Intervista a Claretta
Creato il 16 novembre 2012 da Ambrogio Ponzi
@lucecolore
Il Risveglio in distribuzione oggi, venerdì 16 novembre, pubblica una parte importante dell'intervista a Claretta Ferrarini effettuata dopo la presentazione del suo libro “Genesi” nel Ridotto del Teatro Magnani di Fidenza di venerdì 12 ottobre. Il suo libro è il risultato di un lavoro impegnativo, come si può capire dal titolo del libro stesso “Genesi”. Si tratta della trasposizione nell'idioma, parlare di dialetto può sembrare riduttivo, fidentino o meglio borghigiano del primo libro della Bibbia.
Nella corso della presentazione, dopo l'introduzione del Sindaco Mario Cantini, il nostro Vescovo Carlo Mazza si è soffermato sul significato di ogni traduzione della Bibbia. Il suo discorso non conferisce certo un imprimatur al libro, ma gli riconosce l'importanza nei limiti e nella relatività che la traduzione dei testi sacri può avere in qualsiasi lingua.
Rileggendo i pochi appunti e riascoltando certi passaggi registrati del discorso del Vescovo ho quindi maturato l'idea di sentire Claretta Ferrarini stessa, ne è nata questa intervista che propongo integralmente.
-
Volente
o non volente hai “nobilitato” il nostro "dialetto" ad
accogliere il testo biblico, prima con i Vangeli ora con il racconto
della Genesi, in questo ti sei assunta anche una bella
responsabilità. Probabilmente non ci sei arrivata a caso, quali
sono le motivazioni di questa scelta?
Caro
Ambrogio "volente" ho nobilitato il nostro dialetto che già
di per sé aveva molto di nobile perché, se parlato in modo giusto e
non storpiato, era e rimane una lingua dotta. Infatti esiste ed
esisteva un dialetto mediocre ed uno sublime, come del resto succede
in tutte le lingue. Ancorchè piccolissima, sentivo il vecchio dr
Tridenti, l'ing. Bravi e tutte le persone acculturate di Borgo,
parlare un vernacolo perfetto, mentre quello espresso da altre classi
sociali zoppicava. (sarebbe troppo lungo spiegare tutto).
Ho
capito che mi ero assunta una grossa responsabilità, quando, per i
Vangeli, l'allora Assessore alla Cultura, Vanicelli, mi telefonò per
riferirmi che si era presentato da lui un ateo il quale,
emozionatissimo, lo aveva ringraziato dicendogli che aveva capito il
messaggio evangelico leggendo la mia traduzione. La cosa mi ha
turbata perché non era quello il mio intento, né avevo tradotto i
Vangeli ad uso della sola Chiesa Cattolica, tantè vero che sono
stati comprati anche da credenti di altre confessioni. È la forza
del dialetto puro che ha fatto la sua parte.
Sono
arrivata alla decisione quando, una notte, non riuscendo a dormire ho
aperto la Bibbia e mi sono trovata con Luca; leggevo e le parole,
nella mia mente, si formavano in dialetto. Ho chiuso e riaperto il
testo molte volte, ma, il risultato era lo stesso. Mi sono alzata in
preda ad una certa agitazione; sulla tavola c'erano un foglio ed una
matita con i quali i miei nipotini avevano disegnato una cosa per
Nona Caleta.
Ho
girato il foglio; ho scritti "Cära èl me Teofilo"... e
non c'è più stato verso di fermarmi. Qualche giorno dopo venne a
casa mia Fausto Negri per farmi acquistare un C.D. a favore
dell'Associazione "Amici del Togo". Gli lessi la prima metà
di Luca e lo vidi, prima arrossire fortemente, poi impallidire tanto
che pensai di aver scritto qualcosa di abominevole e di blasfemo. Lui
non parlava. Terminata la lettura queste furono le sue parole: "È
straordinario! Questo va pubblicato". Fu lui a darmi la forza di
continuare addossandosi il gravoso onere di battere tutto a computer
con le difficoltà degli accenti e dei segni diacritici (sono
noiosissima per il dialetto). Correva da casa sua a casa mia o
viceversa andavo io da lui, per le correzioni dovute ad errori di
battitura. Era l'estate 2003, con 40° all'ombra. Fausto perse 7 kg
ed io ogni tanto mi collassavo, ma ci siamo riusciti.
-
Se
ho ben capito il Vescovo ha parlato di un testo "dopato"
rispetto a quello di partenza. Ha poi aggiunto che ogni traduzione è
in un certo senso un rifacimento, una interpretazione. Come
s'inquadra questo concetto con la tua "traduzione"? In
altre parole, leggere la Bibbia in dialetto aggiunge o toglie
qualcosa a chi, conoscendo il dialetto, legge il tuo lavoro o, da
persona semplice, si accosta al Libro nella lingua italiana?
Sì,
S.E. ha parlato di un testo dopato, ma l'aggettivo è inappropriato e
l'ho accettato a fatica solo perché espresso da una persona che non
conosce il nostro dialetto; infatti la Genesi, è tradotta
letteralmente senza interpretazioni e senza parafrasi. Certo è che,
se un termine italiano non ha corrispondenza in dialetto, devo usare
locuzioni o circonlocuzioni che, spesso, sono più pregne di
significato ed hanno più forza che non l'italiano stesso. Nessun
cambiamento dal testo di partenza se non, come ho detto, ieri nella
breve frase: "E la luce fu" che avevo tradotto = e la lüža
l'é riväda. Leggere la Bibbia in dialetto dovrebbe aggiungere
qualche cosa: una più, ma non al testo sacro, ma al dialetto che
ritrova la sua dignità di lingua scritta
-
Tu
dici che il dialetto è una lingua parlata, forse oggi lo è meno,
quale futuro vedi per la nostra lingua locale? Hai pensato a questo
futuro quando ti sei accinta ad opere così impegnative?
La
gente dice che il dialetto è una lingua parlata, ma io non sono
d'accordo, perché, nelle mie ricerche ho trovato migliaia di scritti
nei dialetti di tutt'Italia, a farsi da alcuni documenti longobardi (
VII sec.) alla Carta Capuana: "Sao Ke Kelle terre per Kelli
fini...etc" (800 d.c.) all'Indovinello Veronese: "Se pareba
boves...etc" (900 d.c.), al Cantico delle Creature di S.
Francesco, a Jacopone da Todi, ai Trovatori provenzali, agli scritti
e alle commedie del Ruzante (1500) rigorosamente in dialetto veneto e
potrei farti un elenco infinito. A Borgo, mancando la Borghesìa
(paradosso per Borgo), non abbiamo avuto letteratura, né vernacola,
né in lingua, mentre in altre zone erano fiorenti entrambe. Circa
questi argomenti, ho disquisito a lungo nelle prime pagine del
Dizionario Etimologico Borghigiano di prossima pubblicazione, quindi
ciò che ti sto scrivendo è quasi un'anteprima assoluta.
-
Pensi
di aver onorato degnamente la storia e le tradizione della nostra
gente per conservare memoria? Più direttamente: c'è malinconia nel
tuo impegno?
Penso
di averle onorate degnamente. Non c'è malinconia, né cordoglio, c'è
la consapevolezza della dignità di una lingua che deve tenere unita
una città prima che si sparpagli, a fronte di una lingua, quella
italiana che dovrebbe tenere unita una nazione, invece, già
sparpagliata.
-
Ormai
ti collochi appieno in una tradizione di personaggi che amano la
nostra città e la nostra terra, mi hai recentemente parlato in modo
quasi (o senza quasi) reverente del "Maestro" Vittorio
Chiapponi, che insieme ad altri ha formato una generazione di grandi
"borghigiani". Come vedi invece la nostra generazione in
rapporto alla città, alle sue tradizioni, alla sua storia ed alla
promozione di una cultura che sappia essere cittadina e non
provinciale (nel senso negativo di questo termine)?
Vittorio
Chiapponi è stato un maestro, per me, senza darmi alcuna lezione; mi
bastava ascoltarlo quando passava davanti casa mia e salutava
qualcuno con l'aggiunta di qualche elegante battuta in dialetto.
Inoltre non mi sono persa uno scritto dei suoi, come ho fatto, del
resto con Pîr. Ho ricevuto due osservazioni da questi due grandi
vernacolisti e mi sono bastate per riesaminare tutto ciò che stavo
facendo: Pîr mi disse (dandomi del voi) che parlavo troppo in fretta
e Chiapponi mi sollecitò a non dire più "cunì" quando
davo le ricette del coniglio alla radio. Si deve dire "cunìlli".
Dopo di che entrambi mi hanno affidato i loro scritti da leggere alla
radio, nelle scuole, nei recital ed ovunque, fiduciosi che sarei
riuscita a continuare la loro opera. Spero di non averli delusi. La
nostra generazione è ancorata, solo in parte alle tradizioni; la
storia è prerogativa, ancora di pochi interessati, mentre il
folclore mi pare abbia radici più profonde. Se parliamo, invece dei
nostri figli e nipoti, ahiamè! Non ne capiscono più il significato
culturale e di aggregazione. Credo poco alla cultura cittadina, come
antitesi a quella "provinciale", aggettivo che trovo,
spesso, usato a sproposito. Ognuno deve portare avanti la propria
cultura, con competenza, finezza, cuore e passione, tenendo bene
aperti occhi ed orecchie su tutto il mondo. Io temo l'omologazione e
la ritengo dannosa perché difficilissima a realizzarsi e rischiosa
da concretizzare. Rischieremmo di perdere ognuno la propria identità
e di creare esseri ibridi.
-
Ora
ti pongo la domanda più difficile, dimmi quale domanda avrei dovuto
porti con quale desideravi confrontarti? Logicamente rispondendo a
questa domanda formulerai sia la domanda che la risposta.
Cos'è
cambiato dentro di me dopo aver esaminato sette testi biblici e
tradotto l'intera Bibbia? Ho amato sempre più Gesù di Nazaret e,
presuntuosamente, lo sento come un carissimo potentissimo,
invincibile fratello maggiore. Dentro di me hanno piantato radici
alcune idee che, prima, erano aleatorie e che, per ora non rivelerò;
ne sono sparite altre che non provenivano da una riflessione, ma da
una monotono indottrinamento.
Ambrogio
Ponzi
15
ottobre 2012
Potrebbero interessarti anche :