Viaggi di lavoro e viaggi di piacere. Film porno e film per famiglie. Viaggi in bicicletta e viaggi mentali. Viaggiate comodamente in casa vostra con questi 11 film de chevet con il viaggio dentro.
Film de chevet
Chevet in francese significa più o meno comodino. Le livre de chevet si tiene sul comodino per per sfogliarlo, rileggerlo, accarezzarlo. Come i libri, i film de chevet si amano, si guardano, si sfogliano, si accarezzano, si portano sempre con sé.
Meritiamo il lieto fine in 11 film de chevet
11 film de chevet da “leggere” sotto l’ombrellone
11 film de chevet carichi di speranza
I film de chevet su feste e party
“Vite vendute” [tit. orig. “Le Salaire de la peur”]
Di Henri-Georges Clouzot, 1953. Con Yves Montand, Charles Vanel, Folco Lulli, Peter Van Eyck, Vera Clouzot.
“Quando guida qualcun altro ho paura”
Il fosso: se lo conosci lo eviti (o almeno ci provi)
Ci sono viaggi di piacere e viaggi di lavoro. Buoni compagni di viaggio e cattivi compagni di viaggio. Viaggi tranquilli e viaggi avventurosi. E poi c’è questo viaggio terrificante per portare da un limbo di miseria a un inferno di fiamme due camion carichi di esplosivi. In una zona sperduta del centroamerica si ritrova un’umanità in fuga da qualcosa e con nessuna prospettiva. Ma se un pozzo petrolifero va in fiamme si presenta l’occasione per trovare un senso al nulla in cui si è piombati. Ma se si tratta di trasportare un carico di nitroglicerina su camion che dovranno viaggiare su strade sconnesse, montagne franate e ponti che crollano le possibilità di rivalsa si riducono all’osso. Sarà un pericolosissimo viaggio ad ostacoli dove come in uno spietato videogame ad un difficile passaggio segue un livello di difficoltà ancora maggiore. La suspance del viaggio esaltata dal realismo di Clouzot e dalla prova degli attori fanno di “Vite vendute” un film durissimo e beffardo.
Nel 1977 col titolo “Il salario della paura” il grande William Friedkin ne farà un remake. Il film è notevole ma il regista di “Il braccio violento della legge”, “L’esorcista” e “Vivere e morire a Los Angeles” non riuscirà ad essere duro come l’originale francese.
Invitate gli amici a vedere il film e ogni tanto fate scoppiare un petardo in mezzo ai loro piedi.
Vacanze romane [tit. orig. Roman Holiday]
di William Wyler (1953), con Gregory Peck, Audrey Hepburn, Eddie Albert
Attenzione: questi due stanno infrangendo diverse norme del codice della strada
In questi giorni di città ne ho visitate tante…ma la mia preferita è di sicuro stata Roma!
Volendo viaggiare, perché non lanciarsi in un suggestivo Grand Tour di capitali? Meglio ancora se si è principesse di un imprecisato principato! Come la bellissima Audrey Hepburn di Vacanze romane, che però, annoiatasi di balli in ambasciata e ufficialità, scappa e incappa nel giornalista Gregory Peck, si fa passare per una qualunque non-principessa e si gode un paio di giorni di normale vita vacanziera nella meravigliosa Roma degli anni Cinquanta.
I due inciampano anche in un afflato di tenerezza, ma subito tutto si ricompone: la principessa torna più conscia ai propri doveri (fatica erculea, i doveri di una principessa!), il giornalista dà prova di correttezza e signorilità non rivelando le di lei marachelle in borghese. Ah! poterci viaggiare adesso in quell’Italia lì! (ma si stava meglio quando si viaggiava di meno?)
Da guardare seduti sulla Vespa, anche con Nanni Moretti.
Due per la strada [tit. orig. Two for the Road]
di Stanley Donen (1967), con Audrey Hepburn e Albert Finney
– Che gente è quella che consuma un intero pasto al ristorante senza parlare? – Gente sposata.
L’amore è un gran viaggio finché dura
Che bello conoscersi e innamorarsi durante un viaggio! (segue sospiro) Che bello viaggiare insieme da innamorati! (segue sospiro) Rassegnatevi: todo cambia. Mark (Albert Finney) e Joanna (Audrey Hepburn) si conoscono ragazzi squattrinati sulle romantiche strade della campagna francese, si innamorano, si sposano e periodicamente ripercorrono in viaggio le stesse strade francesi. La loro vita cambia, il lavoro di Mark lo impegna e distrae, gli amici li giudicano, nasce una figlia, le tentazioni li circondano e confondono, si allontanano e riavvicinano, si amano o forse non si amano più: i viaggi si accavallano – camminando avanti e indietro nel tempo, dallo spensierato autostop all’elegante e adulta Mercedes – le strade sono le stesse, il resto somiglia sempre meno a ciò che era. Magari questa è l’ultima volta che viaggeranno insieme; magari, invece, basta solo cambiare destinazione e ricominciare. (Cambia, todo cambia, pero no cambia mi amor)
Da vedere col partner pensando all’ultima vacanza da single, che è poi l’ultima in cui vi siete veramente divertiti/e.
Easy Rider
di Dennis Hopper (1969), con Peter Fonda, Dennis Hopper, Jack Nicholson
Ognuno è libero di viaggiare come gli va, salvo poi constatare che in America la libertà è condizionata
Ah, certo, ti parlano, e ti parlano, e ti riparlano di questa famosa libertà individuale. Ma quando vedono un individuo veramente libero, allora hanno paura.
“Land of the free” recita l’inno statunitense. Per raccontare cos’era la libertà a fine anni Sessanta nella terra della libertà e del sogno, Hopper e Fonda – alias Billy (come Billy the Kid) e Wyatt (come Wyatt Earp), biker protagonisti e anche sceneggiatori insieme a Terry Southern – mettono insieme il padre dei road-movie e viaggiano dalla California alla Louisiana cercando un’America che non c’è. Come annunciava la locandina del film, “A man went looking for America. And couldn’t find it anywhere…” Viaggio come ricerca, avventura, manifesto di una nuova cultura e di un nuovo stile di vita che reclama il diritto a esistere ma resta “diverso” e inaccettabile (come ogni diversità) nella provincia profonda dei redneck e di una middle class ipocrita. Un catalogo di icone della controcultura hippie, un film storico (in ogni senso) e mitico (in senso non gergale).
Da guardare seduti su un chopper cantando a squarciagola tutta l’incredibile, incredibile, incredibile colonna sonora.
Dovrei dirti una cosa, ma in questo momento ho il fiatone
“Turné”
Di Gabriele Salvatores, 1990. Con Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Laura Morante.
“Io stavo male. Stavo bene quando stavo male. Tu mi hai fatto star bene? E io adesso sto male! “
Due amici in giro per l’Italia per una tournée teatrale. Viaggiare a lungo aiuta a conoscersi meglio e a confidarsi. Alla fine del viaggio l’amicizia sarà indissolubile. Oppure non si avrà voglia di rivedersi mai più. Certo se devi confessare all’amico depresso che gli hai fregato la ragazza il viaggio non sarà spensierato come quello post maturità. Abatantuono e Bentivoglio sembrano fatti apposta per questa storia che magari non è così diversa da qualcosa che abbiamo vissuto anche noi. Dopo il successo di “Marrakech Express” Salvatore si concede questo film on the road più intimo, malinconico e divertente, ancora oggi una delle sue cose migliori.
Fregate la ragazza a un amico e poi guardate il film insieme a lui
“Il viaggio” [tit. orig. "El Viaje]
di Fernando Solanas, Argentina, 1992
“L’avventura di essere giovani.”
Un film che inizia nel “buco del culo del mondo” (Terra del Fuoco argentina) e che ci porta (in bicicletta!) fino ai Caraibi, lungo tutto il continente latinoamericano. Solanas, pur con le sue esagerazioni e le sue metafore tagliate con l’accetta, ci incanta con storie, scenari, personaggi, le tavole del grandissimo Alberto Breccia e le musiche di Egberto Gismonti e Astor Piazzolla (venuto a mancare durante la loro preparazione), che fanno da contorno alla trama:
Hai voluto la bicicletta?
Martin, giovane e insoddisfatto adolescente, figlio di una madre (ben) risposata a Ushuaia, la città più meridionale del mondo, va alla ricerca del vero padre, un ingegnere sempre in movimento in tutto il continente. Scoprirà una America sotto il giogo statunitense (toh, Solanas…), schiava delle convenzioni, ma vitale e meravigliosa. Nota a margine: vedere a distanza di 20 anni come era descritto il Brasile (tutti legati con cinture, in attesa ogni giorno di sapere dal FMI attraverso la TV a quale buco stringere la cinghia), oggi locomotiva economica del continente e del mondo, viene da chiedersi dove e quando ci siamo persi qualcosa.
Da guardare oliando la bicicletta, per marciare su Francoforte e andare a occupare la BCE
Un brindisi in allegria
“Il viaggio di Felicia” [tit. ofig. "Felicia's journey"]
di Atom Egoyan, GB-Canada, 1999. Con Bob Hoskins, Peter McDonald, Elaine Cassidy, Arsinée Khanjian
“Qualcuno potrebbe dire che è omicidio…”
Film molto British, anche se diretto da un canadese. La Felicia del titolo parte dall’Irlanda del Nord per ritrovare a Birmingham il ragazzo che l’ha messa incinta, militare di Sua Maestà. Se ne va lasciandosi dietro gli insulti del di lei padre, schifato da una figlia poco più che adolescente che si fa trombare da un filogovernativo, e della di lui madre, che la tratta da ragazza poco seria, pronta a rovinare l’amato figliolo. Trova un po’ di affetto solo nell’uomo che casualmente la accoglie a Birmingham, titolare di una impresa di ristorazione e figlio di una nota chef televisiva degli anni ’60, con un piccolo problema: è un serial killer che uccide ragazze sole. È un viaggio di puro dolore, alla fine del quale c’è la libertà. Ma a prezzo di morte e lutti. Un mondo senza speranza, il rischio reale di scadere nel melodramma così caro ad Egoyan; però il film tiene inchiodati alla poltrona fino alla fine.
Da guardare affilando le lame (per preparare una ricetta di Benedetta Parodi)
Colonna sonora: “Hop hop somarello” di Paolo Barabani (versione porno)
“Scopami” [tit. orig. "Baise-moi"]
di V. Despentes, Coralie Trinh Thi. Francia, 2000. Con Raffaela Anderson, Karen Back, Adama Niane, Christophe Claudy Landry, Delphine McCarty
“ah-ah-ah, che schifo, mi è venuto in bocca!”
Ok, parliamoci chiaro: sotto l’operazione commerciale di pomparlo come “il Thelma e Louise esplicito, che disturberà gli stomaci delicati”, siamo stati tutti contenti di potere andare a vederci un pornazzo in un cinema normale senza doverci mettere barba e baffi finti. I meriti del film si esauriscono qui, perché per il resto è un pornazzo, neanche dei migliori, in cui si seguono le vicende (hard) di due compagne casuali di viaggio, entrambe in fuga da omicidi involontari, che – non sapendo checcazzofare nei lunghi giorni di fuga attraverso tutta la Francia – si chiavano o ammazzano o (spesso) tutti e due quello che si muove. Ribellismo, anarchismo, società ipocrita che non ci capisce… alla fine la cifra artistica del film sta tutto nel cunnilingus-fellatio-standard-creampie-anal-cumming-in-your-mouth, ripetuto 5 o 6 volte. Insomma: come si sarà capito, a me, è piaciuto, anche se si ha sempre il timore che (come in Berlinguer, ti voglio bene), qualcuno dal fondo gridi “Troppa tramaaaa!!”.
Da guardare quando il collegamento a Youporn inopinatamente non funziona
Sideways – In viaggio con Jack
di Alexander Payne, USA 2005. Con Paul Giamatti, Thomas Haden Church, Virginia Madsen, Sandra Oh
Il viaggio va bevuto fino all’ultima goccia, che se lo sputi come fanno i sommelier non impari niente
Andiamo a divertirci, Miles. Ti ricordi cosa vuol dire “divertirsi”?
Un semplice e piacevole addio al celibato: una settimana in viaggio tra le cantine della California, a bere e mangiare bene, giocare a golf e chiacchierare con un amico (da vent’anni) che tra poco si sposa. Anche se è in crisi, la sua vita tendenzialmente è uno schifo, sua moglie l’ha lasciato e lui la rimpiange, è quasi sul lastrico e il suo romanzo viene sistematicamente rifiutato dagli editori, Miles è convinto che questa settimana sarà un sogno: centellinerà Pinot nero col suo amico Jack e se la godrà un mondo a svelargli i segreti del vino. Ma non si dice che soltanto in viaggio conosci davvero le persone? che le migliori amicizie si sono sgretolate in viaggio? A Miles nella settimana con Jack va tutto abbastanza male e al termine del viaggio si ritrova a stappare la sua bottiglia più preziosa (uno Chateau Cheval Blanc del 1961) per suggerne (autolesionisticamente) l’impagabile contenuto in un bicchiere di plastica. In mezzo, una storia ironica sul diventare degli ometti adulti (c’entrano le donne, le responsabilità, lo smettere di fare il patacca, l’accettare le sconfitte e, soprattutto, il Merlot): viaggiando si impara.
Da guardare bevendo a gargarozzo vino rosso dal cartone, perché dai! basta con ‘sta menata del vino!
Little Miss Sunshine
Nessuno siamo perfetti, ciascuno c’abbiamo i suoi difetti
Jonathan Dayton e Valerie Faris, USA, 2006. Con Greg Kinnear, Toni Collette, Steve Carell, Paul Dano, Alan Arkin
“La vita è un cazzuto concorso di bellezza dietro l’altro”
Una tipica famiglia americana: lui (un grande Greg Kinnear) tiene corsi di formazione frequentati da quattro poveracci su come avere successo nella vita, ma è in attesa della pubblicazione del suo libro sul tema, un nonno cacciato dalla casa di riposo perché cocainomane, lo zio docente e secondo massimo esperto di Proust reduce da un tentativo di suicidio perché il bel dottorando di cui è innamorato si è messo con il prof suo rivale, massimo esperto di Proust americano, il figlio adulto che ha fatto voto di non parlare più fino a che non sarà accettato in Accademia aeronautica e si esprime solo scrivendo su un blocchetto. Tutta questa amabile famigliola deve accompagnare con uno scassato furgone la figlia piccola, di circa otto anni, al più famoso concorso di bellezza per bambine della California, Little Miss Sunshine, per la quale è stata quasi casualmente selezionata. Il viaggio diventa presto un redde rationem picaresco, alla fine del quale ogni personaggio si riconcilia innanzitutto con se stesso e con le proprie miserie. Il film amarognolo ma fondamentalmente a lieto fine ha fatto storcere ilo nasino a più di un cinico in servizio permanente effettivo, ma alcuni passaggi – il nonno erotomane, il padre fallito che crede di avere qualcosa da dire al mondo, i personaggi del concorso di bellezza (dalle madri alle povere bambine imbrillantinate, dai giurati al presentatore) sono perle assolute.
Da guardare con l’intera famiglia, dispensando massime sulla autorealizzazione
“In Bruges – La coscienza dell’assassino”
Di Martin McDonagh, 2008. Con Colin Farrel, Brendan Gleeson, Ralph Fiennes.
Bruges è come Venezia: è bella, ma non so se ci vivrei
“Il purgatorio è dove si sta non troppo bene e non troppo male. Come il Tottenham.”
A chi verrebbe in mente di fare un viaggio in Belgio? Davvero in pochi visto che anche il 75% dei belgi preferisce passare le ferie all’estero. Ma se sei un killer sbruffone (quel torello con la faccia da tenerone di Colin Farrell) che per errore ha ucciso un bambino potrebbe capitarti di doverti nascondere proprio a Bruges. La cittadina fiamminga ha un magnifico borgo medievale e una rete di canali che la rende “la Venezia del Nord” (ogni città con anche solo un canale è soprannominata la Venezia di qualche cosa), il compagno di viaggio è un collega più anziano e affidabile con cui ti trovi bene (col faccione da compagno di bevute irlandese di Brendan Gleeson), ma di stare “rinchiuso” in quella cittadina noiosa proprio non ti va. Ma è lì che comincia il viaggio, perché la città che prima ti respingeva comincia a lasciarsi scoprire e a coinvolgerti fino a farsi amare. Ed è quello che succede a questo film che lentamente ti coinvolge e ti fa entrare in sintonia coi personaggi e con la città in un crescendo emozionante. Tra citazioni, momenti visionari, droghe, pistole e finali commoventi questo film ci fa anche venire voglia di fare un giretto in Belgio.
Da vedere con un amico, un nano e una prostituta in un giorno in cui la vostra coscienza non è proprio candida.
Bonus Track
“Alice nel paese delle meraviglie” [tit. orig. "Alice in wonderland"]
Di Walt Disney, 1951
Alice: “Volevo soltanto chiederle che strada devo prendere!”
Stregatto: “Be’, tutto dipende da dove vuoi andare!”
Ma che viaggi ti fai? Hai una banana gigantesca!
Non c’è dubbio il più grande viaggione di sempre è quello che si fa la piccola Alice nel paese delle meraviglie. Chi altri nel corso di una sola vacanza ha corso una maratonda, festeggiato il non compleanno, fumato col brucaliffo, rincorso un coniglio col panciotto, litigato con dei fiori maleducati, sfidato la regina di cuori …? Per viaggiare bisogna lasciarsi andare, sperimentare, non essere troppo ligi alle regole, essere in grado di diventare grandi per poi ritornare piccini. Certo può anche essere rischioso, il viaggio da sogno potrebbe trasformarsi in incubo senza via di fuga, però andiamo se si sta sempre chiusi in recinto a giuocare con un gattino che divertimento c’è?
Il famoso libro di Lewis Carroll ha avuto diverse trasposizioni cinematografiche, ma la migliore resta sempre quella animata di Walt Disney. Tutti abbiamo visto questo film. Probabilmente da bambini ci ha fatto paura, forse da grandi lo troviamo troppo assurdo, ma sicuramente ogni visione ci consente di farci coinvolgere da personaggi che avevamo seppellito in qualche buco della memoria o dell’inconscio.
Prima di vedere il film leggere attentamente le istruzioni per l’uso. E poi fare il contrario