L’Italia è l’immagine sputata del Costa Concordia. Il Costa Concordia è l’ideale allegoria dell’Italia. Quante volte avete letto, riletto e risentito questi parallelismi negli ultimi quindici giorni? Spiace ripetere cose già dette da altri, ma non esiste verità più cristallina. L’Italia è come la carretta del mare di Costa Crociere: inaffondabile. Sventuratamente, lo è soprattutto dopo che è stata affondata. Non c’è catastrofe marittima, speronamento, siluramento, cozzo improvviso con le secche scogliose che riesca a toglierci di torno la sua gocciolante e pesta carcassa. Sderenata dalle perenni cornate contro faraglioni e roccioni affioranti, la petula bagnarola non s’inabissa, non scompare tra i flutti, non s’acquatta sul fondo a far da ostello ai dentici lagunari, non s’offre alla biocenosi coralligena delle gorgonie festanti. Essa invece si corica, si capotta, si ribalta, s’aggroviglia, si piega a novanta gradi scatavoltando sedie, lampadari, cadaveri e tavoli da biliardo contro le pareti di tribordo. Si riduce ad ammasso di modernità frantumata, a discarica di articoli di lusso biancheggianti tra il guizzare dei pesci, a camposanto galleggiante delle velleità economiche, turistiche e imprenditoriali dei maldestri. Ma non affonda. Resta lì immobile, il corpaccione marcescente adagiato sulla linea dell’orizzonte, a pochi metri dalla battigia, quale monito sempiterno della nostra condanna al limbo: troppo indecente per vivere, troppo stupida per morire.
L’Italia è colata a picco, ma il suo ingombrante relitto non se ne dà pensiero e continua imperterrito a inquinare, a intralciare la navigazione, a occupare le prime serate, a ostruire la visuale di chi cerca di scrutare lontano. Come in certi racconti dell’orrore di Ambrose Bierce, è un morto che non sa di essere morto e non cessa di scimmiottare la vita, suscitando raccapriccio e sconcerto tra i tremuli viandanti notturni.