Di_stanze
contemplando un’unghia a scavare il cuore
nelle radici di un vecchio melo
che senza la cura dell’uomo
ha riempito uno spicchio di mondo
sei tu
delle allodole il precipitare
per poi riavere il cielo
sono io
poi piangere d’istinto, come le nuvole
alla distanza apparecchiata
e le posate inutili
Di_aria
eccoci nel grido del fiume prima di tracimare
nelle rose scomparse e le spine, quante
le ferite piovono fino a dissetare i semi
e sarà prato dalle macerie al cielo
le briciole a cantare il senso del pane
i davanzali aperti ai merli
foglie mai più strappate a scivolare, aria
un nido sottotetto per la stessa rondine
Spighe di grano
Supponiamo che sia giunto il tempo
di cercare sillabe nuove
negli anfratti inesplorati
le pronunceranno i figli
ognuno nelle mani una tavola di legno
per impastare acqua, farina e sale
un morso del pane a terra
un sorso del vino nel bicchiere
per i sorrisi che per strada abbiamo perso
li respiriamo spighe di grano
al vento che rimargina, al vento che riapre
Dei Passi
non siamo polvere
ma soffi di creta, respiriamo
come fanno gli oleandri
che la poca acqua riversano sui fiori
basta un petalo a ridestare i sogni
noi, nulla da perdere
da formiche a dinosauri
corse di lampioni a questa luna
_infanta_ tra le contadine
il nome della strada
lo cantano i passi
e_ nascosti dall’erba_
i grilli, tanti
Tre sillabe
(Libertà avrà sempre tre sillabe domani)
stiamo, come sassi a invidiarci la carne
senza tamponi a raccogliere sangue
scivola un macabro senso di fame
rassegnato alla strada
eppure siamo, sotto un cielo straniero
venuti dalla rabbia raccolta
parlando lingue diverse
i gesti uguali del sorriso scavato
lo stesso odore forte incide
di radice la radice, poi gemma
fiore, frutto e le mani piene
(come un temporale spazza noi viviamo)
da questo fianco mai più reso
avanti nasce il grido per i figli
e il cielo che ci riempie, nuovo
Isolillusione
se ascolti – c’è domanda nella risposta
come la foglia al vento resta alla radice
gli occhi decomposti negli sguardi
l’aprire, il chiudere, l’istante assente
può mutare il mondo o cambi tu
non torni mai com’eri, prima di partire
noi siamo isole esposte ai capricci
di ogni fiume, solitudine
un’illusione fatta di onde
a battere la carne
Gabbia_no
E grida questo silenzio di petali
sotto piedi usi a calpestare foglie
facile confondere il sillabare arancio
di un pensiero
col giallo amaro e secco del ricordo
e nulla più nel sogno
se non lo sguardo d’un gabbiano
che mai ha visto un’ ancora
fuori dal mare
Biografia:
Annamaria nasce a La Spezia, di ” sfuggita”. Ama dire sorridendo che è ligure per nascita, sarda per amore, come il grande Faber. Della Sardegna sono figlie tutte le donne di casa sua, marinai tutti gli uomini. A sei anni lascia l’isola e si trasferisce sulla costa romagnola. Zingara per costituzione passa gli anni dopo il diploma girando l’Europa in autostop, fermandosi a Londra per sei anni, dove frequenta una scuola per interpreti al Westminister College.A trent’anni un temporale spazza via tutto e a causa di un incidente gravissimo rimane bloccata a letto tre anni; comincia a scrivere, per ” sopravvivere”.Attualmente vive a Roma con il suo compagno e la sua cagnolina ,facendo la spola con Rimini dove vivono madre e figlia ventiduenne. Racconti brevi sono stati pubblicati da diverse antologie, e alcune sue poesie saranno presenti nell’antologia ” Kronos” Onirica edizioni.
http://annamaria-giannini.blogspot.it/
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