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Inediti di Eliana Deborah Langiu

Creato il 13 settembre 2013 da Wsf

elianawsf
ULTIMO VIAGGIO DAMASCO

tra i tanti civili che son morti
i volti familiari
diventano ricordi

bene e male intersecati dal filo
di quei viaggi controllati
intrecciati in complotti tra stati

che poi basta sfogliare qualche giornale
indietro gli anni
che isolare quella terra
è l’ordine del giorno

basher al assad solo un altro dei tiranni

la primavera s’è spenta lì da quelle parti
l’esercito ha il potere di disfare e massacrare
l’usanza è propaganda
il resto è riciclato poi dalla democrazia

dovremmo già saperlo bene
uno non basta a comandare quelle morti
e magari non c’è l’uno ma c’è un’oligarchia

eppure è sempre il simbolo a pagare
ci accontentiamo di qualche carta e qualche seme
come per saddam mentre cercavano bin laden

quindi mi accontento del ricordo
delle città che avrei abitato

la via per deir ez zor e i pozzi accesi di petrolio
la linea che demarca la mesopotamia
sopra un affluente stretto

e dopo un bosco

aleppo e quel ragazzo
chissà se adesso è vivo o morto

TOPI

essere uno di quei morti
da disoccupazione
morti nell’urto delle corde
troppi errori stretti a nodo
uno sull’altro   grovigli
per meritarsi un sussidio
o un lavoro accessorio
senza aver messo al carico
altri infelici

essere morti per fine di scelte
contro ogni razionalizzazione
costruzione psicologistica
ogni via di fuga
morta col conto corrente

sbattere le ali come una falena

la testa ai bordi delle lampade

un criceto sfinito nella ruota

un topo

nuota a vuoto

incassato

nella nave

LO STUPRO DEI FIORI

nella gragnuola di ghiaia
sul riccio malato

il silenzio dei genitori

nel rondone preso all’amo
nel gabbiano ingozzato
di bicarbonato
nelle sue stelle filanti di carne e sangue
nel volo
nel disgusto di un nido di fiori

nello stupro dei fiori
lo stuzzicadenti   affonda piano
la mano   che lo spinge  ha ingoiato
il canapé   esatto  al centro
del giallo

nel toglierlo lento

gli stami divisi   richiudono piano

SAN SEBASTIANO

ti scarico addosso
tutte le pallottole della mia bocca
non c’è rumore
tra tende fitte di lana di vetro
mastica la trama
inchioda la bocca   agli aghi sottili
ferma alla lingua  la sillaba
al pannello le dita e la schiena

martire agli ingranaggi linguistici

san sebastiano
cerchio rosso nel bersaglio

PULSAZIONI

vivo nel buio    dei miei organi interni
nel buio muovo movimenti minimi
meno di un piccolo feto
come un organo pulso di sangue
umido e cieco
a volte ombre   di luce
attraversano il corpo
allora   la pelle si accende    dentro di rosa

come una palpebra
come i valli fra le dita
in controluce

ROSSETTO

ti stendo il rossetto sulle labbra
ti stendo sulla faccia un sorriso adolescente
arancio perlato corallo
a seconda    di come ti voglio

ti passo un kleenex sulle labbra
sbavandoti il sorriso   come dopo
un bacio violento   o uno schiaffo

ti prendo a schiaffi a suon di trucco
seppellendoti sotto terra ambrata

mortifico la tua carnagione

OCCHI

Al posto degli occhi
ho due ani
che spruzzano sul mondo
la loro indignazione

la lacrimazione
fa il suo dovere col mascara
su una faccia troppo distratta
per la prova d’acqua

i miei ani si arricciano
e dilatano
a seconda delle dimensioni
e del tipo di realtà
ingurgitata

i miei ani spruzzano semi
di violenza
e li inghiottono

senza piacere
li spazzano ai lati

PREGHIERA

Benedicimi madre   perché

ho peccato

ho portato il tuo corpo nel mio
perché provasse piacere
ho lasciato
che frugassero le tue labbra
invadessero lo spazio stretto del tuo utero
cancellando il dolore del parto
e della verginità sprecata

Benedicimi madre   perché

ti ho spogliata    sul mio corpo
perché ti dicessero la tua bellezza
sfiorita
facessero dei tuoi capezzoli giocattoli
per adulti delicati

ti ho inarcato la schiena
rinascendo clitoride
ti ho mosso i fianchi
su carne e sangue in erezione
ti ho accelerato il cuore
ti ho ridato potere
ti ho vestita di me

perdona madre    la mia

virtù

perdona l’amore che ho ti portato
senza saperlo dire   senza saperlo dare
ai corpi scuri   posseduti
senza sapermi dare    libera
dalle contraddizioni di cultura

perdona    questo mio corpo
trattenuto dalla vita
mascherato dagli strati di clausura
la pelle mortificata nel rifiuto
la mia fedeltà
che ci consuma    la vita
in una vita sola
e la solitudine dell’uno

la libertà ingabbiata ogni istante

nell’istante prolungato di una ruga


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