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Creato il 08 luglio 2012 da Plus1gmt

E poi ci siamo noi, quelli che parlano e parlano e poi alla fine si comportano esattamente come tutti gli altri e fanno massa. Programmiamo le partenze nei week-end con il bollino rosso e poi ci lamentiamo che siamo troppi al mondo. Ci spazientiamo stendendo l’asciugamano nell’unico rettangolo a disposizione della spiaggia che è su tutte le copertine delle riviste turistiche. Ci mettiamo in coda cinque minuti prima dello spettacolo serale del sabato e ci chiediamo perché all’estero tutti fanno i biglietti online e solo qui in Italia nessuno si fida a usare la carta di credito in Internet. E dall’alto della nostra superiorità morale rimaniamo esterrefatti dalla quantità di fauna in libera uscita a Milano, nel quadrilatero del commercio al dettaglio (dire il quadrilatero della moda sarebbe ingiusto nei confronti degli operatori del settore), il primo sabato pomeriggio di saldi estivi. Voglio dire, se ci sono eventi e luoghi la cui densità di frequentazione balza persino in testa ai titoli dei telegiornali, un motivo ci sarà.

Mettiamola così e cerchiamo un lato positivo dell’esperienza: solo i negozi veramente low profile sono impraticabili. Quelli in cui i prezzi al venti o cinquanta per cento precludono comunque acquisti di più di un capo a testa sono scarsamente frequentati. Si entra, si legge la cifra su un paio di cartellini, bella quella borsa, e ci credo che è  bella, scontata costa centosei euro, e la si rimette giù. Poi vai nella bolgia dei veri affari, provi a fartene piacere un’altra che di euro ne costa nemmeno venti ma è chiaro che qualche differenza nella manifattura la trovi.

Le commesse non hanno un minuto di pace e mi chiedo come facciano a raccapezzarsi in quella baraonda di capi femminili provati e da risistemare, che poi le collezioni estive sembrano tutte uguali a noi profani e mi incanto a osservare la velocità con cui ristabiliscono l’ordine di taglia e di colore e di modello, mentre tutto è contro di loro. La musica a palla. I clienti che le scontrano con le borse passando. Quelli che chiedono se c’è la quarantadue di quella gonna marron e la risposta standard “tutto quello che c’è è esposto”. Poi arriva la commessa chiamata a giornata che domanda dove si deve posizionare, ha ricevuto via sms dalla corporate un codice da presentare alla direttrice delle vendite ed è a quel punto che mi viene in mente una cosa un po’ banale, che siamo tutti un numero che qualcuno più in alto di noi nella gerarchia sociale ci assegna al reparto donna o uomo per dieci ore, il turno dalle dodici fino alle ventidue perché è il primo sabato di saldi nel quadrilatero commerciale.

Finalmente poi ritrovi la persona che stai accompagnando, e non vorrei cadere nei luoghi comuni svelandone il genere di appartenenza, perché a noi dell’altro genere al terzo negozio iniziano a indolenzirci le gambe e a un certo punto smettiamo di seguirla e ci limitiamo a osservare gli altri. Magari siamo in grado di correre per ore, ma pochi minuti di stop&go continui possono essere letali. E al primo negozio siamo pure collaborativi, meglio questo di quest’altro, vedi è un colore che puoi sfruttare di più. Ma dopo seguiamo come robot senza carica la persona che stiamo accompagnando, deambuliamo alla mercé della ressa intontiti dalle luci, dall’aria condizionata, dalla techno che esce dalle casse e dallo sforzo nel cogliere le sfumature tra una camicetta e un’altra, una raffinatezza fuori portata per la nostra grettezza. Dicevo che a un certo punto la la persona che stiamo accompagnando riemerge con decine di capi in mano e si consuma il rito della prova nei camerini, una volta superata la coda, dove però non fanno entrare e così noi accompagnatori ci mettiamo in punta di piedi all’ingresso oltre la fila e attendiamo che la persona che stiamo accompagnando si faccia vedere e ci chieda a distanza con l’espressione del viso il nostro parere che noi, sintonizzati su quel linguaggio tutto di mimica, restituiamo un po’ frettolosamente perché ormai il senso critico pulsa come le caviglie.

C’è poi la tappa al bagno, molti di quei grandi esercizi commerciali ne hanno uno che tengono però segreto per evitare che la gente entri con il solo scopo di servirsene, ma quelli a cui poi serve veramente si ritrovano nell’unico negozio che non ne è provvisto, o magari nel giorno dei saldi c’è troppo via vai e la commessa a cui l’hai chiesto ti dice che no, loro non ce l’hanno, ti conviene andare qui di fronte. E uscendo scopri che il qui di fronte corrisponde al Burger King che è un altro di quei posti sulla tua black list e hai fatto pure vedere a tua figlia “Supersize me” tanto che lei rifiuta gli inviti alle feste di compleanno organizzate al Mac Donald’s perché ha paura di mangiare e sentirsi male, un terrorismo psicologico che comunque dà le sue soddisfazioni. Così ecco un’altra coda in quel concentrato di nuove povertà, d’altronde è l’accessibilità del junk-food il vero intermediatore culturale, a ogni tavolo un’etnia diversa ma lo stesso tipo di merenda scelta per i figli.

Il sipario sui saldi cala con il rush finale, gli ultimi due-tre negozi dove però non si trova nulla ma solo perché le energie di tutti, potenziali acquirenti e accompagnatori, sono in rosso. Ogni tanto addirittura sembra di avere un sacchetto in meno, e ci si spaventa ma poi ci si ricorda di aver accorpato i più piccoli dentro i più grandi. Ma il bottino, al netto della giornata, è ugualmente scarso. La qualità e lo stile imperante scoraggiano anche i portafogli meglio disposti, e comunque è meglio andarci piano con i soldi. Non si sa mai quello che può succedere, ci diciamo rientrati a casa, controllando gli scontrini proprio come tutti.



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