È di questi giorni una sentenza importantissima della Corte di Giustizia dell’Unione Europea: essa affronta un tema di scottante attualità, che riguarda ormai chiunque abbia un computer e una connessione a internet, utilizzi un account su un social network come Facebook o Twitter, gestisca un blog, un sito o qualsiasi altro tipo di contenuto multimediale.
Il problema trattato nella pronuncia è quello del cosiddetto “linking”, ossia ciò che facciamo un po’ tutti quando copiamo e incolliamo il link a una pagina o un sito terzo per condividerla con altre persone. La questione è se tale inserimento possa costituire violazione delle norme sul diritto d’autore e, in quanto “comunicazione al pubblico”, richieda l’autorizzazione del titolare del contenuto originale.
A sorpresa, la Corte ha dato, al quesito, risposta affermativa: il consenso è necessario. Ma, per fortuna, non sempre. Il “copia e incolla” di un link a un altro sito richiede l’autorizzazione dell’avente diritto (ossia del titolare del contenuto linkato) solo quando il sito ospitante si rivolge a un “pubblico nuovo” rispetto a quello cui si rivolge invece il sito linkato.
Per esempio: se Tizio inserisce il link del sito “A” all’interno del sito “B”, dovrà chiedere l’autorizzazione al proprietario dei diritti solo se il sito “B” sia rivolto a un pubblico diverso da quello a cui si affaccia il sito “A”.
Ma cosa significa in pratica? Che nella gran parte dei casi questo consenso non è necessario. Infatti, secondo la Corte, tutte le volte che il sito linkato sia ad “accesso libero e gratuito” (per esempio un sito che fa informazione o che contenga dei contenuti audio o video visibili a chiunque, senza bisogno di autenticazioni o di pagare alcunché) allora si può affermare che il pubblico sia lo stesso di quello del sito ospitante: si tratta, cioè, della generalità e globalità degli utenti della rete. In tali casi, quindi (quando cioè entrambi i siti siano ad accesso libero e gratuito) non è possibile sostenere che il sito che ospita il link prenda di mira un “pubblico nuovo” rispetto a quello cui si rivolge il titolare dei diritti.
Al contrario, l’autorizzazione diventa obbligatoria quando il sito ospitato consenta l’accesso ai propri contenuti solo dietro abbonamento o sia protetto da password o altre misure tecnologiche di protezione.
La sentenza in commento segna un passo decisivo nell’ambito del dibattito sulla condivisione dei contenuti nella rete. Essa va nel senso diametralmente opposto a quello che vorrebbero tracciare le industrie dei contenuti e gli editori, richiedendo forme di sovvenzione o di remunerazione per le attività di linking o di indicizzazione dei loro stessi contenuti.
I giudici di Lussemburgo hanno, in pratica, ribadito un concetto cardine del web: quello che viene messo gratuitamente e liberamente nella disponibilità degli utenti della rete deve rimanere tale e non può essere sottoposto a limitazioni o autorizzazioni in nome del copyright. I diritti d’autore – almeno quelli relativi alla libertà di un “copia e incolla” dei link – muoiono nel momento stesso in cui l’autore del contenuto decide di aprire le proprie pagine all’intero web.
Resta fermo, ovviamente, il divieto di fare “copia e incolla” dell’integrale testo dell’articolo. Una cosa – giova ancora rammentarlo – è il semplice url del sito web, un’altra è invece il contenuto in sé (per esempio il testo di un articolo).
La sentenza, quindi, diventa anche monito per i parlamenti nazionali che, a più riprese, stanno tentando di estendere la nozione di “comunicazione al pubblico” in modo da offrire una protezione rafforzata ai diritti di proprietà intellettuale in rete.
Secondo la Corte, invece, le norme UE vietano espressamente ai legislatori di estendere tale nozione perché ciò produrrebbe disparità legislative tra i singoli Stati membri.
La decisione produrrà, peraltro, un forte scossone soprattutto nel nostro Paese dove, di recente, l’Agcom, con l’approvazione del nuovo regolamento antipirateria, si è voluta arrogare poteri di super-vigilanza che travalicano, spesso, il principio di terzietà del giudice: il regolamento, infatti, sembra, in alcuni passaggi, voler inserire una responsabilità per l’attività di linking.
Foggia, 17 febbraio 2014 Avv. Eugenio Gargiulo