Magazine Racconti

Interno coniugale

Da Fabry2010

di Alfonso Nannariello

IIIIIIIV - VVIVII

Anche se mia madre era donna di casa, anche se era del ‘26 e papà del ‘13, un poco con lui già si conosceva. Le famiglie avevano la stessa attività e posizione, erano da qualche tempo della stessa “corporazione” di artigiani, dei muratori. Fu certo per questo che quando papà la chiese l’ottenne in moglie.
Mio padre e mia madre si scambiarono gli anelli di fidanzamento, ma non so se con qualche ufficialità, davanti alle due famiglie. Il suo papà lo conservò in un suo tiretto dell’armadio della sua camera, con un suo cappello a falde larghe e delle cravatte che usava allora. Lo teneva in una custodia che sembrava di guscio di conchiglia. Era quadrato con sopra incise le sue iniziali LN. Mamma lo teneva sempre al dito, anche dopo sposata. Lo perse facendo qualcosa in casa.
Per conoscersi un po’ meglio e non fare le cose proprio a crudo, si frequentarono per tre mesi. Nel lecito di allora, rimanendo illesi.

Anche mia madre, la mattina dopo il matrimonio incontrò, con gli occhi imbarazzati e un po’ smarriti, quelli della casa.
Delle donne, arrivate come croste di neve gelata nelle case dei mariti, si prendevano cura le suocere e le cognate, finché un po’ alla volta non divenivano donne fatte e perdevano l’aura della sposa.

Non so quando mamma smise di compiacere le sere di mio padre, e cominciò invece ad assaporare quelle ore distillando umori da tutte le sue foglie e da tutti i fiori.
So che la domenica, finito di mangiare, mamma e papà salivano in camera. Messa una guardia al giorno con la penombra degli scuri e, con un giro di chiave, una sulla porta, per essere sicuri di non essere disturbati, mettevano il mio silenzio a far loro da scorta.
Ogni volta mi ripetevano di dire che non erano in casa. Ma li sabotavo.
A me pareva brutto fare finta che non c’erano, e se qualcuno veniva, da sotto li chiamavo.



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