Da poco più di una settimana è uscito nelle sale cinematografiche italiane l’ultimo film di Christopher Nolan: “Interstellar“.
Tanta l’attesa nei confronti del prodotto del regista, conosciuto dal grande pubblico per essere l’artefice del reboot e del conseguente rilancio commerciale del personaggio di Batman.
Interstellar, al momento in testa al box office con più di 4 milioni di euro di incasso, è stato oggetto, come era facilmente preventivabile, delle più svariate critiche, classificabili in due fazioni.
La prima fazione, che all’incirca coincide con i fan della prima ora di Nolan (da Following in poi), ha perlopiù apprezzato il film, ma per il momento ha mantenuto un certo distacco, preferendogli ancora “Memento” e “The Prestige” su tutti. La seconda fazione, invece, è rappresentata dal pubblico entrato in rotta di collisione con il regista per via della trilogia del Cavaliere Oscuro. Un pubblico proveniente da esperienze cinematografiche diverse, se vogliamo meno avvezzo a un genere autoriale, più vicino al prodotto mainstream, alla pellicola blockbuster. Questa cospicua fetta di pubblico, appena uscita dalla sala, ha iniziato a parlare di capolavoro, di miglior film di Nolan, fino ai più temerari che si sono spinti oltre con approcci filosofico esistenzialisti, quasi si fosse di fronte a un’ esperienza sensoriale più che a un semplice film.
Ciò detto, dal momento che nel giro di pochi giorni siti web specializzati e social network sono stati invasi da ogni sorta di commento e recensione, tutti riconducibili a grandi linee nei due schieramenti di cui sopra, tentiamo ora un’operazione diversa: contestualizzare Interstellar all’interno della filmografia di Nolan e sottolineare le influenze cinematografiche, filosofiche e in parte scientifiche che costituiscono le fondamenta su cui poggia la struttura del film.
La filmografia di Nolan, esclusi i primi cortometraggi, si apre con “Following“, opera ancora poco conosciuta nel nostro paese, che è tuttavia il punto di partenza per tratteggiare la cifra stilistica del regista.
In “Following”, storia di uno scrittore che per trovare ispirazione per il suo libro inizia a pedinare le persone, abbiamo, pur mancando il fondamentale apporto a livello di sceneggiatura del fratello, Jonathan Nolan, una struttura cronologicamente non lineare della trama che agisce su piani temporali differenti.
Se questa irregolarità temporale rimane solo abbozzata in Following, con Memento, adattamento cinematografico del racconto del fratello “Memento Mori”, ci imbattiamo in un’ opera concepita, dal punto di vista della struttura temporale, in maniera impeccabile.
La struttura della trama è circolare: non si può infatti parlare di un inizio e di una fine, ma risulta più corretto far riferimento a Nietzsche e alla teoria dell’eterno ritorno. Lo spettatore rimane spiazzato, come lo smemorato protagonista che compierà ogni volta le stesse azioni e commetterà inevitabilmente gli stessi errori, quasi si muovesse in una sorta di Nastro di Möbius.
In “The Prestige” e “Inception” dall’eterno ritorno di Nietzsche si passa a un approccio legato al rapporto tra realtà e finzione, sogno e reale, dove i riferimenti più o meno espliciti sono alla psicanalisi, a Freud e, se vogliamo, alla Teoria del Caos.
Interstellar da questo punto di vista può essere considerato come una “summa” di tutti questi elementi: in particolare ritorna la circolarità temporale introdotta nel film con l’espediente dei wormhole (già visto in Donnie Darko), veri e propri cunicoli spazio temporali che conducono in diverse galassie, in diverse realtà.
A tutto ciò si collega anche il concetto di multiverso, tema caro agli amanti dei fumetti, e del quale il reboot di Batman, fatto proprio da Nolan, costituisce un esempio noto a tutti.
Notevoli sono anche i rimandi a Kubrick e al suo “2001: Odissea nello spazio”, con il monolite a far da anello di congiuntura tra ere diverse, a “Solaris”, nel quale il tempo, come per gli “orologi molli” di Dalì, diventa qualcosa di liquido e dilatato, a “Tree of Life” di Malick e “The Fountain” di Aronofsky, dove i rispettivi protagonisti compiono un viaggio alla ricerca dell’essenza della vita.
Nolan a questi ingredienti ne aggiunge uno legato ai sentimenti, quali l’amore paterno, vera forza motrice del film, quasi a voler rendere più assimilabile un prodotto appesantito dalle già menzionate citazioni scientifiche.
In conclusione Interstellar è un mosaico di citazioni filosofiche, scientifiche e cinematografiche, che, a differenza del citazionismo tarantiniano, ha una difficile convivenza con la spettacolarità delle immagini girate in IMAX che a volte annichiliscono il contenuto del film, altre lo esaltano, e che in definitiva lo rendono un prodotto di eccellente fattura, ma allo stesso tempo anche ibrido e poco originale.
Troppa carne al fuoco, dunque, per un’opera che, sempre guardando ai riferimenti già citati, se snellita, avrebbe rappresentato il punto più alto della filmografia di Nolan.