Il 19 marzo sono andate in fiamme le aziende di Scarmagno, vicino Ivrea, ovvero ciò che rimane dello smembramento dell’Olivetti. Al momento ci sono due indagati. E quattro aziende, con 700 lavoratori a rischio, che non vogliono arrendesi.
Comprensorio di Scarmagno, Torino, dintorni di Ivrea. Fino agli anni ’90 conosciuto come il grande polo industriale Olivetti. Da quei capannoni uscivano pc, server, stampanti diretti in Italia e nel mondo. Ci lavoravano migliaia di persone. Oggi sono rimaste a Scarmagno solo le insegne, di Olivetti, e circa 700 persone al lavoro fra le tante schegge sopravvissute, quasi tutte nel ‘capannone C’. Ma il 19 marzo il capannone C ha preso fuoco. Erano passate da poco le 16.00 quando è iniziato l’inferno. Tutto parte dai laboratori della CellTel, dove riparano telefonini per la Telecom: cadono gocce di plastica incendiarie, prende fuoco uno scatolone, poi un altro, gli operai addetti alla sicurezza corrono a prendere gli estintori ma si rendono conto che non ce la fanno ad arginare l’incendio. Piove fuoco.
Tram, operaia CellTel, ci racconta: “Pensavo fosse un’esercitazione e mi stavo muovendo con calma, poi ho iniziato a vedere del fumo nerissimo, allora sono corsa allo spogliatoio, ho preso borsa e giacca e sono uscita”. Continua: “Ho pensato subito a salvarmi ma fuori mi è crollato il mondo addosso pensando che stava bruciando il mio lavoro. Non so come farò”. A Gianni, che era presente proprio nell’area dove è iniziato l’incendio, chiedo come ha vissuto quel terribile momento: “Quasi non te ne rendi conto… vedi il fuoco sul soffitto, usi l’estintore finchè puoi… poi vedi bruciare i lucernai di plexiglas, con goccioline di plastica incendiate che piovono dappertutto allora corri fuori, e quando eravamo tutti nel piazzale abbiamo visto bruciare tutto come un fiammifero”. I quasi 400 lavoratori presenti in quel momento sono tutti usciti senza problemi, nessuna vittima, ma il fuoco ha mangiato tutto: arredi, macchinari, strutture. Però il mattino dopo i lavoratori erano di nuovo tutti lì, anche se sapevano che non c’era più nulla da fare. Guardavano attraverso i cancelli, muti.
Viene improvvisata un’assemblea in uno spiazzo poco distante. Prende la parola Lino Malerba della Fiom: “Dobbiamo restare uniti. Ci troviamo in una situazione analoga a un terremoto, ma senza i fondi europei, senza lo stato di calamità, senza aiuti automatici dalle istituzioni. Dobbiamo incalzare aziende, clienti e istituzioni perché salvino questi posti di lavoro. Non ci faremo seppellire dalla cenere, anzi siamo da subito disponibili a rimboccarci le maniche ed essere in prima linea se sarà necessario”. La reazione arriva: la convocazione immediata di un vertice al Comune di Ivrea con la Provincia di Torino e Regione Piemonte, insieme alle aziende coinvolte e ai sindacati. Il primo risultato è stato l’impegno dell’Inps di anticipare – in via eccezionale – la cassa integrazione (le aziende più piccole difatti non avrebbero potuto anticipare e quindi i lavoratori avrebbero rischiato di aspettare mesi). Il secondo passo è quello di capire dove reperire finanziamenti, ad oggi la stima dei danni si avvicina ai 50 milioni di euro, perché tutti vogliono “Ricostruire Scarmagno”, e potete aderire al gruppo facebook.
Dobiamo ricostruire per i lavoratori della CellTel (riparazione telefonini per Telecom – 216 lavoratori), Wirelab (riparazione piastre per telefonia pubblica – 42 lavoratori), Comdata (Call Center 230 lavoratori), Innovis (back office Telecom – 170 lavoratori). Le ultime due avendo una sede ad Ivrea hanno subito fatto spazio ai colleghi di Scarmagno, che hanno potuto riprendere subito a lavorare. Nel capannone C c’erano anche un paio di lavoratori che producevano l’inchiostro per lo stabilimento di Arnad della Olivetti I-Jet, l’azienda che Olivetti-Telecom ha messo in liquidazione, che deve terminare le ultime produzioni prima di chiudere definitivamente. Dice Gianni: “Noi siamo qui, non siamo rassegnati, vogliamo un impegno vero da parte di tutti per far sì che il polo di Scarmagno torni a vivere, non vogliamo essere assistiti, ma tornare a lavorare. E se qualcuno pensa che passato il momento della commozione e della solidarietà potremo essere dimenticati, sappia già da ora che non sarà così. Siamo bruciacchiati ma non rassegnati”.
di Cadigia Perini | @cadigiaperini