Farò una confessione piuttosto sconvolgente.
Io amo, adoro, veramente, amo, i documentari sul formaggio. Io guardo Melaverde perché ogni tanto mostrano una qualche malga alpina dove dei vecchi rimestano della pasta bianca che diventerà formaggio. Non so come mai. Io vado pazza per queste cose.
Ci pensavo ieri sera guardando “Lo spettacolo della natura”. Ok, i documentari sugli animali sono più belli, visivamente; il problema è che mi ricordano quanto crudele sia la natura e non mi piace granché come cosa. Insomma sei lì che guardi un orso polare sterminare una nidiata di salcazzo uccello e ti viene naturale dire “Oddio poverini” con tanto di occhioni lucidi. Poi però pensi all’orso e dici “Eh beh, però pure lui deve magnà”. No no non fa per me.
Invece il formaggio. Non so. Sono ipnotici. Da un lato c’è anche, come dire, l’ammirazione per il risultato frutto di decenni di tradizione. Insomma, come sono arrivati a quel punto? Come hanno capito che quella era la temperatura giusta per quel tipo di prodotto? Come hanno capito che era meglio usare il latte delle mucche che avevano mangiato un tipo particolare di erba? E così via. Poi mi interessa anche il linguaggio specifico, perché è ricchissimo, dal momento che si dà un nome solo alle cose che si usano, che ci interessano, la lingua è lo specchio della cultura di un popolo. In realtà il prodotto finale mi interessa fino a un certo punto; ovviamente il formaggio mi piace, ma non è che ne vada pazza, non sono certamente una cultrice, farei fatica persino a distinguerli certi tipi. Però mi ricordo che da bambina, alle elementari, avevo dovuto scrivere un tema su Anacleto, parlare di lui, del suo lavoro, di quello che gli piaceva. Io scrissi che gli piaceva il formaggio. E basta. Solo il formaggio. Ancora ce lo ricordiamo.