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Insolera, nemo propheta in Roma

Creato il 27 agosto 2012 da Albertocapece

Insolera, nemo propheta in RomaAnna Lombroso per il Simplicissimus

C’è stato un momento nel quale gli architetti dovevano fumare la pipa, indossare giacche di velluto  romanticamente  liso, essere distrattamente  sciupafemmine e esibire la barba. Ma c’era barba e barba, che si fosse o no architetti: per alcuni era un espediente per dare autorevolezza a lineamenti infantili. Per altri una altezzosa difesa dagli altri, così che si parlavano – come fa Cacciari -borbottando dentro alla loro stessa vegetazione spontanea. Italo Insolera invece  parlava fuori dalla sua barba nera   lunga e arcaica, se la accarezzava un po’ e poi diceva delle cose molto civili, molto antiche e molto sensate, che suonavano proprio per questo provocatorie a chi della provocazione faceva una professione. Lui invece una professione vera l’aveva, anzi più di una, e molte passioni: era un architetto, un urbanista ed era anche uno storico dell’architettura, dell’arte, dell’ambiente e quindi della società.

Personalmente gli devo, grazie alla sua Roma Moderna l’ammissione allora ancora impopolare  e politicamente scorretta, che l’Eur è bella, piena di misteriosa magia, metafisica e potente, quinta teatrale per la narrazione di gigantismo tragico.

L’ordine magniloquente dell’Eur piaceva a lui autentico antifascista, che preferiva Napoleone a Cadorna, perché era proprio il caos speculativo, l’abusivismo occasionale e prepotente, che avevano fatto di Roma una città vecchia, non antica, vecchia, destinata a diventare – per citare un altro instancabile protagonista del pensiero ambientale: una  “repellente crosta di cemento e asfalto”.

Cui avevano contribuito con inquietante continuità anche giunte di sinistra, cui Insolera non faceva nessuno sconto. Recentemente aveva denunciato in una intervista l’escalation del sacco della città: “grazie a uno strumento, quello della compensazione urbanistica,  è stato riconosciuto dall’amministrazione comunale di Roma, ai proprietari un “diritto edificatorio” stabilendo l’intangibilità della rendita fondiaria. Si è stabilito un principio, poi adottato altre volte, per cui molti costruttori hanno potuto invadere la campagna romana con insediamenti anche enormi, non raggiunti da un trasporto pubblico adeguato, in una città che perdeva residenti ma che si disperdeva sempre di più. Quella norma, che in teoria è anche corretta, ha accompagnato l’urbanistica romana da Rutelli a Veltroni. Ed è il segno di un’involuzione culturale. L’urbanistica e la pianificazione del territorio sono state accantonate: il mercato non ne ha avuto bisogno e non ha più trovato ostacoli».

E continuava:“poi è arrivato Alemanno e con lui il progetto di trasformare l’Eur in pista per la Formula 1 con invasione di cemento. E contemporaneamente arriva il “piano casa”, un ulteriore colpo alla cultura urbanistica. Ognuno si fa la sopraelevazione che vuole, consuma suolo e verde. Il progetto della città non è al centro degli interessi dei legislatori nazionali e regionali».

Ci mancherà la sua integrità e ci mancherà la sua idea “sociale” di urbanistica, chè la città  deve essere  l’urbs, la civitas, la polis.

Ci mancherà perché, a meno che non si modifichino i modelli di sviluppo, entro 20 anni l’area del pianeta occupata dalle città potrebbe aumentare di una superficie pari a quella di Francia, Germania e Spagna messe insieme, invadendo 1,5 milioni di di chilometri quadrati.
Le stime delle Nazioni Unite indicano che entro il 2050, gli abitanti della Terra passeranno dai 7 miliardi di oggi a 9 miliardi, vale a dire che ci si attende in media circa un milione di persone in più alla settimana per i prossimi 38 anni. Poiché si prevede che la maggior parte di questo aumento riguardi i centri urbani, la cui popolazione aumenterà anche a seguito della continua migrazione dalle aree rurali, nelle città riceverebbero un ulteriore miliardo di persone: il totale della popolazione urbana prevista per il 2050 è di 6,3 miliardi, contro i 5,3 miliardi di oggi.

Sembra una tendenza ineluttabile, irreversibile e implacabilmente stretta intorno a uno sviluppo capitalistico insensato che si avvita intorno alla sua dissoluzione e alla perdita di umanità, diritti, bellezza, civiltà. “Il pianeta non può permettersi di non urbanizzare”, dice lo studio dell’Onu. Evidentemente a costo di esplodere per troppa, insensata crescita: oltre il 70 per cento delle attuali emissioni di CO2 va a soddisfare le esigenze della città. Si stima che le emissioni di CO2 delle aree urbane siano passate dai 15 miliardi di tonnellate del 1990 ai 25 del 2010, per arrivare a 36,5 miliardi di tonnellate entro il 2030, assumendo gli attuali livelli di crescita.

Ma la città non è mai solo un luogo fisico. È soprattutto una forma simbolica, che rispecchia la visione del mondo dei suoi abitanti. Era vero per le città antiche, è vero per le metropoli moderne. La differenza è che quelle contemporanee sono ormai l´immagine spaziale della speculazione immobiliare della finanza tradotta in edilizia, della illimitatezza insana fino ad essere suicida. Se l´abitare materializza la visione del mondo di una società, disegna l’identità della sua gente, allora gli edifici sparati verso il cielo dagli archistar traducono in spazio l´ideale economico della crescita infinita.

Si ci mancheranno questi ingegni del limite, questi pensatori del senso buono e civile della vita, questi ammiratori e custodi della bellezza che senza di loro è sempre più a rischio.

 


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