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INSEPARABILI - di Alessandro Piperno

Creato il 08 agosto 2012 da Ilibri
INSEPARABILI - di Alessandro Piperno INSEPARABILI - di Alessandro Piperno

Titolo: Inseparabili
Autore: Alessandro Piperno
Editore: Mondadori
Anno: 2012

Anno 1929: un giovane Albero Moravia pubblica la prima edizione de “Gli indifferenti”, romanzo scandalo che impietosamente ritrae la noia e la falsità della classe borghese all’epoca del fascismo.

Anno 2012. Il romanzo “Inseparabili – Il fuoco amico dei ricordi” di Alessandro Piperno vince il premio Strega, narrando e ritraendo la borghesia dell’anno 2010.

Sono passati ottant’anni e mi viene naturale chiedermi: cos’è cambiato – in quasi un secolo – in questa classe sociale?

Qual è stata l’evoluzione dei fratelli Michele e Carla, della madre Mariagrazia e del suo viscido amante Leo, protagonisti de “Gli indifferenti”?

La risposta la dobbiamo cercare nei personaggi degli “Inseparabili”: in Filippo e Samuel (o Semi) Pontecorvo, due fratelli romani di origine ebrea dei quali Piperno celebra vita, morte e miracoli (soprattutto, ma non esclusivamente, sessuali). E nei loro genitori: la madre Rachel e – coincidenza imbarazzante di nomi! – nel defunto padre Leo.

Filippo è autore di comics di successo (“Erode e i suoi pargoli”): è sposato ad Anna, ricca di famiglia, “un’attricetta … che solca lo show business dall’età di quindici anni … una revanscista di prim’ordine che ogni sera, prima di addormentarsi, fantastica su una ribalta che le consenta di superare di slancio qualsiasi successo il padre abbia mai ottenuto …”. Con queste premesse, ‘Fili’ conduce “una vita equamente spartita tra lassismo ipocondria e disincanto”, da fedifrago impenitente.

Samuel è “il fratello inessenziale, … il cadetto in tutti i sensi”: un bocconiano che dopo un’esperienza manageriale in banca si lancia in un’avventura imprenditoriale spericolata. Le ansie sedate a colpi di Pasaden e il senso di colpa per la morte del padre sono le probabili cause della sua disfunzione sessuale.

I due fratelli si muovono in un mondo ove trionfano volubilità, superficialità, noia, maldicenze, tra “feste estive in terrazzo in occasione delle quali … circondarsi di … amici eccentrici e di … nemici prestigiosi”. In una generazione nella quale “l’interesse dei ragazzi per la marca degli zainetti e l’ossessione delle ragazze per la lacca e il mascara” hanno “soppiantato in modo così radicale qualsiasi utopia rivoluzionaria.”

Ma è soprattutto il diaframma che separa le persone, lo stesso che fa vivere agli eroi di Moravia una vita esteriore falsa e scollata da quella interiore, il vero dramma della vita familiare: “l’atmosfera di grottesca, insensata omertà in cui l’intera famigliola è precipitata” al punto da asserire che “l’ipocrisia è una preziosa risorsa sociale” e “il miglior antidoto contro il caos.”

Le cose più interessanti del romanzo?

Innanzitutto l’abilità descrittiva e la ricchezza del linguaggio. Volutamente contaminato dalle evoluzioni borghesi della lingua italiana.

Poi l’espediente di rivelare nelle ultime pagine l’identità del narratore onnisciente, che è anche l’autore delle illustrazioni.

Infine l’esplosione impietosa del fuoco amico dei ricordi, nel seminterrato (il “palcoscenico sommerso della loro ultraventennale ipocrisia”), ove il padre ha vissuto da recluso dopo l’infamante accusa di pedofilia. Quando, sotto i colpi dei ricordi che deflagrano, il fuoco amico divampa, lo spettro della festa ebraica, quel “Seder di Pesach” “occasione … di riunire attorno a sé parenti”, evoca – ancora una volta - la festa con la quale si conclude la resa degli “Indifferenti”.

E dunque torniamo alla domanda iniziale: cos’è cambiato in un secolo (seppure approssimato per eccesso)? La risposta è: nella sostanza poco o niente.

E allora mi faccio un'altra domanda: che senso ha attribuire un premio letterario a un romanzo che declina e proclama il fallimento umano, la vacuità esistenziale e l’ipocrisia dei rapporti sociali in tempi come quelli che stiamo vivendo? Probabilmente nessuno. Questa è la risposta che si è dato …

… Bruno Elpis

 

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