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Iniziative per il centocinquantenario di Gabriele D’Annunzio

Creato il 11 marzo 2013 da Dismappa

Posted on mar 11, 2013

Settimana di eventi per d’Annunzio: libri, musica e film

Vita carnale in scena e versi mobili

LUNEDÌ 18 MARZO

Ore 21, Teatro Nuovo «La mia vita carnale. Amori e passioni di Gabriele d’Annunzio», con Giordano Bruno Guerri presidente della fondazione Il Vittoriale degli Italiani.

MARTEDÌ 19 MARZO

Ore 15 Biblioteca Civica, letture itineranti nelle sale con gli attori della scuola del Piccolo Teatro di Milano

Ore 17, Sala Farinati letture di poesie con Agostino Contò e Gianfranco de Bosio.

Ore 21 cinema K2 L’innocente (1976) di Luchino Visconti.

MERCOLEDÌ 20 MARZO

Biblioteca Civica, ore 9, convegno di studi con Pietro Gibellini, Pier Vincenzo Mengaldo (metrica di Laus vitae). Simona Costa (D’Annunzio e il mito della Quarta sponda). Gianni Oliva (D’Annunzio e la modernità.

Ore 15, presiede Gilberto Lonardi: Annamaria Andreoli (D’Annunzio e la Duse), Giorgio Zanetti (D’Annunzio e Shakespeare), Milva Maria Cappellini (le fonti della Nave), Gherardo Ugolini (D’Annunzio dionisiaco). Mirko Menna (D’Annunzio nel teatro di Jacinto Benavente). Ore 18,30, si apre in Protomoteca la mostra sull’Opera Omnia di Gabriele d’Annunzio stampata per Mondadori da Mardersteig.

GIOVEDÌ 21 MARZO

Biblioteca Civica, ore 9, presiede Gian Paolo Marchi, Niva Lorenzini (postille ungarettiane). Ilvano Caliaro (lettore e scrittore), Fabrizio Cigni (canto V dell’Inferno), Mara Santi (mitopoiesi nel Notturno). Fabio Danelon (orrori coniugali). Ore 15, presiede Nadia Ebani, Rosaria Antonioli (fonti seicentesche), Cristina Cappelletti, (carteggio inedito con l’editore Emanuele Castelbarco), Maddalena Rasera, (D’Annunzio e la Francia).

Ore 18, conservatorio, concerto con musiche di Francesco Paolo Tosti su testi di Gabriele d’Annunzio.

VENERDÌ 22 MARZO

Ore 16 Biblioteca Civica, Sala Farinati D’Annunzio soldato, a cura di Elena Ledda.

Ore 17,30D’Annunzio e Tamara de Lempicka, a cura di Sabrina Baldanza

In marzo convegni e serate al Teatro Nuovo, alla Biblioteca Civica e al cinema K2
D’Annunzio fu precursore del divismo, stampò a Verona da Mondadori l’Opera Omnia che sarà esposta in Civica nell’edizione di Mardersteig

D'Annunzio «di stirpe aldina» (da Aldo Manuzio, stampatore) e Arnoldo Mondadori, suo editore a Verona

Vitaliano Brancati racconta in un suo racconto la vicenda patetica di due giovani siciliani, una maestrina e un ragazzo di buona famiglia che, invasati dai romanzi di D’Annunzio, desiderano ardentemente imitare i suoi inimitabili amanti. Gli sposi promessi fuggono avventurosamente a Roma, rivisitando la paesana «fuitina» degli innamorati contrastati, anche se contrastati non sono. Dormono, o meglio vegliano amorosamente abbracciati in uno squallido alberghetto, immaginandolo come la splendida, suntuosa alcova, stracolma di oggetti di un funebre kitsch, dove il poeta consuma i suoi esasperati e dionisiaci amplessi con l’amante di turno, sempre o attrice o nobildonna. Il finale è naturalmente nel segno del prosaico: ritorno immediato a casa e matrimonio riparatore. Quel che più interessa in questa storia ambientata in anni ormai lontani, è la presenza di un mito D’Annunzio, primo segnale di quel fenomeno che caratterizza la modernità e ancor più il nostro tempo, che è il divismo. Quest’anno ricorre il centocinquantenario della nascita di Gabriele e un convegno, una mostra e varie manifestazioni teatrali e musicali lo celebreranno anche Verona (dal 18 al 23 marzo 2013, vedi programma a destra nella pagina). Molto è cambiato, ma non tutto: il Vittoriale sul Garda, il piccolo regno dove trascorse la sua solitaria e torbida vecchiezza, è ancora meta del pellegrinaggio di ammiratori e di curiosi, mentre i lettori dei suoi romanzi sono rara avis e dovremmo andare a cercarli con il lanternino. Rimane il fascino perenne della poesia, soprattutto di Alcyone. Insomma, se anche oggi ci interessa il poeta, il grande poeta, creatore di un vero e proprio linguaggio lirico innovatore, i modi e le forme dell’accorto gestore della sua propria fama, l’inventore di un mito personale che pare restio a tramontare, suscitano il sorriso ironico e benevolo, con cui si osserva qualcosa di definitivamente trascorso, che possiamo rivisitare come l’archeologia della pubblicità divistica odierna. D’ANNUNZIO, prima assai di Rodolfo Valentino, fece languire generazioni di donne, aristocratiche, governanti, celebri dive, prostitute, ballerine, lesbiche, pittrici, pianiste, giornaliste, ma anche cameriere, travolte quasi sempre in tempi brevissimi, dal fascino della parola e dall’accorta regia che questo periferico di genio (l’Abruzzo da cui proveniva era all’inizio del secolo XIX quasi terra coloniale) seppe fare di se stesso. Ma non soltanto le donne languivano. Come scriveva il torinese Thovez, con l’acida ironia di un vecchio poeta moralista, «diecimila giovinetti, speranza delle patrie lettere, pendono dalle labbra di Gabriele, sorvegliano con ansia affettuosa il nodo della sua cravatta e la lunghezza del suo panciotto non meno del colore dei suoi aggettivi e del taglio delle sue frasi». Contemporaneamente i maschi italici memorizzavano le tecniche amatorie accuratamente reclamizzate prima sui giornali, poi nei romanzi e descritte senza ambagi nelle lettere (avevano una certa circolazione anche queste) alle amiche di turno. Ma ne troviamo anche nella poesie. Nel Peccato di maggio indugia sul primo amplesso con la futura moglie, Maria Hardouin di Gallese: «Con avide mani su pe’l suo corpo ascesi / e tremar come un’arpa viva il suo corpo intesi». Talvolta i suoi incontri sono anche pericolosi. C’è spesso in agguato una donna–tigre che lo azzanna e lo lascia segnato di lividi e graffiature. Di pericolose azzannatrici la vita di Gabriele fu piena, con suo grande piacere. Ma com’era questo seduttore di genio? Piccino, calvo, di un’eleganza appositamente costruita dalla sartoria romana Prandoni, massaggiato, profumato con un’essenza di sua invenzione, (ricetta quattrocentesca) l’Acqua Nunzia, avvolgeva le sue vittime in una spirale di parole, le trasferiva pari pari nei romanzi e poi le licenziava, lasciandole mezze morte. Aveva la specialità di innamorarsi di donne insopportabili, lamentevoli, che lo tempestavano di lettere tragiche e di pianti. Dopo aver trovato con lui il mezzo per diventare protagoniste di una vicenda memorabile, una volta abbandonate, si lasciavano attaccare dal peggio: suicidio, tisi, demenza, il convento, il tumore. Ma forse, come sostengono alcuni critici, nutriti di cultura psicanalitica, anche D’Annunzio era un innamorato della morte. In una lettera scritta in vecchiaia dice: «Comincio ad aver paura di vivere. Mi spiace. Mi spiace che il funebre lago non mi culli sul suo fondo, questa notte». Non gli piaceva scrivere per i giornali, ma sapeva utilizzarli. Quando esce la prima edizione del romanzo Il piacere, il protagonista, Andrea Sperelli, viene presentato come autore di un’acquaforte dello zodiaco che appare negli stessi giorni in cui il libro arriva nelle librerie, in una galleria romana, con la firma A. Sperelli calcographus. L’invenzione pubblicitaria, reclamizzata dalla stampa e realizzata dall’amico G. A. Sartorio, il vero autore dell’incisione (lo racconta Annamaria Andreoli nel suo volume G. D’Annunzio, La Nuova Italia, 1988) ha un effetto eccellente: l’acquaforte va ruba e Il piacere anche. In armonia con una certa immagine di sé, D’Annunzio ama farsi credere un poeta che trae ispirazione dalla vita, dalle forti sensazioni di un’indole barbara, potente, sostanzialmente orgiastica, oltre che dionisiaca. Nel suo libro più bello, Alcyone, forse una delle più alte testimonianze della poesia nel Novecento, spesso rappresenta la metamorfosi del poeta nelle creature mitiche che popolano i boschi o le acque. Di una lirica, Undulna, racconta che l’ispirazione venne dopo una caduta da cavallo. Trascinato raso terra per parecchi metri, col piede impigliato in una staffa, colse con occhio lucidissimo tutte le minute ondulazioni della sabbia, quasi un misterioso spartito della musica delle onde. Così nacque Undulna, la ninfa che scrive nel suo linguaggio sconosciuto la voce del mare. Forse l’aneddoto è vero. Più spesso però D’Annunzio è uno scrittore da tavolino, grande compulsatore di dizionari, abile falsario, ma capace di riciclare i materiali altrui e trasformarli, quando l’alchimia riesce, in oro purissimo. D’altra parte l’io onnivoro di Gabriele è ben consapevole di sé : «Una specie di demone mimetico mi possiede».Paola Azzolini

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