Ho guardato con interesse il servizio della piccola tv online Uniroma TV che la stessa redazione ha indicato commentando una mia pagina di approfondimento “Gli impianti sportivi e l’ambiente“.
Il tema della sostenibilità dello sport non è facile da affrontare, perché si toccano credenze e miti difficili da sfatare. Nel caso della sostenibilità, poi, i miti sono molteplici, come quello imperante in questa contingenza nazionale che vuole impossibile soddisfare il fabbisogno energetico soltanto con l’energia rinnovabile.
Il senso di questo post, però, non è entrare in polemica con i fautori del nucleare, ma quello di porre l’attenzione su un impianto, quello a cui fa riferimento il servizio di cui al link, dedicato allo sport e che si dichiara autosufficente dal punto di vista energetico, nonché virtuoso. Un esempio, nelle parole degli intervistati, che potrebbe essere riprodotto anche per le singole abitazioni e per altri impianti sportivi, a cominciare da quelli che saranno realizzati qualora si concretizzi la candidatura di Roma 2020.
Partiamo quindi dalla piscine del CUS della Sapienza, inaugurata il primo marzo. Di cosa si tratta?
“ll termine cogenerazione – mi ha spiegato l’ufficio stampa dell’Università – sta a significare lo sfruttamento della produzione di energia secondaria, che può essere energia elettrica, meccanica o energia termica alimentate da un’unica fonte primaria, preferibilmente rinnovabile, tutto in un unico sistema.
L’impianto del CUS della Sapienza è deputato quindi all’utilizzo di fonti d’energia alternativa, è alimentato da metano e idrogeno, limitando le emissioni di CO2 e di altre sostanze che derivano dalla combustione di idrocarburi, grazie al suo basso contenuto di carbonio.
L’impianto, innovativo e rispettoso dell’ambiente, riuscirà a produrre la quantità di energia necessaria per gli impianti elettrici dei campi sportivi e di quelli per il riscaldamento della piscina, ma verrà anche utilizzato come laboratorio. Il progetto è inserito nelle attività del Piano per l’Energia Sostenibile richiesto dal Patto dei Sindaci alla Città di Roma e verrà diffuso all’interno della serie di interventi energetici ed ambientali previsti per la candidatura di Roma Capitale per le Olimpiadi del 2020.”
Sinceramente mi sarei aspettato, per un impianto così innovativo, maggior rimbalzo mediatico, ma tant’è.
Bisogna dire che se il Comitato Organizzatore di Roma 2020 pensa di risolvere la questione sport/ambiente soltanto con la realizzazione di impianti “virtuosi” probabilmente affronta soltanto parte del problema. Commette un errore comune per quanti analizzano il legame sport/ambiente. Ci tornerò tra poco.
Quando circa un anno fa ho assistito alla presentazione della candidatura di Roma 2020 all’Auditorium rimasi perplesso, soprattutto riguardo l’impostazione che soggiaceva la candidatura. Nessuna vision, nessun sogno, una candidatura frutto della crisi e quindi con un imperativo: “recuperare”.
Si disse, allora, “poche nuove strutture verranno costruite”, la maggior parte (circa 40) recuperate e risistemate. La fascinosa tecnologia realizzata dall’università La Sapienza per la proprio piscina, quindi, probabilmente sarà utilizzata (se lo sarà) soltanto per una parte marginale delle strutture realizzate per Roma 2020 (quando mai si dovesse realizzare).
E l’avvenieristica piscina di bolle e specchi, il nido di uccello di Pechino? Nulla. Ascoltando la dichiarazione dell’assessore allo sport di Roma annunciante le future 40 piscine (?) mi sono venuti in mente i mondiali di nuoto di 2 anni fa e la coda di polemiche e manette. Allora la tecnologia per impianti virtuosi era già conosciuta. Il mio articolo sul Sole 24 Ore Sport, quello che ha stuzzicato l’indicazione di Uniroma Tv, era precedente e parlava di impianti all’avanguardia.
Ma la lacuna fondamentale, a mio avviso, del progetto Roma 2020 riguarda i flussi degli spettatori. Torniamo all’errore di cui sopra. In Italia se si parla di sport pulito si pensa ad uno sport che nella pratica non genera CO2. A parte auto e motociclismo, tutti. Nella realtà non è così. Lo sport che inquina è quello che muove il maggior numero di spettatori. Soprattutto se questi non sono incanalati in flussi virtuosi, ma affidati allo spostamento privato. Per capirci: non serve un stadio in grado di produrre l’energia che assorbe se poi, per raggiungerlo, bisogna utilizzare le auto o se non prevede lo smaltimento differenziato dei rifiuti. Analogamente il discorso vale per una manifestazione seguita come le Olimpiadi. I circa 6 milioni di spettatori come si sposteranno per la città? In che stato la lasceranno? Per capire quali sport inquinano veramente e soprattutto, chi sono gli organizzatori di eventi che meno fanno per l’ambiente rimando al mio articolo e a quanto, vi prometto, scriverò in futuro.
In attesa di risposte un plauso all’Università di Roma che con il nuovo impianto del CUS prova in qualche modo a porre l’attenzione sul problema.
Antonio Ungaro