(Interstellar)
Regia di Christopher Nolan
con Matthew McCounaghey (Cooper), Anne Hathaway (Amelia Brand), Jessica Chastain (Murphy), Michael Caine (Professore Brand), John Lithgow (Donald), Casey Affleck (Tom), Matt Damon (Dottor Mann), Topher Grace (Getty), Wes Bentley (Doyle), David Gyasi (Romily), Ellen Burstyn (Murphy anziana), Mackenzie Foy (Murphy bambina).
PAESE: USA 2014
GENERE: Fantascienza
DURATA: 169’
Futuro prossimo. La Terra sta morendo, annientata da terribili tempeste di sabbia. Agricoltore e pilota, Cooper lascia i figli e parte con un’astronave per cercare un pianeta abitabile in cui garantire un futuro alla razza umana. Implicazioni dovute ad un buco nero fanno si che il tempo passato nello spazio sia molto più breve di quello sulla Terra, al punto che quando Cooper tornerà a casa sarà probabilmente molto più giovane della figlia…
Arrivato in sala dopo una trepidante attesa (il film fu annunciato subito dopo Il cavaliere oscuro – Il ritorno), durante la quale sono state spese parole a iosa – “il più grande film di sci fi dai tempi di 2001:odissea nello spazio” (!) – Interstellar, opera n° 9 di uno dei registi più amati degli anni 2000, prende spunto dagli studi del fisico Kip Thorne, esperto di relatività e sostenitore delle teorie inerenti ai viaggi nel tempo attraverso cunicoli spazio temporali. Con un budget di circa 165 milioni di dollari, Nolan inventa la sua personale space opera e, onorevolmente, torna ad un tipo di fantascienza dai messaggi forti ed inequivocabili. Pubblico e critica spaccati in due tra “2001 era un’altra cosa” (ma in effetti Nolan non ha mai detto di voler rifare Kubrick: è come sempre “voce di popolo” – e di marketing) e “capolavoro/caposaldo fantascientifico”. Di capolavoro (e pure di caposaldo) c’è molto poco: di fatto, Interstellar è un melodrammone tipicamente americano imbevuto nei più abusati stereotipi hollywoodiani (anche per come crea la suspense), tuttavia sostenuto da un talento visionario (e non “visivo”, quello ce l’aveva Kubrick) e da idee tutt’altro che banali. In maniera maggiore rispetto ai film precedenti, in cui convivevano temi “alti” e spettacolo nazionalpopolare, le rivoluzionarie idee di Nolan (quelle che piacciono alla parte “intellettuale” di pubblico e critica) sono soffocate dalla scontatezza dell’intreccio, dal bisogno tutto americano di raccontare l’intimo per arrivare a raccontare l’universale, dalla necessità (e qui si parla di marketing) di strappare letteralmente le lacrime agli spettatori. Un film sull’amore? D’accordo, ma sottolinearlo ogni venti minuti lo rende didasacalico.
La sceneggiatura, del regista col fratello Jonathan, ne è dunque sia limite che virtù: trovate geniali (specialmente quelle legate allo sfalsamento temporale tra Cooper e il resto dell’umanità, ma anche il finale nel tesseratto) accostate ad altre che più prevedibili non si può. Più che alla poesia di Kubrick, Nolan è sempre più vicino alla prosa di Spielberg. Il fraintendimento sta tutto qui, su chi pensa che questo sia un male: non lo è, perché nella storia del cinema c’è sempre stato bisogno sia dei Kubrick che degli Spielberg, dei Carpenter come dei Craven, dei Fellini come dei Salce. Nel giudicarlo, non lasciamoci coinvolgere dal battage pubblicitario, dai titoloni dei giornali, dalle dichiarazioni degli addetti ai lavori; godicamoci Interstellar per quello che è: un buon film, uno spettacolo che intrattiene per quasi tre ore, fa piangere, ridere, pensare. Cos’altro si può chiedere ad un film?
Vale la pena andare a vederlo? Sicuro, ma il vecchio Stanley lasciamolo stare. Contributi tecnici ineccepibli, dalle musiche di Hans Zimmer alla fotografia di Hoyte Van Hoytema. Girato in 35 e 70 mm IMAX (e qui forse Nolan ha un po’ pensato a 2001…), è un film che al cinema mette in subbuglio non solo la vista ma anche l’udito. Il realismo di fondo (nello spazio non ci sono suoni) gli fa onore, così come la scelta – assai coraggiosa – di rinunciare ancora una volta al 3D. Film di pancia, ma grazie al cielo esistono pure quelli.
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