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Intanto in Siria (e nel mondo), i cristiani continuano a morire

Creato il 29 maggio 2014 da Danemblog @danemblog
(Articolo pubblicato su Rivista San Francesco 05/2014)
L'ultima, in ordine cronologico, la vicenda legata alla morte del padre gesuita olandese Frans van der Lugt, che si era rifiutato di lasciare Homs per non abbandonare i pochi cristiani rimasti: è stato giustiziato con due colpi alla testa da un commando, lunedì 7 aprile. Quasi contemporaneamente, il quartiere cristiano di Damasco era sotto attacco dei colpi di mortaio dei ribelli: almeno undici civili uccisi.
A riportare in luce la triste sorte dei cristiani in Siria, erano stati i racconti della presa di Kessab, città vicina al confine con la Turchia: segno restante della presenza armena (cristiana) nel Medio Oriente. Chiese profanate, dipinti squarciati: il parroco della città sulla sua pagina Facebook aveva denunciato almeno ottanta morti: più di quattrocento famiglie costrette a fuggire e chiedere aiuto alle comunità cristiane di Latakia, lasciandosi indietro tutto quello che restava di una vita passata tra i ricordi degli orrori del Medz Yeghern – il “Grande Male”, il genocidio armeno per mano dei Giovani Turchi, che durante la Prima guerra mondiale volevano uno stato nazionale.
Poco prima, a inizio marzo, la cristianità come colpa, era toccata invece alla cittadina di Yabrud, Rif di Damasco: settimane di combattimenti incessanti, poi la vittoria delle forze governative. Il reporter del "Telegraph" Robert Fisk raccontava di una città vandalizzata dal controllo dei ribelli: la chiesa di Nostra Signora, la più antica di tutta la Siria, era diventata «luogo di vergogna», copie del Nuovo Testamento bruciate, dipinti distrutti, le statue dei santi con gli occhi cacciati dalle orbite e gli arti mozzati.
Soltanto gli ultimi di una lunga sequenza di episodi, che dall'inizio del conflitto siriano coinvolgono i cristiani: ormai disorientati, persi tra le file di questa guerra diffusa, asimmetrica, priva di discernimento – ammesso che le guerre possano mai avere.
Ma non solo la Siria: a inizio aprile una coppia di cristiani è stata condannata a morte in Pakistan dalla controversa legge sulla blasfemia – spesso usata in modo arbitrario e strumentale –: stavolta l'oggetto era un sms ritenuto offensivo verso Maometto. In Nigeria, la più forte economica d'Africa vive ancora le enormi incoerenze del continente: tra queste gli islamisti di Boko Haram, protagonisti dai primi dell'anno di una nuova terribile ondata di violenze nella lotta per uno stato islamico nel nord del paese, che ha come vittime designate soprattutto i cristiani dei villaggi settentrionali. Senza dimenticare gli attentati talebani alle messe in Afghanistan e il pensiero culturale anti-cristiano strisciante in Libia, o le difficoltà della comunità storica di cristiani iracheni alle prese con il furore dello Stato Islamico d'Iraq.
E si tratta di un elenco che sarebbe ancora più lungo: lo stesso Card. Bagnasco, aveva denunciato qualche mese fa, la reazione «tiepida» della comunità internazionale, che «fa finta di non vedere» questo genere di fatti, che invece continuano a riempire le pagine di cronaca, anche nella nostra parte di mondo – dove spesso ci dimentichiamo della fortuna del poter pregare liberamente.L'ultima, in ordine cronologico, la vicenda legata alla morte del padre gesuita olandese Frans van der Lugt, che si era rifiutato di lasciare Homs per non abbandonare i pochi cristiani rimasti: è stato giustiziato con due colpi alla testa da un commando, lunedì 7 aprile. Quasi contemporaneamente, il quartiere cristiano di Damasco era sotto attacco dei colpi di mortaio dei ribelli: almeno undici civili uccisi.
A riportare in luce la triste sorte dei cristiani in Siria, erano stati i racconti della presa di Kessab, città vicina al confine con la Turchia: segno restante della presenza armena (cristiana) nel Medio Oriente. Chiese profanate, dipinti squarciati: il parroco della città sulla sua pagina Facebook aveva denunciato almeno ottanta morti: più di quattrocento famiglie costrette a fuggire e chiedere aiuto alle comunità cristiane di Latakia, lasciandosi indietro tutto quello che restava di una vita passata tra i ricordi degli orrori del Medz Yeghern – il “Grande Male”, il genocidio armeno per mano dei Giovani Turchi, che durante la Prima guerra mondiale volevano uno stato nazionale.
Poco prima, a inizio marzo, la cristianità come colpa, era toccata invece alla cittadina di Yabrud, Rif di Damasco: settimane di combattimenti incessanti, poi la vittoria delle forze governative. Il reporter del "Telegraph" Robert Fisk raccontava di una città vandalizzata dal controllo dei ribelli: la chiesa di Nostra Signora, la più antica di tutta la Siria, era diventata «luogo di vergogna», copie del Nuovo Testamento bruciate, dipinti distrutti, le statue dei santi con gli occhi cacciati dalle orbite e gli arti mozzati.
Soltanto gli ultimi di una lunga sequenza di episodi, che dall'inizio del conflitto siriano coinvolgono i cristiani: ormai disorientati, persi tra le file di questa guerra diffusa, asimmetrica, priva di discernimento – ammesso che le guerre possano mai avere.
Ma non solo la Siria: a inizio aprile una coppia di cristiani è stata condannata a morte in Pakistan dalla controversa legge sulla blasfemia – spesso usata in modo arbitrario e strumentale –: stavolta l'oggetto era un sms ritenuto offensivo verso Maometto. In Nigeria, la più forte economica d'Africa vive ancora le enormi incoerenze del continente: tra queste gli islamisti di Boko Haram, protagonisti dai primi dell'anno di una nuova terribile ondata di violenze nella lotta per uno stato islamico nel nord del paese, che ha come vittime designate soprattutto i cristiani dei villaggi settentrionali. Senza dimenticare gli attentati talebani alle messe in Afghanistan e il pensiero culturale anti-cristiano strisciante in Libia, o le difficoltà della comunità storica di cristiani iracheni alle prese con il furore dello Stato Islamico d'Iraq.
E si tratta di un elenco che sarebbe ancora più lungo: lo stesso Card. Bagnasco, aveva denunciato qualche mese fa, la reazione «tiepida» della comunità internazionale, che «fa finta di non vedere» questo genere di fatti, che invece continuano a riempire le pagine di cronaca, anche nella nostra parte di mondo – dove spesso ci dimentichiamo della fortuna del poter pregare liberamente.
Nota: questo pezzo è stato scritto oltre un mese fa, ragion per cui non sono presenti alcuni importanti aggiornamenti. Per capirci, non si fa menzione delle ragazze rapite dai Boko Haram o delle condizioni di padre Dall'Oglio che in questi giorni sono tornate di cronaca, eccetera.

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