“È inquietante vedere come molti Paesi membri dell’Unione Europea continuano a scendere nella Classifica. Se non si marcia insieme, l’Unione Europea rischia di perdere la sua posizione di leader mondiale nel rispetto dei Diritti Umani. E se ciò dovesse accadere, come potrebbe essere convincente quando chiede ai regimi autoritari miglioramenti nel rispetto dei Diritti Umani? C’è bisogno urgente per i Paesi europei di recuperare un comportamento esemplare”.
Così Jean-François Julliard, Segretario Generale di Reporters Sans Frontières, commentava il 20 ottobre scorso la Classifica 2010 della Libertà di Stampa. Un monito che appare più che mai pertinente, visto il conflitto libico in atto, guidato dal triangolo dei “portatori internazionali di democrazia” USA-Francia-Gran Bretagna. I disequilibri censori all’interno di questi Paesi di fatto delegittimano il loro ruolo di garanti dei Diritti Umani nel mondo.
In vetta alla Free Press List sempre il Nord Europa, vero baluardo dell’informazione libera. Tuttavia altre Nazioni dell’UE si trovano in posizioni decisamente basse: l’Italia è 49ª, la Romania 52ª, mentre la Grecia e la Bulgaria pari-merito alla 70ª. Ciò dimostra che nel Vecchio Continente la situazione è disomogenea e anche il 2010 segue la tendenza degli ultimi anni, in cui si assiste ad un progressivo irrigidimento generale delle politiche finalizzate al controllo dei media.
Certo, i distinguo sono d’obbligo, specialmente se si pensa alla sistematica repressione subita dai giornalisti in alcuni Paesi dell’Asia, dell’Africa o dell’America Centrale, dove ogni anno vengono uccisi decine di giornalisti.
Tuttavia, secondo il grafico elaborato da RSF, gli omicidi di giornalisti negli ultimi dieci anni non hanno risparmiato nessun continente e, dato allarmante, sono in crescita.
Da 25 anni l’organizzazione non-profit RSF si occupa della difesa della libertà di stampa in tutto il mondo, anche attraverso numerose campagne di sensibilizzazione e di foundraising. La principale fonte di finanziamento è infatti costituita dalla vendita degli Album Fotografici Inediti, divenuti veri oggetti di culto fra gli appassionati. L’ultimo, per l’edizione 2010, è di David Burnett.
Nel 2008 l’associazione proclama il 12 marzo “World day Against Cyber Censorship” (Giornata Internazionale Contro la Censura di Internet), e ogni anno, in concomitanza di quella data, lancia una serie di iniziative virali con la finalità di diffondere direttamente sul web il proprio messaggio di libertà.
Il logo, la stilizzazione di un mouse e di una catena spezzata, associato allo slogan “Stop Cyber Censorship. Protect Online Free Speech”, diventa così un’email signature, che tutti i sostenitori possono pubblicizzare ogni volta che utilizzano la propria casella di posta elettronica.
Quest’anno è stato diffuso anche un video, efficace nella sua semplicità, per promuovere la campagna.
Le tre W, acronimo di “World Wide Web”, diventano i nodi di un filo spinato bianco su sfondo nero. In linea con il modus operandi dell’organizzazione, il messaggio deve essere breve, di facile comprensione e corroborato da dati, quasi minaccioso nel suo stile imperativo.
La “Predators Campaign” nasce invece nel 2001 ed è associata alla pubblicazione annuale della lista dei violatori della libertà di stampa nel mondo.
Nel 2010 la campagna è stata realizzata da Saatchi & Saatchi, una delle più importanti agenzie pubblicitarie del Pianeta, e dagli artisti Stephen J. Shanabrook e Veronika Georgieva.
Le immagini dei volti “stropicciati” e “cestinati” da una mano femminile (come si intuisce dal video), sono quelli che spesso occupano le prime pagine di tutti i giornali, Ahmadinejad, Wen Jiabao, Gheddafi, nomi che non hanno certo bisogno di ulteriori didascalie per essere associati a regimi repressivi e violenti.
Lo slogan in alto invita all’azione: “Solo una stampa libera può ferirli. Sostieni la nostra battaglia”, mentre la scritta in basso ricorda il 25° anniversario di RSF e il rimando al sito ufficiale dell’organizzazione.
In particolare, nel video, su uno sfondo asetticamente bianco, l’Album Fotografico sostituisce il viso “deturpato” del leader iraniano. Un gesto che invita all’acquisto dell’Album per sostenere materialmente l’associazione, e non lasciare soli i giornalisti che ogni anno vengono rapiti, torturati, uccisi, durante lo svolgimento della loro professione.
Perché essi sono diventati una pericolosa merce di scambio nelle trattative tra i vari Stati e la loro dignità è strategicamente calpestata.
Il titolo di questo articolo si rifà proprio ad una campagna del 2009 che
riprendeva il messaggio “Il fumo uccide” dei pacchetti di sigarette, riformulato per denunciare, attraverso la didascalia “Difendete la libertà di stampa supportandola” preceduta da dati tragici, questo eccidio che ogni anno si consuma in nome di quella libera informazione di cui RSF si fa portavoce.Nello stesso anno il disegno a china “The Russian School pf Journalism”, raffigurava l’omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaja del 7 ottobre 2006. Il bianco e nero contribuisce a ricalcare uno stile da Graphic Novel, spoglio e duro.
RSF offre ai giornalisti aiuti materiali e necessari come caschi e giubbotti anti-proiettile, contratti di assicurazione che coprono i rischi di guerra, il servizio gratuito “SOS PRESS” per l’assistenza online in caso di emergenza, sostegno psicologico per superare gli eventuali traumi causati dalle efferatezze e dalle tragedie a cui potrebbero assistere nelle loro spedizioni.
Tutto questo non sarebbe possibile senza un’instancabile, talvolta controversa, azione di foundraising: il 54% dei fondi proviene dalla vendita degli Album e dei Calendari, il 10% da organizzazioni governative, il 27% da gruppi privati come Sanofi-Aventis, François Pinault, Benetton e molte altre, il 9% da tasse di iscrizione e donazioni.
L’origine dei finanziamenti di cui si avvale ha suscitato più volte dei dubbi sull’effettiva imparzialità e autonomia di RSF. Clamorosa è l’accusa di aver accettato dei fondi dalla NED (National Endowment for Democracy), fondata da Reagan nel 1983, come organo per sostenere economicamente i gruppi filo-democratici nel mondo (o, verosimilmente, per gestire le zone d’influenza della Casa Bianca), e che fiancheggia gli oppositori di Chavez in Venezuela. L’obiezione sollevata nasce dalla feroce ostilità di RSF nei confronti del leader venezuelano, in contrasto però con il gravoso silenzio-stampa sulla violenta persecuzione, subita dai giornalisti, durante il tentato golpe fascista nel 2002. L’ex Segretario Generale e co-fondatore Robert Ménard fu poi al centro di numerose polemiche per l’intervista rilasciata nel 2007 alla radio francese France Culture, in cui, a proposito del brutale omicidio del giornalista americano Daniel Pearl, avvenuto nel 2002 per mano di Al Qaeda, lasciò intendere che in talune estreme circostanze l’uso della tortura sarebbe giustificato.
Inoltre la Saatchi & Saatchi, che collabora gratuitamente con l’organizzazione, fa parte della Publicis Groupe, la quale annovera tra i marchi di sua proprietà anche la Bacardi, notoriamente ostile alla Rivoluzione Castrista.
Infine numerose sono state le denunce di errori ed omissioni da parte delle famiglie dei giornalisti uccisi in Iraq durante la guerra.
Quando si parla di autonomia e onestà intellettuale in relazione alla professione giornalistica, spesso si deve fare i conti con una realtà che stride con gli onorevoli intenti, veicolati da strategie economiche indotte dall’alto.
Ma a prescindere da questi poco lodevoli lati oscuri, sarebbe inopportuno negare l’effettivo lavoro che RSF svolge in difesa della libertà di informazione (basti pensare che dal 22 dicembre 2010 il sito ospita la pagina mirror di Wikileaks), anche dove altri non oserebbero arrivare.
Il bavaglio all’informazione è il primo mezzo utilizzato da ogni dittatura, che sia di tipo militare o mediatico (in questo caso dovremmo guardare ai fatti di casa nostra), per controllare l’opinione pubblica e addormentare le coscienze. “L’ignoranza è forza”, recitava uno degli slogan del Grande Fratello orwelliano. Io rispondo che “Sapere è (soprav)vivere”.
Francesca Spada.