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Quando Pio Bigo a distanza di sessant’anni mi raccontava i suoi ricordi commuovendosi, la cosa più difficile era ascoltarli senza cercare di scappare in qualche modo all’angoscia che suscitavano. Le reazioni di molti dei suoi coetanei non erano dissimili dalle mie: una specie di allergia, che portava tutti a dire in fretta “Non ci pensare più, è passato”.Per lui non passò mai e adesso si può solo dire che è passato un certo periodo storico: molte altre persone affrontano quotidianamente orrori per noi inconcepibili, fluttuando tra la ricerca della salvezza e l’accettazione della propria morte, decisa da un loro simile.E’ per loro, per quelli che in questo momento aspettano, che questo libro andrebbe letto e forse potrebbe essere ancora utile, se ognuno, invece di scappare, si fermasse, cercando anche solo di ascoltare:“(…) Rimasi molto scosso quando anche a me fu ordinato di andare a sinistra. Tutti noi sapevamo cosa voleva dire: eravamo diventati un peso morto(…) Fummo posti in mezzo a due baracche, lo spazio era chiuso sul fondo da un muro. (…) Davanti c’era un plotone di soldati SS pronti a fare fuoco: ogni tanto qualcuno di noi cercava di darsi alla fuga e loro sparavano nei piedi per farci indietreggiare. (…) Angosciato com’ero, ero anche stanco, come rassegnato a quello che mi riservava il destino. (…) In quel momento vidi passare il gruppo di quelli mandati a destra diretti alla tradotta per Buchenwald: vidi i compagni che conoscevo, li chiamai, loro mi guardarono e con la mano mi fecero un cenno di saluto.(cit.)
Pio Bigo si è spento quasi novantenne in provincia di Torino alla fine dell’estate 2013. Negli ultimi tempi parlava poco, rispondeva ancora meno e teneva gli occhi chiusi. Quando era tornato a casa, nel 1945, molti dei suoi amici d’infanzia non c’erano più. Col tempo se ne erano andati anche quelli che incontrava alle riunioni degli ex deportati, lasciandolo ancora una volta solo e sperduto, testimone della storia che continua ad essere di tanti altri.
“Usciti dal campo (…) Il primo incontro fu con la jeep del Generale Patton: si fermò alzando due dita in segno di Vittoria. Ma subito, vedendo il nostro stato, gli spuntarono le lacrime e si asciugò gli occhi. (…) Incontrammo anche dei tedeschi della Wehermacht, disarmati, oramai sbandati. Commossi ma anche impauriti ci dicevano “ la guerra è finita, buono, bene: anche loro erano stanchi.” (cit.)
Pio Bigo "Il triangolo di Gliwice"
Loredana de Michelis