Infelice quel popolo che non rispetta le memorie del passato
Creato il 26 maggio 2012 da Astorbresciani
Immaginiamo per un attimo che venga allestita una pista di go-kart all’interno del Colosseo o che il Comune di Roma conceda l’autorizzazione a costruire un sexy-shop sulla via Appia Antica, di fronte al mausoleo di Cecilia Metella. Non sapremmo se ridere o indignarci, per concludere che sono burle, appartenenti al genere di notizie che alcuni mass-media diffondono il 1 aprile. Eppure, circola una notizia altrettanto assurda, purtroppo fondata. È prevista l’apertura di una discarica a 700 m. da Villa Adriana, nel comune di Tivoli. Se è vero, sarebbe l’ultima, sciagurata conferma che siamo un popolo destinato all’infelicità. Perché mai? Perché un popolo che non rispetta le memorie del proprio passato, soprattutto quando è glorioso e suscita ammirazione e invidia grazie alle vestigia monumentali che hanno resistito all’usura del tempo, non è degno d’essere felice. Come sarebbe stato scialbo essere felici – dice Marguerite Yourcenar, alla quale dobbiamo una splendida descrizione della villa di campagna dell’imperatore Adriano, di cui ha scritto le meravigliose Memorie. È forse questa la ragione per cui aspiriamo ad essere felici ma facciamo di tutto per non riuscirci? Oh, certo, la felicità personale non dipende dal rispetto di un monumento o di un antico codice amanuense, questo no, pur tuttavia è palese che gli uomini incapaci di conservare e tutelare le espressioni artistiche e storiche della nazione cui appartengono (e per estensione dell’ecumene, visto che siamo tutti cittadini del mondo), scelgono di essere scialbi più di quanto non sarebbero se andassero fieri di ciò che gli avi hanno costruito. Gli antichi romani erano soliti onorare gli antenati riservando loro un posto speciale nella domus, solitamente una nicchia nell’apposita edicola. Ogni giorno, essi si raccoglievano in preghiera davanti a questa nicchia, in cui erano riposte le statuette di terracotta, cera o legno, dette sigillum, raffiguranti i Lari. I Lares familiares erano gli spiriti degli antenati, verso i quali si provava grande rispetto e ai quali si chiedeva di proteggere la famiglia. Esistevano anche i Lari sottoposti al culto pubblico e si teneva in vita il culto delle nobili azioni del passato. Noi abbiamo completamente smarrito questa attenzione nei confronti di chi ci ha preceduto. Di tanto in tanto onoriamo la memoria dei nostri defunti ma disdegniamo il ricordo della grandezza di chi ha vissuto prima di noi. Questo vale in particolar modo per la civiltà romana, forse l’espressione più alta dell’ingegno umano e della virtus. Siamo ingrati e insensibili, refrattari a tutelare la memoria che eleva lo spirito, e perciò infelici. Il fatto che la splendida Villa Adriana, un gioiello architettonico le cui rovine sono già minacciate dal disinteresse e dall’incuria, tra poco sarà insidiata dalla discarica di Corcolle, dimostra che abbiamo scelto di vivere come gli unni di Attila. Distruggiamo anziché creare. Consumiamo di tutto e di più invece di preservare.L’ultima volta che visitai Villa Adriana rimasi sgradevolmente colpito dal fatto che i turisti erano pochissimi, i tornelli d’ingresso non funzionavano, le immondizie erano disseminate fra gli ulivi, i controlli inesistenti. Se avessi voluto, avrei potuto divellere e portarmi via un m² di mosaico senza che nessuno se ne accorgesse. È scandaloso che un luogo che l’Unesco ha dichiarato “Patrimonio mondiale dell’umanità” sia in uno stato comatoso, e i pochi visitatori che vi si recano (per lo più scolaresche ignare di trovarsi in un luogo consacrato alla bellezza) fra poco rinunceranno del tutto alla scampagnata a causa dei cattivi olezzi che la discarica emanerà. Probabilmente c’è un malinteso alla base dell’imminente scempio. Fu Vespasiano a dichiarare “non olet” a proposito dei cessi a pagamento da lui istituiti. L’imperatore Adriano ha ben altri meriti: il vallo britannico, la tolleranza, l’efficienza, lo splendore delle arti e l’amore per la filosofia. Costruì la grande dimora di Tivoli per farne la sua residenza, informata da una magnificenza architettonica che attingeva all’antica Grecia, all’Egitto e all’Oriente oltre che agli stili architettonici romani. Era un sogno realizzato, un sublime omaggio all’estetica che noi – eredi incolti e materialisti di un popolo che esportò la civiltà nel mondo conosciuto – oggi ignoriamo o disprezziamo, come se non ci appartenesse. È un vizio tipicamente italiano. Altre nazioni il cui patrimonio artistico è poca cosa rispetto al nostro, esaltano ciò che hanno, lo curano e valorizzano. Bastano quattro pietre in mezzo a un prato perché il loro orgoglio salga alle stelle. Noi no, noi siamo i campioni del mondo nello squallido esercizio del degrado architettonico-artistico. Alcuni esempi? In primis Roma. Chiunque si reca nella capitale nota con disappunto che la sporcizia dilaga nei luoghi archeologici che dovrebbero essere preservati. L’area sacra di largo Argentina è un caso eclatante. Ancora più eclatante è il caso della Domus Aurea, che è chiusa da tempo. Nel 2001 crollò una parte del soffitto e nel 2010 è crollata la volta d’ingresso a una galleria che portava alle Terme Traianee. Chissà quando (e se) riaprirà il fastoso palazzo costruito dall’imperatore Nerone dopo l’incendio di Roma del 64? La situazione è tragica in molte altre zone archeologiche del Lazio, come a Sperlonga, dove il degrado sta distruggendo le mura romane e del sito archeologico accanto alla famosa grotta di Tiberio. Il degrado dei siti e delle necropoli etrusche della Tuscia è ormai endemico. La situazione è peggiore in Campania. È ancora vivo l’eco del crollo della Domus Gladiatoria a Pompei, un luogo che il mondo intero ci invidia e dove regna la trascuratezza. Non sta meglio Ercolano. E che dire dei siti archeologici del Cilento o del patrimonio archeologico di Pozzuoli? Abbandonati. Sul territorio italiano, soprattutto al Sud, nell’antica Magna Grecia, le necropoli e gli edifici riportati alla luce versano in condizioni disperate, privi di custodi e protezioni. Altrove, il cemento cancella la storia. Se la Campania piange, la Sicilia non ride. Musei e siti archeologici sono allo sbando. Basti pensare a Camarina, al parco archeologico di Enna, chiuso da oltre 18 mesi, e al parco archeologico di Agrigento. E la Sardegna? Un nome su tutti: la necropoli fenicio-punica di Tuvixeddu-Tuvumannu. L’elenco degli scandali lungo come la barba di Matusalemme, che non frequentava la bottega del barbiere. Perché il nostro patrimonio archeologico-architettonico è in rovina? Di chi è la colpa? La risposta è ovvia: il colpevole è lo Stato. Non ci sono i fondi, si giustificano i burocrati. Mancano i soldi per pagare i custodi, fare le opere di manutenzione, promuovere e proteggere i siti anziché abbandonarli. Ma il caso della discarica di Tivoli ci fa capire che esistono altre motivazioni: gli interessi economici. I beni archeologici vengono occultati o distrutti in nome del business. I colpevoli sono sempre gli stessi: i funzionari dello Stato, ma anche delle Regioni e delle Province, in combutta con gli speculatori dal portafoglio gonfio e con le mafie locali. Ovviamente, la colpa del degrado non può cadere solo su chi ha l’autorità per impedirlo. Sono colpevoli anche i cittadini italiani, la cui coscienza civica è pari alla conoscenza della Storia. Praticamente, zero. Siamo capre ignoranti, indegne di possedere un patrimonio artistico-archeologico che ogni Paese del mondo sogna d’avere. Il fenomeno rivela quanto siamo miseri e gretti, e conferma la premessa: non meritiamo d’essere felici se non portiamo rispetto per la bellezza e la grandezza del nostro passato. Eppure, esistono eccezioni su cui riflettere. Come lo stupendo polo museale di Santa Giulia a Brescia. Non avevo mai visitato questo enorme museo (17.000 m²) che dal 2011 è “patrimonio dell’umanità dell’Unesco”. L’ho fatto alcuni giorni fa e il cuore mi si è aperto. È una meta che ogni italiano dovrebbe inserire nei suoi programmi turistici ispirati dall’amore per il bello e l’arte. Ospita, fra l’altro, due capolavori come la famosa Vittoria alata del I secolo e la croce di Desiderio. In età romana, l’area dove sorge il monastero fondato dai longobardi nei cui storici ambienti è stato ricavato il Museo, era un quartiere della romana Brixia tagliato dal decumano. Tant’è che la sorpresa più grande è stata scoprire un’immensa sala dove sono state riportate a luce e ristrutturate magnificamente due abitazioni decorate da mosaici e affreschi. Uno splendore! Non è solo la bellezza del luogo, unitamente all’atmosfera magica e alla sapienza con cui si è provveduto a valorizzare il patrimonio artistico-archeologico a suscitare vivide emozioni. Mi hanno colpito anche la competenza e la gentilezza degli addetti ai lavori e dei dipendenti. Unica nota stonata: il museo era vuoto per quanto fosse domenica. Sarebbe fino troppo facile, per me che ho origini bresciane, affermare che i bresciani hanno saputo fare quello che altri nemmeno provare a fare, i più per ignoranza e menefreghismo. La verità è che si può fare bene, basta volerlo. I soldi necessari si trovano. Manca la consapevolezza e fa difetto l’impegno. Grazie agli uomini di buona volontà, realtà come il Museo di Santa Giulia non sono uniche ma semplicemente rare.Fa specie – e tristezza – tuttavia, che gli italiani, i giovani in particolare, non conoscano le vicende storiche del nostro Paese e di fronte alle testimonianze di un passato glorioso, si comportino come il bue e l’asinello nella grotta di Betlemme. Non è vero che i due mammiferi scaldarono Gesù bambino, si limitarono a osservare quanto stava accadendo senza capirci nulla e continuarono imperterriti a ruminare. Non è forse il modo in cui i nostri ragazzi esplorano la realtà? In fondo, come diceva Voltaire, “non è la nostra condizione ma la qualità della nostra anima che ci rende felici”.
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