Una bellissima intervista a un’autrice che adoro! Aspettatevi grandi risposte e meravigliose sorprese da Barbara Bolzan!
1) Ciao Barbara, è un piacere tornare a parlare di te e delle tue pubblicazioni. Cosa vuoi raccontare di te al pubblico per presentarti?
Il piacere è tutto mio! Tornare ad affacciarmi in questo blog è un’emozione grandissima!
Dall’ultima volta, di diverso c’è… l’età, perché mi sto ormai avvicinando alla soglia dei 34 anni. Per il resto, la mia vita scorre tra i quotidiani alti e bassi, le incombenze domestiche, la passione per la lettura e l’amore per la scrittura. Il tutto, condito con l’ormai irrinunciabile sottofondo di musichette infantili e le nuove scoperte con le quali mia figlia sa colorarmi la giornata, anche quella più nera.
2) “L’età più bella” è il secondo romanzo che hai pubblicato per la Butterfly edizioni. Un genere completamente diverso da “Rya-La figlia di Temarin”, perché hai scelto di scrivere questo romanzo?
L’epilessia era stato il cardine del mio primo romanzo, pubblicato nel 2004. Adesso, dopo anni, ho deciso di tornare su quell’argomento, perché mi ero accorta che molte cose erano rimaste in sospeso e molte altre erano rimaste rincantucciate in qualche angolo, in attesa che io trovassi le parole per esprimerle e per raccontarle.
Ho voluto indagare, più in generale, l’universo adolescenziale (quello che, ammettiamolo, un po’ ci portiamo dietro tutti ancora oggi): i sogni di quando si hanno sedici anni, la musica che accompagna le tue giornate, le frasi da scrivere sul diario contornate da cuoricini e fiorellini rosa, il primo amore, quello che non si scorda e non passa. Le prime delusioni, lo zaino troppo pesante, il senso di impotenza dell’adolescente che si sente già adulto ma che è prigioniero in un corpo e in una mente ancora inevitabilmente infantile.
Come corollario a quella che, a detta di tutti, dovrebbe essere l’età più bella di una persona, ho inserito il buco nero di una malattia (l’epilessia) che sopraggiunge inaspettata a turbare ancora di più Caterina, la mia protagonista.
La sua, quindi, è una lotta: una lotta per crescere e diventare adulta, una lotta per affermarsi come individuo e cercare di capire cosa fare della propria vita. Ma è anche una lotta contro i pregiudizi di una società che guarda con timore e sospetto chiunque sia affetto da una patologia come quella trattata nel libro.
3) Caterina è la protagonista di questo romanzo, una ragazza fragile che deve imparare ad affrontare il mondo sentendosi “diversa”. Quanto c’è di te in Caterina?
Credo che, quando si scriva, inevitabilmente si inserisca nei personaggi molto di sé, magari anche inconsciamente. L’insicurezza e le fragilità mostrare da Caterina in parte mi appartengono, insieme alla voglia di crescere e affermarsi come persona. L’amore per la lettura mostrata dalla mia protagonista e i volumi che compaiono citati nel testo sono quelli che occupano un posto speciale nel mio cuore.
“L’età più bella” è uno spaccato di vita, una fotografia sovraesposta e modificata con un immaginario photoshop mentale. Vero quanto può essere vero quello che si scrive. Falso quanto può essere falso ciò che si scrive. Come sempre.
4) Parlare di epilessia ti ha “regalato” una bellissima intervista per Tu Style. Com’è stata quest’esperienza?
Un incubo meraviglioso!
Meraviglioso, perché ho avuto la possibilità di portare avanti il messaggio che desideravo passasse attraverso le parole utilizzate nel mio libro; meraviglioso, perché in tutto l’intervista è durata due giorni: due giorni di domande, di botta e risposta, di aneddoti e -perché no?- anche di risate, che poi sono state trasformate dalla penna della giornalista in un “falso monologo”.
Un incubo, perché sono una persona estremamente timida. Ogni volta è come essere sul trampolino più alto prima del tuffo: sai che devi saltare, sai che ti librerai in volo e che sarà bellissimo… Ma c’è anche la paura dello schianto, della “panciata”.
5) Domanda di rito. Rya o Caterina? Chi delle due ti è rimasta più nel cuore e perché?
Rya è una parte di me. Ci conosciamo da talmente tanto tempo, ormai, che mi ritrovo quasi a dialogare con lei come potrei fare con una vecchia amica… o con la mia immagine allo specchio.
Ridendo, mi viene da dire: non chiedetemi quanto c’è di me in Caterina. Chiedetemi quanto c’è di me in Rya!
6) Ci lasci un passo del romanzo?
Non sono abituata a parlare d’amore, ma ne “L’età più bella” l’amore occupa uno spazio considerevole. È un genere di amore pericoloso, quello che lega Maurizio e Caterina: un amore che, da parte del ragazzo, è gelosia malata e smania di possesso:
In quei giorni, quando ero sola con me stessa, ripensavo incessantemente a tutti gli istanti trascorsi fuori di lì. Lo ricordavo alla caffetteria dal soffitto dipinto a cielo stellato, mentre scrollava la cenere della sigaretta nel proprio caffè nero. Mescolava e beveva. Raccontava storielle divertenti per farmi ridere. Ricordavo quando, in mezzo agli altri della compagnia, rimaneva alle mie spalle e mi abbracciava. Le nostre dita intrecciate all’altezza del mio ventre. La mia nuca appoggiata al suo petto. Il suo amore che puntualmente mi disorientava.
“Non dovresti perder tempo qui con me” gli dissi, con lo sguardo fisso al cartone imbrattato di mozzarella e pomodoro. Mi leccai la punta delle dita sporche di farina e briciole carbonizzate. Una sottile polvere nera che sapeva di forno a legna. “È sabato sera. Perché non vai fuori a divertirti con gli altri?”
“Lo sai perché.”
Sì. Lo sapevo. Ma volevo sentirmelo dire.
Respiravo il suo profumo di Nazionali senza filtro e ammorbidente all’albicocca. Mi rincantucciai tra le sue braccia, raccogliendo le gambe sulla seduta gialla della poltroncina di plastica, e sfilai coi piedi nudi una ciabatta dopo l’altra.
In un certo senso, riflettevo, lui è contento che io sia chiusa qui dentro. Qui non c’è nessuno che possa ronzarmi attorno. Non c’è motivo di litigare. Da quando sono qui, andiamo d’amore e d’accordo. Qui io sono solo sua.
Ero convintissima che Maurizio la pensasse così.
Date queste premesse, era chiaro: avevo perso in partenza. In partenza, avevamo perso entrambi.
Questo, invece, è tratto dalla parte centrale del libro, quando Caterina viene ricoverata per la seconda volta:
Quella volta non mi dissero che mi avrebbero tenuto quarantotto ore in osservazione. Non sprecarono fiato per l’ultima menzogna, recuperando così almeno un briciolo di buon gusto. Mi assegnarono un letto e mi dimenticarono per un po’.
Mi misi a studiare il pavimento, rosicchiandomi le unghie. Le donne delle pulizie non erano ancora passate. Un batuffolino di polvere e capelli mulinava sul linoleum. Nell’angolo era stato dimenticato un fazzoletto di carta usato. Su un comodino c’era una scatola iniziata di cioccolatini, lasciata aperta, e una mosca ci zampettava sopra, sfregandosi i grandi occhi strani.
Appoggiai la testa sul cuscino, guardando il finestrone. La situazione si ripeteva. Ero tornata indietro, come un bambino scappato di casa.
Eraclito ci aveva mentito, e i professori di filosofia con lui: ti bagnerai eccome due volte nello stesso fiume. Solo Nietzsche aveva visto giusto, e questa era la cosa peggiore: sapere che lui, il triste Friedrich di Röken, lui solo non si era sbagliato, quando da sotto i baffoni sciorinava i suoi infiniti ritorni come se fossero monetine da giocare e buttare sul tavolo.
(…)
Una persona legge Dante e Milton e si immagina l’inferno in un certo modo. Poi arriva qui, e si rende conto che quello che gli hanno raccontato erano solo fantasie litografiche di un Dorè ispirato.
Ti aspetti chissà cosa. Cani a tre teste, custodi che ti avvolgono con la coda, fiumi da attraversare, anime nude e prave, e poi fiamme, vento, ghiaccio, tombe. Sei preparato a questo da che frequentavi il catechismo.
Invece. Sei sotto terra, ma non al centro. C’è un caldo sopportabile, la tua pelle non brucia. Nessuno ti frusta o ferisce con le unghie. Ti aspettavi un inferno rosso e nero. Non bianco come la neve più pura. Se tu fossi libero, questo corridoio assomiglierebbe a qualcosa che conduce in paradiso. Ma il paradiso non c’è.
Questo è l’inferno. Sei qui, lo puoi guardare, puoi anche toccarlo. Puoi prenderti tutto il tempo che vuoi. Tanto, l’eternità è lunga
7) Cosa significa per te la scrittura? E qual è il tuo approccio a essa?
La scrittura è un modo per esprimere cose che, altrimenti, non riuscirei mai a esternare. Un po’ come Munch, che diceva che i suoi quadri nascevano dagli incubi che lo svegliavano la notte.
Scrivere è distorcere la realtà, piegarla a come vorremmo che fosse; è vivere cento vite, tornare indietro e viverle di nuovo; è viaggiare anche quando non puoi muoverti da casa, è sognare con gli occhi aperti.
Scrivere è la differenza tra vedere e guardare.
Il mio approccio è sempre in punta di piedi, come se non avessi nessun diritto di trovarmi qui.
Ma le parole di carta sanno anche darmi gioia. Una pagina bianca è come un regalo ancora da scartare, completo di nastro rosso. Un’aspettativa continua e deliziosa.
8) Fantasy o storie vere? Qual è il genere che senti più tuo?
Passo spesso da un genere all’altro, subisco delle cotte momentanee ora per un genere, ora per l’altro.
In questo momento ho abbandonato il canale delle “storie vere” e sto camminando ancora nel sentiero del fantasy (o storico-fantasy, come forse sarebbe più giusto dire): il seguito di Rya – La figlia di Temarin è ormai ultimato, sto rileggendo per l’ennesima volta il testo, addentrandomi ancora una volta nel mondo di Rya, con i personaggi che ci hanno accompagnato fino alle ultime pagine del primo volume. Lo scenario è cambiato, non ci sono più boschi intricati e pericoli nascosti dietro ogni cespuglio. Adesso… Adesso, comincia la caduta libera, le stelle diventano stalle. Questo è fango vero, che macchia gli abiti e la pelle. La domanda è: riuscirà Rya a lavarlo via? A tornare quella di un tempo? O le esperienze che l’ho costretta a vivere la segneranno davvero per sempre?
Quanto può essere brusca questa sua caduta?
9) In che maniera organizzi la promozione dei tuoi lavori?
La risposta spontanea sarebbe: annego lentamente.
In realtà, cerco di promuovere i miei lavori attraverso ogni canale possibile, sia esso mediatico che “fisico” e reale.
A breve (l’11 ottobre) avrà luogo la prima presentazione de “L’età più bella” presso La Libreria di Desio, un evento al quale siete tutti invitati!
(11 ottobre, ore 17:00, presso La Libreria di Desio, via Garibaldi 34, Desio MB)
Le fiere del libro, gli incontri con l’autore, le interviste e i concorsi letterari sono inoltre un ottimo mezzo per farsi conoscere.
10) Quali sono, a tuo avviso, gli ingredienti per scrivere un buon romanzo? E cosa, invece, bisognerebbe assolutamente evitare?
Vorrei conoscere la ricetta segreta per produrre un buon romanzo!
Solitamente, prima di accingermi a scrivere un nuovo lavoro, trascorro molto tempo in quel limbo che è la “fase di ricerca”. Testi, volumi, viaggi che mi portano nei luoghi che vorrò poi narrare: raccolgo molto materiale, che passo poi al vaglio e utilizzo per le descrizioni degli ambienti o degli usi e costumi.
Quello che cerco di evitare, quando scrivo, è di essere troppo distaccata: il lettore deve credere realmente alla storia che stai raccontando, deve ritrovarsi a vivere insieme ai personaggi, essere uno di loro, sentire ogni fruscio o profumo che descrivi. Rincorro costantemente la sospensione dell’incredulità, per diventare io stessa parte integrante della vicenda. E per trascinare il lettore lì con me.
Non come semplice spettatore, ma come agente protagonista.
Grazie Barbara per averci dedicato il tuo tempo. Sono sicura che ci sentiremo ancora molto presto!
Grazie a te per questo spazio.
Sì, sono sicura anch’io che ci sentiremo presto, anche se prima… devo cambiarmi d’abito (questa la capiranno in pochi, ma… rimanete con noi! Ci sarà presto una grande sorpresa!)