Magazine Diario personale
Non mi appartiene neanche il mio corpo.
Però essere tenuta nella mente, rimanere dentro, lasciare una traccia, in qualche modo appartenere a qualcuno, mi fa sentire viva.
In una vita ho sempre cercato un posto, anche piccolo ma speciale, accanto alle persone che ho amato.
Far parte, aggregarmi, sentirmi compresa, presa, considerata, pensata, sorretta, mi è indispensabile.
In una vita ho paura di essere dimenticata, o peggio, vivo nel timore e quindi nella convinzione profonda, di poter essere scordata.
In una vita ho riempito molte pagine di diari e quaderni, ho consegnato lettere e poesie, biglietti e pensieri appuntati sui tovaglioli del bar, ho scritto ovunque, solo quando davvero ne avevo voglia.
Ho usato le parole scritte per dire, le ho domate, incanalate, spinte, indirizzate e poi cancellate.
In una vita ho accatastato righe quando finivo il cambio di stagione e negli scatoloni infilavo fogli, quando facevo la lista della spesa e ci associavo i pensieri, ho aperto il pc di notte e ci ho rovesciato dentro cose che poi ho dimenticato, rileggendole molto dopo ho pensato: "sono mie?".
Le parole mi ossessionano, così come i libri e certe canzoni, l'immagine scritta, il suono e l'idea che una parola riesce ad evocarmi, mi distraggono, mi ipnotizzano e divento schiava di questa attrazione.
Un giorno camminavo verso la mia macchina ed ho letto i nomi dei miei figli stampati su adesivi grandi, appiccicati sul vetro posteriore, ho avuto una stretta allo stomaco, due nomi, i loro due nomi, io, nel mondo, ci avevo messo due figli miei, due bambini che stavano già crescendo ed erano concreti e veri come i loro nomi così visibili, e ci poteva passare sopra il tergicristallo, la pioggia, il sole, ma loro restavano lì, chiarissimi nello spazio.
In una vita la violenza di certe parole mi ha atterrito, così come mi ha intenerito l'anima
una parola piccola, apparentemente casuale, che qualcuno aveva scelto per me.
Sono solo parole, non ci ho mai creduto.
In una vita ci sono state le cartoline che non mi bastavano mai ed i fogli protocollo che puntualmente richiedevo alla cattedra perché finivano sotto alla mia penna pazza.
C'è stato il biglietto per dire che aspettavamo il nostro primo bambino e poi il nostro secondo, c'è stata la lettera di addio a tuo padre, quelle per mio nonno, i messaggi fra me e mia sorella, le mail ostinate e disperate, i messaggi di notte, il libro scritto a mano che ora gonfia un grande quaderno che non ho più riletto.
In una vita ho viaggiato troppo poco, mangiato molto, ho cancellato centinaia di mal di testa e vissuto dolori assurdi, il mio corpo parla troppo perché sono in contatto con tutte le anime fuorché con la mia, il mio corpo si lamenta continuamente perché so ascoltare i pensieri di tutti ma ignoro i miei, mi accascio di malessere perché riesco a sintonizzarmi con uno sconosciuto, profondamente, intanto che non so dove sono.
In una vita le parole all'improvviso mi mancano perché non ricordo più se lo amo davvero, che colore avesse precisamente la mia infanzia, cosa desidero esattamente stamattina; e chissà poi cosa potrei finalmente capire di me, se avessi qualcuno accanto che sapesse leggermi senza il bisogno che io scriva.