Romina Dughero
*
vestito il nome, di verde mi scandisce sola la tua bocca, la voce presadal giorno, incontro, semi come nodi che si allacciano alla casa. l’eco
allarga le stanze – oscillanti i piedi uno all’altro, il corpo umano stretto dai vestiti. il fiato in piega
allunga, trema, tace alla candela *
mi fissavi, nella stanza compressa
proiettata sulla piazzola
attraverso la luce della finestra, così alterata
così prospettica da farsi
segno, tratteggiante
i quadri accesi
dai salti dei bambini
e noi, storti come detriti ad osservare
tutto quello spiccare
nuovo
*
addirittura nidi
capitolati in un soffocamento, detto altrimenti
amore
ad ogni giro una stretta, i lacci delle scarpe
i fiori alla Madonna, e prendersi per mano quando
il buio avanzava sbocciando a ciocche
la paura
*
e il tempo
a tacche, graffiava il gesso
fino a che l’impasto più friabile
diventava grigio, grigio tendente all’inferno
come la neve dei cigli
quando respira
piombo
*
si tracciavano segni a piè dei segni
aggrovigliate le orme sul corpo
quelle nudità di cenere
alle piante dei piedi
una secchezza simile al silenzio
fino all’esordio delle sue forme medesime
un aggirarsi di noncuranze
sempre più grevi
*
addirittura nodi
una caviglia stretta alla caviglia
capitolata in un soffocamento, detto altrimenti
morte
con opacità di occhi e di membrane
parti liquide a scendere tra i semplici sintomi
di una resurrezione
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