Un percorso intimo e discreto attraverso le vie di Roma per ricordare gli orrori dell’Olocausto
Elisa Daniela Montanari. Con l’avvicinarsi della giornata della memoria, 27 gennaio, si avvicina anche la quarta edizione romana del progetto “MEMORIE D’INCIAMPO”.
Migliaia le targhette d’ottone sottoforma di sampietrini installate in tutta Europa e tante quelle che dovranno ancora venire durante questa iniziativa titanica.
Iniziato nel 1995, il progetto, ideato dall’artista tedesco Gunter Demnig, prevede la posa di un sampietrino di ottone nelle vicinanze di tutte le abitazioni dove vissero persone deportate nei campi di concentramento nazisti. Nome completo, anno di nascita, data e luogo del campo di deportazione, se conosciuta, data di morte; questi gli elementi scelti per ricordare una persona che la follia nazista voleva ridurre soltanto a un numero. Non solo ebrei, ma anche omosessuali, oppositori al regime, zingari, portatori di handicap e tutti coloro che malauguratamente venivano riconosciuti come “diversi” dall’ideale ariano, vengono oggi ricordati, lasciando un segno indelebile nella pelle delle città.
L’idea venne all’artista due anni prima il suo esordio, quando nel1993 inoccasione di un invito a Colonia per un’installazione in memoria di cittadini rom e sinti deportati, un’anziana signora obiettò che nessun cittadino rom avesse mai abitato nella città. Da quel momento il lavoro dell’artista si concentrò sulla ricerca e testimonianza dell’esistenza di cittadini scomparsi a seguito delle persecuzioni naziste.
L’impresa, che vede posare le sue prime pietre (Stolpersteine) proprio a Colonia, conta oggi più di 22.000 targhette sparse per le vie della Germania, Austria, Ungheria, Ucraina, Cecoslovacchia, Polonia, Paesi Bassi e Italia.
Il luogo dell’installazione, preferibilmente il più attiguo possibile all’abitazione occupata un tempo dai perseguitati, viene deciso in accordo con i familiari delle vittime e gli abitanti attuali delle dimore. Si tenta di evitare in questo modo alcune polemiche sorte in passato in merito a queste “pietre”, che, seppur discrete, sono portatrici di un peso psicologico difficilmente ignorabile, sede della memoria di atrocità reali, avvenute in un tempo non ancora così distante.
L’inciampo prodotto non è fisico ma visivo e mentale; costringe il cittadino a ripensare a un doloroso passato che torna a bussare alla porta, non attraverso la solita, fredda e sterile monumentalità, ma divenendo «parte della città, a conferma che la memoria non può risolversi in un appuntamento occasionale e celebrativo, ma costituire parte integrante della vita quotidiana», così come dichiarato dal Mibac.