>>Insegnanti corporativi e studenti avatar

Creato il 30 novembre 2012 da Felice Monda

È noto che nei paesi in cima alle classifiche mondiali degli apprendimenti, come Finlandia e Corea, ma anche in moltissimi altri, i docenti vengono portati in palmo di mano e si investe molto sulla scuola come motore del progresso civile ed economico. Gli insegnanti italiani, invece, hanno subito in queste settimane un infido attacco nella legge di stabilità del governo Monti, solo uno scatto d’orgoglio, solo un rospo troppo grosso da ingerire ha permesso di rivitalizzare un corpo docente in grave sofferenza, se non in decomposizione.

Quasi un alzati Lazzaro! Con in più gli studenti che ci hanno messo il carico da undici.

La ritirata sull’aumento di un terzo dell’orario di cattedra non è andata giù al Presidente del Consiglio, che si è prodotto in una velenosa accusa di corporativismo e conservatorismo contro gli insegnanti italiani, dimentico delle sue 6 ore settimanali di cattedratico universitario. A lui si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, che da tempo ha smesso di osservare i limiti dei suoi compiti costituzionali, gettando il suo cappello a suffragio e copertura del suo Presidente del Consiglio: “Non si può restare prigionieri di conservatorismi e corporativismi, come proprio ieri ha sottolineato il presidente Monti”.

Ora, aspettiamo, in ambasce, l’angelus domenicale del Papa.

Aldilà delle facili battute, questi interventi potenti ci avvisano che la guerra non è vinta, quella che abbiamo portato a casa è la vittoria di una battaglia in un conflitto che si radicalizzerà a breve, dopo le elezioni politiche di primavera. Monti non si sbaglia quando parla di 2 ore anziché 6, quale obiettivo nel monte ore ordinario dei docenti, come non a caso si rincorrono le voci di un percorso d’istruzione superiore di 4 anni, in linea con la stragrande maggioranza degli altri paesi europei. Mischiate il tutto e troverete un risultato che riconduce i conti e i parametri della scuola italiana dentro la pianificata riduzione della spesa pubblica, voluta dalla BCE e liberamente interpretata da Monti.

E allora, siamo fatti come i cachi di questa stagione?

Non direi, anzi.

La mobilitazione delle scuole, partita dalle impossibili 24 ore, si è allargata, ha tracimato, è andata oltre, ha stoppato la legge sull’autonomia scolastica ‘la Ghizzoni-Aprea’, ha rimesso in gioco gli scatti d’anzianità, ha prodotto, sta producendo un rimescolamento delle carte, dove le organizzazioni sindacali concertative, sempre afasiche ma finalmente tagliate fuori, non hanno trovato di meglio da fare se non abbozzare a denti stretti: la lotta paga. Ma questa mobilitazione degli insegnanti porta con se anche un segno costituente, che va oltre la resistenza metro per metro alla destrutturazione della scuola pubblica, che pure è importante: di nuovo, con un movimento in piedi, si coordina ed usa la rete, riflette sul darsi degli strumenti organizzativi di Istituto [comitato, gruppo, etc] oltre le impastoiate rsu, si propone una possibile alternativa [bozza] alla legge sull’autonomia scolastica, di nuovo si affacciano i contenuti propositivi della legge popolare [LIP] per il rinnovamento della scuola pubblica in Italia.

Non sono quisquilie le proposte costituenti sulla funzione della scuola, tanto meno oggi che siamo nella società della conoscenza, del general intellect. Vale, veramente, la pena di giocarci la partita.

Tanto più che gli studenti si sono presi sul serio e fanno per davvero, con un senso di responsabilità, di ponderazione, di allegria, di spensieratezza, di serietà, di mediazione, di interlocuzione, di decisione, di determinazione da lasciare basiti noi stessi che li frequentiamo per dovere e piacere.

Questa generazione di studenti facebook si sono dimostrati, in queste settimane, assolutamente fuori dagli stereotipi a cui la vulgata ci aveva assuefatti, non sono avatar, sono veri: ci hanno stupefatto, tutti noi.

L’impressione è che assemblee, autogestioni, cogestioni, manifestazioni, persino le occupazioni delle scuole non siano state quest’anno un refrain, prestabilito, finito il quale si ritornerà in classe a fare (o non fare) ciò che si faceva prima.

In tutta Italia il 14 novembre hanno forzato il muro di costrizione e del silenzio; il 24 hanno apertamente sorriso festanti a tutti: i cortei, le botte, i tafferugli, le strade e le piazze piene di gioiosa determinazione e di disincantato desiderio di cambiamento, ci segnalano che una nuova leva si è messa in movimento, con cui è utile e costruttivo confrontarsi, ma che non dobbiamo pensare, neppure sognare, di indirizzare, di suggerire cosa fare: lo sanno già, lo hanno dimostrato, sono in grado di trovare la loro strada, senza maestri o professori che gli vogliano insegnare anche fuori dai banchi e dalle aule. Probabilmente siamo noi – immodesti e spesso autoreferenziali – che dobbiamo registrare la lunghezza d’onda e sintonizzarci meglio per ricevere forte e chiaro il messaggio [vedi anche].

Il confronto, i comune obiettivi, le assemblee, le occupazioni, le sperimentazioni, gli approfondimenti, le incomprensioni, le liti tra insegnanti e studenti ci stanno tutte, ci devono essere, altrimenti la dialettica su cosa si può fondare, ma ciascuno nella propria autonomia, nelle proprie individualità, nelle diversità sociali e dei ruoli che abbiamo e assumiamo, consapevoli, tutti, del conflitto sociale dentro cui la scuola è un asse centrale, di cui siamo parte, siamo una componente – con propri interessi, priorità, interpretazioni – tra le altre, di, almeno, pari importanza e dignità.

Beppi Zambon – ADL cobas scuola - http://www.globalproject.info


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