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Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, di Woody Allen

Da Dallenebbiemantovane

RECENSIONE SINTETICA

Una cagata pazzesca: risparmiate i soldi.

Incontrerai l'uomo dei tuoi sogni, di Woody Allen

RECENSIONE ESTESA: *** spoiler sulla trama***
Piovigginava; detesto la pioggerellina che ti buca le ossa, più dell'acquazzone vero e proprio. Inoltre, se avesse piovuto sul serio, io, che ero senza ombrello, sarei andata dritta a casa e avrei potuto dedicarmi al mio libro, che non va avanti, o alle mie letture, che languono desolate.
Invece piovigginava, ero nervosa, mi dicevo: evvai, quale migliore garanzia del nuovo Woody Allen per finire in bellezza una giornata faticosa?
E guardate che non sono di quelli, io, che dicono che Allen è finito da almeno dieci anni: ha fatto ottimi film anche negli ultimi anni, riuscendo anche nel genere drammatico: Match point insegna.
Purtroppo la ciofeca vista ieri sera non appartiene né alla commedia brillante in cui Woody era maestro, né ad altro. E' una ciofeca immangiabile e insapore, e basta.
Intanto ti irrita dal primo istante post titoli di testa con la voce del narratore, una cosa che se la fa un esordiente è un'ingenuità, se la fa un genio con almeno quarant'anni di mestiere è una presa per il culo.
Se tu sei un regista cinematografico maturo, per raccontare la storia usi i mezzi cinematografici a tua disposizione: segui un personaggio mentre cammina, scrivi dei dialoghi, usi la musica, la fotografia, eccetera. La voce fuori campo no, è l'extrema ratio per spiegare cose altrimenti inspiegabili, quindi in questo caso è solo pigrizia. Non solo, ma viene usata anche per citazioni pompose e fuori luogo (Macbeth, nientemeno) e per trarre una morale, che dovrebbe uscire da sola dalla storia, e che lo spettatore dovrebbe potersi fare da solo, senza essere influenzato. Tanto più che è una morale sciocca e confusa.
Ma andiamo avanti. Già irritati dalla voce che riapparirà alla fine e in tre o quattro snodi, vediamo comparire con sollievo Anthony Hopkins e ci chiediamo, curiosi, come se la caverà in un film di Allen. Se la cava bene, sì, così come Gemma Jones. Peccato che Allen non diriga.
Lo dimostra il fatto che Josh Brolin (ottimo in W. – nel difficile ruolo di George W. Bush – e passabilissimo in Milk) vaga per tutto il film senza un’espressione convincente, affiancato purtroppo dalla graziosa Naomi Watts che, film dopo film, ormai l’ho vista ovunque ma non l’ho mai vista recitare bene. Passi per la Pinto e Banderas, che sono solo decorativi, passi per la Punch (la seconda moglie di Hopkins) che magari è bravissima ma non l’avevo mai vista altrove, viene volutamente doppiata con una voce sgraziata e insomma, su di lei meglio sospendere il giudizio.
Il problema è che vengono tutti costretti da una sceneggiatura vacua a bamboleggiare o fare gli isterici, a dialoghi telefonati (da manuale la prima scena coniugale Brolin-Watts), a una gestualità eccessiva dove l’unico misurato è lo spagnolo Banderas: gli avranno dato lo sciroppo che si dava ai bambini ai primi del ‘900 per fare le foto?

I dialoghi, dicevo. Insulsi. Già visti e stravisti; Allen copia se stesso e copia altri, le solite vecchie liti coniugali, i soliti meccanismi. Risulta particolarmente insopportabile la coppia Vecchio-chenonvuoleinvecchiare-palestra-viagra / Giovane-prostituta-oca, già vista con risultati poco credibili ma decenti nel precedente Basta che funzioni.
Ma i peccati più imperdonabili del film sono due: la sceneggiatura e l’assenza di una drammaturgia univoca.

Vuoi fare la commedia? Benissimo, la sai fare, fanne un’altra, Sam. Vuoi fare il melodramma? Idem come sopra.
Però scegli: non puoi fare l’uno e l’altro, perché insieme non funzionano.

Se scegli il melodramma bergmaniano e velatamente dostoevskiano, ci possono – ci devono - essere laceranti conflitti interiori (Hopkins che vuole un figlio maschio, la giovane moglie resta incinta ma lui sa che è stata infedele e annuncia che chiederà il test del dna; la Watts a fine film è disperata perché ha urgente bisogno di un prestito e la madre, succube di una cartomante, ha deciso che astrologicamente non è il momento giusto; Brolin ruba il libro di un amico morto e lo pubblica a suo nome, per poi scoprire che l’amico in realtà è in coma e potrebbe svegliarsi *), ma tu a fine film li devi sciogliere nella catarsi narrativa, in un senso o in un altro.
In Match point c’eri riuscito benissimo, e prima ancora nello stupendo Crimini e misfatti.

Invece, e la cosa stupisce non poco, Allen inserisce questi conflitti nei momenti sbagliati, spesso troppo tardi, e poi li lascia in sospeso. Voglio proprio dire che lo spettatore esce dalla sala senza sapere se la Watts otterrà il prestito o dovrà rinunciare alla galleria d’arte; se Brolin verrà scoperto o si autodenuncerà o cosa, se Hopkins chiederà il divorzio o la moglie (il cui personaggio non viene assolutamente sviluppato) continuerà a tradirlo.
Questo non è “fare un finale aperto”, in un autore esperto che ha sempre dato una conclusione coerente ai suoi film. E’ lavorare da schifo.

Se invece vuoi fare una commedia brillante, puoi metterci dentro di tutto, anche le tragedie più cosmiche (in Amore e guerra non c’era forse la Morte che accompagnava il protagonista nell’aldilà?) ma devi farmi ridere: con i dialoghi, con le situazioni, con la scelta dei tempi comici. E, purtroppo, anche qui, io mi aspetto che il finale sciolga i nodi narrativi.
Mentre tu, cosa ci dai? I tempi comici sono tutti sbagliati (anche in momenti topici come la Pinto che confessa alla famiglia del futuro sposo di non volersi più sposare), le situazioni ripetitive, stereotipate.
E’ vero che fin dal titolo e da varie scene, avevi insistito molto sulla figura della cartomante – nessuna magia, a differenza di altri tuoi film del filone onirico - che domina la mente dell’anziana cliente. Possiamo anche credere che la figlia con i piedi per terra, in crisi con il marito, si lasci convincere dalla madre a provarci con il suo fascinoso titolare Banderas, ricavandone una solenne umiliazione: ma anche queste scene, così come quelle in cui la madre beve, non solo non fanno ridere: sono spesso agghiaccianti.
Unico contentino, il libraio che alla fine accetta di risposarsi perché – racconta lui - la moglie defunta, tramite seduta spiritica, gli ha dato il permesso. Questo dopo che ci hai mostrato un’altra seduta spiritica in cui lui, con la nuova fidanzata (ossia la moglie abbandonata da Hopkins, alcolista e succube della cartomante), si rifiutava di “chiederglielo”.

Tutto qui? Sì, tutto qui.
E’ vero che nel prologo ci avevi avvertiti che avevi voglia di violentare Shakespeare e che ci avresti elargito una favola narrata da un idiota, piena di strepito e furia e senza significato alcuno. Okay.
Ma questo è un film, non un dramma elisabettiano. Persino Shakespeare sapeva come concludere i suoi drammi.


* Nell’episodio del furto di proprietà intellettuale (wow, che paradossi!) siamo al limite del plagio: la vicenda ricalca molto da vicino quella raccontata nel godibile romanzo americano Notizie sull’autore (2001), di John Colapinto. Se Allen non lo conosceva, possibile che nessuno del suo staff gliel’abbia fatto notare?


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