New York per la crew di noicinque e' cominciata sul binario interrato della stazione ferroviaria di Boston.
Laggiu' nella penombra, avvolti da rumori misteriosi che rimbombavano tra i mattoni a volta, la bella citta' sopra di noi sembrava lontanissima, sparita.
O meglio, eravamo spariti noi, sospesi in un non luogo,tra Boston e New York.
Il Senator mi aveva preparto al peggio riguardo ai treni americani: lentissimi, niente da mangiare a bordo, poco puliti.. sempremegliochetrenitalia ma non ti aspettare i compartimenti insonorizzati per famiglie, il bagno col fasciatoio e le insalate fatte fresche al momento dallo chef come sull'intercity da Katowice a Varsavia questa estate.
A me poco importava, aspettavo semplicemente un treno per andare a New York, ma a un certo punto non arrivava nemmeno quello.
Mentre attendevamo tra gli archi sempre piu' cupi, senza nessun pannello che spiegasse arrivi o partenze, cercando di captare il senso di annunci cosi' biascicati che nemmeno i nativi li' presenti capivano, ho pensato per un attimo di risolverla alla Hogwart: bambine, prendiamo la rincorsa e fiondiamoci contro il pilone al centro della banchina.
Proprio in quel momento il treno si e' materializzato e noi eravamo pronti e scattanti secondo la procedura di immissione nel vagone stabilita dal Senator: prima sali tu (col bimbo appeso), poi ti passo la grande, poi la piccola, poi ti passo le valigie, poi entro io con i passeggini.
Se non fosse che una gigantessa bionda mi ha acchiappato per una spalla, tirato giu' dal vagone a forza e spiegato che dovevo seguirla per andare in fondo al treno perche' non potevo salire sul quiet wagon con i bambini. Mentre io e il Senator eravamo gia' pronti ad azzannarla con la nostra rodatissima filippica in terra houstoniana sulla Liberta' e i Diritti Umani dei portatori di prole e della prole medesima a non essere ghettizzati, la Gigantessa ci ha mostrato i quattro posti con tavolino in mezzo che ci aveva riservato a inizio di quella carrozza, con spazio extra per mettere i passeggini oltre alle valigie.
Ci aveva fatto chiaramente un favore, percio' ci siamo rimessi in tasca la filippica e abbiamo ringraziato.
Dopo esserci installati, ho visto altri passeggeri col bicchierone di carta fumante di caffe' e ho spedito il Senator in avanscoperta: nonostante la sua cautela nelle aspettative, eravamo sull' Acela Express, il treno piu' moderno degli Usa.
Viaggiare in treno per me e' il meglio.
Quando non ero madre, in treno incontravo sempre persone dalle storie interessanti (beh, anche in aereo a dire il vero, ma ho paura di volare quindi mi rilasso di piu' in treno) oppure leggevo,e il rumore del treno teneva il tempo delle parole.
Adesso viaggiare in treno significa anche rincorrere, dire non toccare/leccare/appoggiare che e' sporco, cambi di pannolini rocamboleschi in assenza di fasciatoio, ma nonostante queste piccole fatiche, anche le bimbe iniziano a condividere con me cio' che preferisco di questo mezzo: guardare fuori dal finestrino il mondo che va velocissimo e cogliere in quei pochi secondi piu'dettagli possibile.
Il treno che scende dal Maine a Washington per molti tratti corre proprio sul filo delle sponde, dando la sensazione di scivolare sull'oceano. Un bellissimo sole incendiava gli alberi gia' vestiti dei colori autunnali e tra una foresta e l'altra si alternavano le piccole baie di oceano contro spiaggette di sabbia dorata e piccoli scogli. Case come quelle nelle foto patinate degli Hamptons e di Martha's Vyneyard. Fari. Casette come quelle dei quadri di Hopper. Gli scorci si susseguivano incorniciati dalla finestra del treno, raggiungendo l'apice della bellezza tra Rhode Island e New Haven (Connecticut).
Mentre osservavo tutto quel rosso oro e blu scintillante, mi sono sentita dire: se rimaniamo negli Usa mi piacerebbe tornare qui e vedere questi posti.
Guardando Leo aggrappato saldamente al suo bar, cioe' me medesima, mi e' venuto in mente quando tenevo tra le braccia Bea, piu' o meno della sua eta', nel tgv per Lione per andare a fare il suo primo passaporto. Era poco meno di cinque anni fa e andare in treno sembrava un'avventura pazzesca: avevo dietro una borsa enorme con tutto il necessario per ogni evenienza possibile o immaginabile.
E poi Ali, piu' o meno della sua eta', nel tgv per Parigi per andarcene a fare un weekend lungo di novembre che sapeva gia' di Natale: c'era una borsa appesa al maclaren di Bea con quasi tutto il necessario per la sopravvivenza di entrambe.
E ora siamo io e Leo e loro due e uno zainetto con dentro un po' di pannolini, un po' di salviette,due mandarini e per il resto ci si arrangia.
Non solo me lo ricordo, ho addirittura una foto di me con loro,che si sa, sono sempre le mamme che fotografano.
Mi fai una foto con lui che si veda siamo in treno?
Okay
Sai, per tradizione.
Durante il viaggio la Gigantessa, che abbiamo scoperto essere il controllore del treno, e' venuta una mezza dozzina di volte a parlare con le bambine, estasiata dal loro multilinguismo, offrendo a sua volta un repertorio di canzoncine in francese molto apprezzato dalle Ice e raccontandoci che le dispiaceva che sua madre, siciliana immigrata a New York dopo la guerra, non le avesse voluto insegnare l'italiano. Ci ha raccontanto dei matrimoni misti nella sua famiglia, del suo periodo di vita all'estero quando le sue figlie erano piccole. Il suo interesse verso le bambine e il desiderio di raccontare la sua esperienza rivedendosi un po' in noi qualche anno fa, mi ha colpito: in un mare di so adorable so cute e' un evento che un'americana voglia davvero dire qualcosa e ascoltare nell'ambito di una casual conversation tra estranei.
Ci ha scortato all'uscita dal treno e si e' congedata da noi solo quando e' stata certa che non avevamo bisogno di ulteriore aiuto nel salire verso l'atrio di Penn Station.
Ho guardato in alto verso il Senator, mentre le scale mobili ci portavano su.
Ho sentito il mio battito accelerare.
Stavo per vedere New York per la prima volta con i miei occhi.