbraio, la contro-replica di Ferrara: chiede scusa per i toni, anche se per il direttore del Foglio conseguenti alla virulenza degli attacchi del Palasharp,confermando, invece, la sostanza della sua posizione, il tutto condito con un excursus del suo passato comunista proprio a Torino. L'epilogo di tutto questo è stata la manifestazione odierna dei cosiddetti "foglianti" in un teatro milanese, dal titolo "In mutande , ma vivi", con l'intento di giustificare il comportamento privato del "Cav" (così come lo chiama Ferrara) con l'adesione ai principi liberali. Che l'art.54 della Costituzione affermi che "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore", per questi signori, è solo un dettaglio.
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La settimana non era iniziata per niente bene, ma sta finendo peggio. Mi riferisco alla polemica imbastita dal direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara, riguardo alla manifestazione organizzata sabato 5 febbraio a Milano da Libertà e giustizia, dal titolo "Dimettiti. Per un'Italia libera e giusta". Intendiamoci, la polemica in sé è sempre salutare, e l'intelligenza di Giuliano Ferrara poteva far presagire uno stile diverso nel suo argomentare. Così, purtroppo, non è stato. Sul Foglio di lunedì 7, Ferrara se l'è presa con l'ex presidente della Corte Costituzionale, Gustavo_Zagrebelsky, intervenuto a Milano. Il bersaglio (legittimo) di Ferrara è quel filone culturale che va sotto il nome di "azionismo torinese", personificato oggi da Zagrebelsky, che ha fatto dell'intransigenza morale la sua cifra assoluta, e che può vantare una tradizione che parte da Piero Gobetti e i fratelli Rosselli e si dipana con Norberto Bobbio, Alessandro Galante Garrone, Vittorio Foa e altri. Ma l' "elefantino" non si è limitato al merito, è andato sul piano personale con queste parole: «E che orrore la fosca antropologia di Zagrebelsky, una caricatura lagnosa, saccente, falsamente mite e professorale, la voce chioccia e la perfidia negli occhi », e più in là, sempre riferendosi al giurista torinese «il timbro vocale, dalla tonalità e dall'inflessione piccolo dialettale [...] che in fondo in fondo preferisco la banda Cavallero». E' un modo di attaccare l'avversario che può ricordare quello in uso in una dittatura. Su la Repubblica dell'8 febbraio è intervenuto, in replica, il direttore Ezio Mauro, evidenziando come sia emblematico del momento che si sta vivendo, l'attacco "ferrariano" ad una tradizione politica (quella azionista) - sostanzialmente minoritaria e organizzata in partito solo fino al 1947 - "pericolosa" perché caratterizzata dal richiamo della coerenza morale dell'agire politico. Sul Foglio del 9 febbraio, la contro-replica di Ferrara: chiede scusa per i toni, anche se per il direttore del Foglio conseguenti alla virulenza degli attacchi del Palasharp,confermando, invece, la sostanza della sua posizione, il tutto condito con un excursus del suo passato comunista proprio a Torino. L'epilogo di tutto questo è stata la manifestazione odierna dei cosiddetti "foglianti" in un teatro milanese, dal titolo "In mutande , ma vivi", con l'intento di giustificare il comportamento privato del "Cav" (così come lo chiama Ferrara) con l'adesione ai principi liberali. Che l'art.54 della Costituzione affermi che "I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore", per questi signori, è solo un dettaglio.
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