Gli italiani non hanno tempo: il nostro paese è il primo mercato europeo nel consumo dei cosiddetti ortaggi di IV gamma, pronti per l’uso. Con un giro d’affari di 730 milioni di euro e una tendenza di crescita dell’8%, però, il settore non è ancora normato. Nessuna disposizione fissa limiti certi alla contaminazione microbica delle foglie di insalata in busta. Contaminazione che invece c’è, sempre, in misura più o meno allarmante.
La salubrità delle insalate pronte è un tema di grande attualità all’estero. Poche settimane fa, il Codex Alimentarius (composto da Oms e Fao per regolare il mercato alimentare) nella sua trentatreesima sessione ha deciso di vietare l’uso di letame come concime e di acque contaminate come irrigazione per tutti i prodotti di quarta gamma. Da un paio d’anni, del resto, l’Agenzia per la sicurezza alimentare tedesca (BfR) continua a monitorare il settore. E a scoprire falle igieniche così gravi da raccomandare sempre ai consumatori un ulteriore lavaggio domestico delle insalate pronte. Una beffa indigeribile, visto il caro prezzo che si paga per portare in tavola un prodotto pronto da condire. E in Italia che succede?
Il settimanale dei consumatori il Salvagente, ha sottoposto ad analisi di laboratorio 10 confezioni di insalate miste, verificando le condizioni igieniche generali, la contaminazione microbica totale e la presenza di alcuni indicatori che raccontano qualcosa in più sulla pulizia delle foglie che si propongono come pronte da mangiare. Il risultato delle analisi mostra uno scenario abbastanza allineato a un livello accettabile sotto l’aspetto igienico. Con qualche eccezione.
Rispetto al quadro generale, i due big del settore si distinguono in positivo: Bonduelle e Dimmidisì risultano le insalate in busta meno contaminate. Le due eccellenze sono anche i prodotti più cari in assoluto dell’intero campione. Rispetto a un prezzo medio di 9 euro, Bonduelle svetta con l’astronomica cifra di 15,80 euro al chilo. Dimmidisì va oltre: per il suo lattughino chiede ben 18,28 euro al chilo. Foglie di lusso. Secondo Giuseppe Battagliola, coordinatore della sezione IV gamma dell’Aiipa, l’associazione confindustriale di settore, il caro-insalate pronte è un tema spinoso: “È l’equivoco della quarta gamma. Anche il prezzo del mais è inferiore alla farina pronta per fare la polenta, ma la differenza è evidente. Nel caso della quarta gamma, invece, l’insalata appare uguale. Non si vede che nella lavorazione viene scartato il 50% della materia prima, che la filiera è controllata, che c’è manodopera, confezionamento, trasporto. Tutti passaggi che fanno lievitare il prezzo di 10 volte”.
Pagare tanto, quindi, dovrebbe garantire un elevato profilo igienico? Alcuni sulla confezione scrivono “garantito igienicamente”. Altri che in un angolino della confezione riferiscono che bisogna lavare il prodotto prima dell’uso. L’altra eccezione rilevata in laboratorio riguarda una confezione di misticanza proposta come “pronta da condire” e venduta a un prezzo di 13,52 euro al chilo. Alle analisi microbiologiche la misticanza in questione, la Foglia verde, a marchio Eurospin, è risultata positiva, sebbene sotto i limiti di legge, all’Escherichia coli, un germe che indica l’avvenuto contatto con materiale fecale. Le blande regole esistenti sulla contaminazione microbica delle insalate pronte contemplano, infatti, soltanto i germi patogeni: quelli capaci di procurare disturbi alla salute più o meno gravi. Tra questi figura anche l’Escherichia coli, per il quale è previsto un limite di 100 ufc/g (unità formanti colonia per grammo).
Spiega meglio di cosa si tratta Raffaello Morgante dell’Istituto zooprofilattico dell’Umbria: “La presenza di questi germi può indicare, per esempio, che l’insalata è stata concimata con letame o irrigata con acqua di fogna. L’eventualità non è per niente remota. Normalmente si irriga prelevando l’acqua da fonti contaminate: canali e falde superficiali o da pozzi. Né si può escludere la collocazione delle vasche di irrigazione in contatto con le fogne o nelle vicinanze di una porcilaia. Il discorso non riguarda solo le insalate pronte, ma vale anche per la pianta. La differenza è che il cespo lo laviamo sempre prima di mangiarlo, e con il lavaggio in acqua si riduce la carica contaminante. I prodotti pronti, invece, siamo portati a mangiarli senza lavaggio”, avverte Morgante.
Anche il Corriere della Sera (07/10/10) è uscito con un report sulla Quarta Gamma, per cercare di capire se vi siano anche differenze nutrizionali tra l’insalata pronta e quella fresca da fruttivendolo.
In uno studio, molto rigoroso, pubblicato dal Journal of Agricultural and Food Chemistry, le differenze nel contenuto dei principali antiossidanti fra frutta "pronta" e frutta "intera", da pulire e tagliare, sono risultate quasi insignificanti (I VOTI DEI NUTRIZIONISTI).
E in altre ricerche la concentrazione di alcuni antiossidanti (flavonoidi) è risultata addirittura
superiore nel prodotto "pronto" rispetto a quello intero. In un’analisi del British Food Journal, il contenuto di un potente antiossidante come la vitamina C in alcuni ortaggi "tagliati e pronti" è però risultato decisamente inferiore. E allora, a chi credere? Risponde Giancarlo Colelli, ordinario di "Macchine & impianti per le operazioni postraccolta" all’Università di Foggia: «Per spiegare queste contraddizioni ricordiamo che frutta e verdura sono organismi "vivi": rispondono a condizioni esterne avverse (luce, ossigeno, taglio) con reazioni diverse a seconda del tipo e dell’intensità dell’ "aggressione" subita. Quindi i valori riscontrati dipendono anche da queste varianti, oltre che dai metodi di valutazione in laboratorio, che possono essere diversi. In ogni caso, quando si parla di valore nutrizionale, conta molto anche la "storia" (varietà, provenienza, tempi dalla raccolta) del prodotto di partenza: per esempio, l’ananas di una vaschetta di frutta
pronta può essere molto più ricco di carotenoidi rispetto a un ananas di altra varietà, con caratteristiche differenti, intero.
«Se l’ortaggio o il frutto di partenza fossero i medesimi – continua Colelli – sarebbe logico aspettarsi perdite nutrizionali maggiori in un prodotto tagliato (nel quale la superficie di esposizione alla luce e all’ossigeno è maggiore), ma questa maggiore perdita sarebbe comunque un piccolo prezzo da pagare a fronte dei vantaggi legati alla maggiore facilità di consumo. A meno di non aver un orto sotto casa, perché in questo caso sarebbe davvero un peccato». Ma quali trattamenti subiscono questi prodotti "pronti", per poter durare anche 7-8 giorni? E come vengono lavati? «Si tratta di trattamenti minimi, – risponde Marco Dalla Rosa, ordinario di Tecnologie alimentari all’Università di Bologna – senza ricorso ad additivi o a tecnologie drastiche di conservazione. Quanto al lavaggio, avviene solitamente in acqua (eventualmente clorata alla stessa concentrazione dell’acqua di rete) ed è talvolta associato a trattamenti con arricchimento di componenti naturalmente presenti nei vegetali e nella frutta, come acidi organici e vitamine antiossidanti». E questo può essere uno dei motivi che spiegano perché in alcuni casi si rilevano capacità antiossidanti maggiori rispetto a quelli dei prodotti non pronti.
Ma se il lavaggio è così semplice non è meglio risciacquare comunque gli ortaggi pronti? «I lavaggi dei prodotti già pronti che troviamo nei supermercati – chiarisce Dalla Rosa – sono con ogni probabilità più accurati di quelli casalinghi, pertanto i risciacqui non sono necessari. Piuttosto, al momento dell’acquisto, verifichiamo data di scadenza e di confezionamento. Ricordiamo che fino all’apertura delle confezioni ci si può attenere alla data di scadenza, ma che una volta aperte, le verdure dovranno essere considerate come un prodotto fresco, da mangiare nell’arco di 24-48 ore. Quanto ai prodotti interi non confezionati, hanno una vita decisamente limitata e una naturale tendenza all’avvizzimento per perdita di acqua e, dunque, di turgore. Diverso è il caso del "confezionato intero", che non mette in atto meccanismi biochimici di "risposta da ferita". Il risultato è che il tempo di vita commerciale può essere anche doppio rispetto a uno analogo
tagliato in pezzettini o fette». Tra tante note positive, il punto dolente è rappresentato dal prezzo. Gli ortofrutticoli già pronti possono costare anche 5-6 volte di più rispetto a quelli freschi. Commenta il professor Colelli: «È inevitabile che questi prodotti costino di più, perché non hanno scarto e perché la manodopera ed i materiali per il confezionamento comportano costi aggiuntivi».