Magazine Poesie

In treno

Da Paolo Statuti

 

   Uff, appena in tempo! Saltai affannato (non sono più un ragazzino) sull’ultimo vagone e in quel preciso istante il capostazione diede il segnale di partenza. Il treno si mosse con uno strattone e lentamente acquistò velocità. Quando ripresi fiato entrai in uno degli scompartimenti. Salutai gli altri passeggeri che mi avevano preceduto e mi sedetti nel posto libero accanto alla porta. Presi il giornale e iniziai a leggere svogliatamente e senza un reale interesse. I pensieri mi distraevano e viaggiavano al ritmo del treno, portandomi lontano…

Riposi il giornale nella borsa e guardai le facce dei miei compagni di viaggio, preparandomi a sopportare con rassegnazione le quattro ore che mi separavano dal luogo ov’ero diretto. Andavo a …per la causa di separazione, voluta da mia moglie “con addebito di responsabilità e colpa del marito”, cioè – mia. – Chissà – pensavo – forse quella signora di mezza età che mi siede di fronte è felicemente sposata e non ha avuto una simile esperienza… oppure è già divorziata e magari rimaritata? Provavo l’impulso di farle delle domande, così per semplice curiosità, per sapere se anche nel suo caso si era parlato di colpa e come era finita l’intera questione. Nei momenti critici mi ha sempre aiutato constatare di non essere “l’unico” e trovare il conforto dell’analogia. Ma la signora di mezza età aveva socchiuso gli occhi e forse dormicchiava, cullata dal compiacente dondolio del treno.

Alla sua sinistra sedevano una ragazza e un ragazzo, ai quali assegnai rispettivamente sedici e diciotto anni. Si somigliavano molto e potevano essere fratello e sorella. Parlavano del programma delle vacanze e di altri impegni a breve scadenza:

- A proposito, tieniti libero domenica prossima, Luisa dà una festa e verrà anche Stefania…- gli disse lei.

- E dai con questa Stefania – sbottò lui. – Ma sei proprio fissata! Ma come devo dirtelo che di quella non me ne importa niente!

- Okay, okay, calmati, dicevo così per dire, del resto ci saranno facce nuove e potrai divertirti con chi ti pare – ribatté lei.

- Capirai, che divertimento! – replicò lui, aggiungendo dopo un po’: – D’accordo, verrò, ma sono sicuro che sarà una pizza…

Vicino a me sedeva un signore sulla cinquantina, con occhiali e baffi. Aveva l’aria dello studioso sicuro di sé, apprezzato e conteso tra varie istituzioni. Forse si recava anche lui a…non per una causa di separazione, ma per tenere la sua millesima conferenza. Vedevo gli sbadigli dell’uditorio e sentivo i battimani di circostanza, e il conferenziere sorrideva soddisfatto e con sussiego.

Alla destra del signore importante c’era una giovane donna con una lunga treccia. Poteva avere una trentina d’anni. Il suo profilo mi ricordava vagamente la Madonna di Vladimir e Valeria – la prima fiamma della mia vita, quando io avevo quattordici anni e lei dodici – che mi odiava perché le facevo una corte spietata. Osservava la sequenza delle immagini che scorrevano al di là del finestrino, e che i suoi occhi inquieti sembravano filmare come una cinepresa. Presi a studiare il suo volto, chinando un po’ il capo in avanti per evitare la barriera dello studioso, sprofondato nella lettura di un complesso testo di economia politica. E intanto il treno correva…

Inaspettatamente la giovane donna voltò la testa dalla mia parte e incontrò il mio sguardo. Non so quanto tempo mi osservò, perché sorpreso e imbarazzato chiusi subito gli occhi, fingendo di dormire e di averli aperti soltanto per caso. Ripensavo all’espressione del suo viso e cercavo di decifrarla mentalmente. Vi avevo letto un misto di ostilità, noia e delusione, ma anche un bagliore di curiosità e di speranza. Sembrava attraversare quel momento così particolare, in cui l’incontro di una nuova persona è accolto con un sospiro di sollievo, come una liberazione, e può trasformarsi perfino in amore improvviso e incondizionato.

Quando riaprii gli occhi – guardava di nuovo il paesaggio. In quell’istante il treno imboccò una galleria e restammo al buio. Allora intuii che i nostri sguardi si cercavano liberamente, senza più la remora convenzionale della discrezione, ed erano felici d’incontrarsi senza essere visti. Quando il treno uscì dalla galleria e tornammo alla luce del giorno, provai una strana sensazione: mi sentivo come colto in flagrante, tremendamente “visibile”, come un nido tra i rami di un albero spoglio. E intanto il treno correva…

Il quel piccolo mondo mobile e traballante, in quella minisocietà, apparentemente normale e tranquilla, ciascuno di noi avrebbe potuto raccontare la sua storia “di un uomo e una donna”. Mi venne in mente mia moglie: aveva preso lei l’iniziativa, e in cuor mio la ringraziavo, anche se lo aveva fatto sperando in un tornaconto. Io forse non mi sarei mai deciso: pigrizia mentale? Incertezza? Non so con precisione… Del resto anche la mia prima fidanzata ufficiale era stata lei a lasciarmi, ma in quel caso avevo ricevuto almeno una lezione di saggezza e realismo femminile, e di coraggio, perché sono certo che mi amava ancora. Pensavo ai miei due figli più o meno dell’età di quei giovani che mi sedevano di fronte, due figli abituati ormai alla mia forzata lontananza e alla compagnia della madre, che con il suo vittimismo alimentava in entrambi  il risentimento nei miei confronti.

Improvvisamente la signora di mezza età mi rivolse la parola, destandomi dalle mie riflessioni:

- Qui dentro si soffoca! Può aprire la porta, per favore?

Aveva pronunciato le parole “qui dentro si soffoca” con un tono d’insofferenza e di stizza, ed ebbi la sensazione che, oltre al suo corpo, anche la sua anima avesse bisogno di aria. Mi affrettai ad aprire e mi ringraziò con un sorriso sforzato e incolore.

Dopo un po’ la signora di mezza età ruppe di nuovo il silenzio:

- Potrei dare un’occhiata al giornale?

- Ma certo, prego – le dissi.

Lo sfogliò per una decina di minuti, poi di colpo esclamò:

- Ecco cosa può fare una donna delusa e disperata!

Allungai il collo e lessi il titolo: “Avvelena il marito con un cioccolatino al cianuro”. La signora aggiunse ancora:

- Una donna in balia dell’egoismo e della prepotenza maschile deve pur difendersi in qualche modo, e per colpa dell’uomo diventa venale, ipocrita e…

- Ed è capace di odiare e di vendicarsi come nessun uomo riuscirebbe a fare – terminai io.

- Più che di odio e di vendetta, io parlerei di esasperazione – replicò la signora. – E poi bisogna dire che l’uomo soffoca l’odio con l’indifferenza, mentre la donna non può restare indifferente, il suo istinto e la sua sensibilità la spingono a reagire impulsivamente.

- Ma non si tratta piuttosto di orgoglio ferito e di ipersensibilità? – intervenne a sorpresa lo studioso.

- Niente affatto – saltò su la signora. – E la tragedia di questa donna che ha ucciso è tutta qui: oltre al carcere, ora dovrà subire la sofferenza del rimorso e della solitudine, e tutto per aver amato troppo.

- E poi c’è la questione dell’amore fisico – disse un po’ fuori tema e alquanto imbarazzata la sedicenne. – Una donna normale e che ci tiene alla sua dignità non va a letto con un uomo, se non lo ama, mentre anche il migliore uomo di questo mondo potrebbe tranquillamente farlo.

- Questo vuol dire che sessualmente la donna è inferiore all’uomo – osservò il ragazzo.

- Sarà anche così – replicò indispettita la signora – Ma è di gran lunga superiore all’uomo sentimentalmente.

   Dopo una mezz’ora di vivace discussione, intercalata da frequenti riempitivi, come: “Qui casca l’asino!”, Quel che è giusto è giusto”, “Ma non mi faccia ridere!” e simili, ormai chi più chi meno avevamo tutti espresso la propria opinione, tutti – tranne la giovane donna dalla lunga treccia. Soltanto lei non aveva detto nulla. Ogni tanto ci osservava con l’aria di chi conosce bene l’argomento, ma non interviene per un senso di modestia o di riservatezza, e poi tornava ad immergersi nel suo paesaggio.

Intanto il treno aveva rallentato la corsa e con un lungo stridente cigolio si arrestò sobbalzando. Eravamo arrivati alla stazione intermedia di…Alla finestra di una casa prospiciente la ferrovia vidi affacciarsi una donna. Salutava qualcuno agitando festosamente la mano e sorridendo di cuore. Certamente era qualcuno appena sceso, e che dalla mia posizione non riuscivo a scorgere. – Chiunque sia – mi dissi – è una persona fortunata e sarebbe bello trovarsi al suo posto.

Il treno lasciò la stazione e riprese a correre. La giovane donna si alzò e andò nel corridoio a fumare una sigaretta. Attraverso la porta la vedevo aspirare il fumo profondamente, come se volesse placare il turbamento interiore. Tamburellava nervosa le dita sul vetro del finestrino. All’improvviso mi venne un’idea assurda: forse anche lei ha intenzione di uccidere un uomo, forse nella borsetta nasconde una rivoltella…Immaginai di alzarmi e di andarle vicino, e che mi fissasse con aria interrogativa e lievemente ironica. Pensai di dirle:

- Per l’amor del cielo, non lo faccia, non si vendichi, mi prometta di perdonarlo, la prego, mi dica che lo perdona!

E immaginai la sua risposta, sofferta e meditata:

- Vorrei…sì, ma non posso…

“Non posso”, “non posso”, “non posso” – mi ripeté singhiozzando.

Rientrò nello scompartimento e si preparò a scendere alla fermata successiva. Prima di uscire ci salutò e passandomi davanti mi sussurrò con un filo di voce e sorridendo:

- Auguri!

- Grazie, anche a lei – risposi, e avrei voluto aggiungere: – Coraggio! – ma pensai che poteva sonare inopportuno o presuntuoso e mi limitai a ricambiare il sorriso. La seguii con lo sguardo e la vidi salire su un autobus, che la portò via assieme al suo segreto non svelato.

Malgrado la battaglia che mi aspettava in tribunale, ero tranquillo. Potevo dire diverse cose a mio favore e non mi sentivo particolarmente in colpa nei riguardi di mia moglie. Inoltre le sue pretese mi sembravano grottesche rispetto alle mie attuali possibilità finanziarie, ed ero certo che anche il giudice lo avrebbe capito.

Nessuno dei miei compagni di viaggio adesso aveva voglia di parlare, e neanche io. Socchiusi gli occhi con l’intenzione di dormire un po’…Pensai che presto avremmo avuto la pioggia, perché il dolore al ginocchio si era rifatto improvvisamente vivo, e avevo visto le cornacchie volteggiare irrequiete sopra gli alberi. Mi assopii. E il treno intanto correva…anche lui indifferente, come i grilli che si nascondevano nell’erba dei campi infocati dal sole, e che cantavano salutando il passaggio del convoglio.

(Paolo Statuti)



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