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In viaggio con la vespa 7: attraverso il mali

Creato il 16 marzo 2013 da Postpopuli @PostPopuli

Prosegue l’itinerario nel mondo in viaggio con la Vespa (e non solo) di Giorgio Càeran. Ecco la settima puntata: dopo essere entrati nel Mali, lo attraversiamo, penetrando nei suoi luoghi e nella sua natura.

di Giorgio Càeran

Da Giramondo libero – In viaggio con la Vespa o con lo zaino (Giorgio Nada Editore)

(gennaio 1985, parte di un viaggio iniziato il 21 dicembre 1984 e finito il 15 febbraio 1985)

IN VIAGGIO CON LA VESPA 7: ATTRAVERSO IL MALI

Veduta fluviale di Kayes (da Wikipedia)

La mattina di giovedì 31 gennaio mi sveglio presto, saluto Bruno e gli altri francesi e quindi vado alla stazione ferroviaria. Scarto l’idea del camion perché non vorrei che il camionista si dimenticasse di venirmi a prendere… In stazione prendo un biglietto di seconda classe e salgo su un convoglio sovraffollato, tanto che non trovo dove sedermi. Sul treno c’è un vasto campionario di pacchi, bagagli, cesti, contenitori, ruote, stuoie, fagotti legati alla buona e perfino un ombrello. Si annuncia dunque faticoso, il mio viaggio, pressato come sono in quella calca. Purtroppo, sono accanto alla toilette, per giunta! Alle 9,15 sarebbe l’ora di partire per Kayes, lungo un percorso sui binari di cinquecentotré chilometri, ma il treno non si muove… cosa d’altronde che avevo previsto ancor prima di salire in carrozza.

Si parte infine con un’ora di ritardo. Il viaggio, ricco di “colore”, conferma le mie previsioni più pessimistiche: non riesco a stare dieci minuti tranquillo perché c’è un via vai di passeggeri che vanno alla toilette, e fra questi molti addirittura lo fanno parecchie volte. Poi c’è il bigliettaio che, accompagnato da una scorta di poliziotti, si muove in continuazione avanti e indietro. Per fare un favore a certi miei compagni di viaggio, mentre sto cercando di aggiustare la maniglia difettosa della toilette, mi faccio un taglio a un piede. Dallo zaino che ho a portata di mano, prendo l’acqua ossigenata per disinfettare la ferita e medicarla sotto gli sguardi incuriositi dei passeggeri vicini. Di tanto in tanto riesco a sedermi sulla spalliera di un sedile. Accanto a me c’è un neonato magrissimo: osservandolo mi viene spontaneo pensare ai nostri bebè così paffuti ai quali non manca niente, incominciando da una madre ben nutrita. Qui, dove invece manca spesso anche l’indispensabile, i bambini piangono poco e sono meno capricciosi dei nostri. Osservo i passeggeri mentre mangiano con le mani sporche, servendosi dallo stesso recipiente: hanno portato da casa contenitori, ricoperti di stoffa, nei quali ci sono carne cotta, riso, verdure e via dicendo… tutto insieme! Mi viene offerto un po’ di questo cibo, ma rifiuto e spero invece che qualcuno m’inviti a sedere per un po’, ma inutilmente.

Più avanti sale una giovane donna molto carina, ben vestita: indossa e porta bene un vestito lungo a fondo nero con bei disegni. Fiori bianchi e giallo scuro si alternano a cigni argentati sul suo abito. Anche le scarpe, a tacco piuttosto basso, sono argentate e bene intonate al vestito che indossa. I capelli della ragazza sono raccolti in piccole trecce, attorno agli occhi una sfumatura di grigio argentato, e le unghie sono dipinte d’argento. Il viso è particolarmente bello, con lineamenti regolari e armoniosi. La giovane è gomito a gomito con me e non nasconde una certa insofferenza per il disagio di quel viaggio. Più in là, un’altra donna che ha orecchie crivellate di buchi impressionanti porta orecchini così grandi che li sorregge con una corda appoggiata sul capo.

Non ho toccato cibo né bevuto in tutto il giorno e sono assetato, ma nelle piccole stazioni in cui il treno si ferma i venditori ambulanti, sempre numerosi, offrono frutta e cibi vari, però non hanno bevande. Compro tre mandarini e altrettante banane, ma poi ho più sete di prima. C’è un caldo tremendo e sono piuttosto indolenzito. Presso una stazione incrociamo il treno proveniente da Dakar diretto a Bamako: vedo che non è affollato come quello su cui mi trovo grazie a un numero maggiore di carrozze. Il paesaggio è monotono, fatta eccezione per il largo fiume Bakoye che passa per Mahina. Alla stazione successiva c’è la fermata per la preghiera ad Allah. Quando si riparte è già buio.

Alle nove e un quarto di sera, dopo undici ore di un viaggio estenuante, finalmente giungo a Kayes. Esco alla svelta dalla stazione ferroviaria per bere velocemente due Fanta fresche che pago 150 franchi CFA l’una: è caro, trattandosi di un rivenditore di bibite e non di un ristorante. Nell’alloggio dove pernotto c’è un ventilatore a elica appeso al soffitto; l’apparecchio ha un avviamento elettrico a cinque velocità e io l’accendo subito al massimo. Ho soltanto sete, non ho fame e neppure sonno, nonostante la stanchezza. Resto sveglio tutta la notte per l’ennesima volta (la mia inseparabile insonnia…), ascoltando il ronzio delle zanzare. Mi si assicura che Kayes (m 47 sul livello del mare) è una delle località climaticamente più calde dell’Africa.

IN VIAGGIO CON LA VESPA 7: ATTRAVERSO IL MALI

Le cascate di Félou (da Wikipedia)

L’indomani, dato che ancora non ho appetito, mi avvio pian piano verso il mercato per visitarlo: le bancarelle sono disposte bene e la vivacità delle persone che vendono o comprano è moderata; non c’è il solito chiasso assordante. Kayes non è meta di turisti e questo mi fa contento, però, quando chiedo ad alcuni autisti di tassì-brousse quanto costa andare a visitare le cascate, vedo che la cifra di sola andata, oscillante fra i 12.000 e i 15.000 franchi locali, è assolutamente “turistica”! Sto per rinunciare, quando mi viene l’idea di chiedere se ci sono mezzi di linea per quella località: così scopro che tali veicoli (“Peugeot” trasformati in furgoncini) esistono, e il costo del biglietto, ritorno compreso, è di 1.000 franchi CFA. Decido di partire e nell’attesa bevo succhi di frutta del luogo.

Si parte per Félou con un’ora di ritardo sull’orario indicato: il Peugeot porta venti persone ammassate l’una contro l’altra. Il tragitto, lungo quindici chilometri, è a sud di Kayes ed è un miscuglio di sabbia, sassi e buche. Attraversiamo un piccolo villaggio caratteristico e quindi costeggiamo il fiume Senegal, che si presenta con il suo largo e placido letto. Scendo infine, io solo, davanti a una minuscola diga della centrale idroelettrica di Félou. L’autista del Peugeot ripasserà a prendermi più tardi. Per percorrere quindici chilometri c’è voluta un’ora.


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