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Intervista a Claudio Morandini

Creato il 18 gennaio 2011 da Fabry2010

claudio-morandini-rapsodiaClaudio Morandini è nato, vive e insegna ad Aosta. In passato ha scritto cicli di commedie per la radio e monologhi per il teatro. Ha pubblicato “Nora e le ombre” (Palomar, 2006) e “Le larve” (Pendragon, 2008). Il suo racconto “Le dita fredde” è stato incluso nell’antologia bilingue “Santi – Lives of Modern Saints” edita a Baltimora (Black Arrow Press, 2007). “Fosca – Una novella valdostana” si trova nell’antologia “Nero Piemonte e Valle d’Aosta – Geografie del mistero” pubblicata da Perrone nel 2010. Altri racconti sono apparsi su varie riviste.
Il suo nuovo romanzo si intitola “Rapsodia su un solo tema – Colloqui con Rafail Dvoinikov” (Manni, 2010), di cui si riporta una breve nota.
Nel 1996 Ethan Prescott, giovane compositore di Philadelphia, si reca più volte in Russia a incontrare l’anziano collega Rafail Dvoinikov, per una lunga intervista che è anche l’omaggio di un discepolo nei confronti di un maestro quasi dimenticato. Il titolo del progetto, “Rapsodia su un solo tema”, rimanda a una delle partiture più emblematiche di Dvoinikov.
Il vecchio rievoca infanzia e giovinezza, incontri, amori, umiliazioni, con la libertà e il disincanto di chi finalmente non deve più rendere conto a nessuno. La sua musica e le sue parole dimostrano che si può rimanere liberi, come artisti e come uomini, anche sottostando alle direttive di un potere oppressivo.

Claudio, come nasce “Rapsodia in un solo tema”?
L’idea di “Rapsodia” era già lì da molti anni, almeno dai tempi lontanissimi della laurea in filologia musicale su “Stravinsky trascrittore e revisore di se stesso”. Il giovane americano a colloquio con il vecchio russo (più o meno come Robert Craft con lo stesso Stravinsky) mi è sempre sembrata un’idea narrativa affascinante: due mondi che si incontrano, due culture che si confrontano, due vite che si scoprono un po’ alla volta…
“Rapsodia” è stata poi l’occasione per praticare una tematica poco frequentata (la musica colta del Novecento) e per allontanarmi con un certo sollievo dai generi a cui sembravano ammiccare i miei romanzi precedenti. Non vorrei sembrare snob, ma sentivo davvero il bisogno di tentare una strada diversa da quelle più battute dall’editoria di oggi – per fortuna ho trovato in Manni un interlocutore sensibile al mio progetto.
“Rapsodia su un solo tema” è fatto di pagine molto diverse, di frammenti e abbozzi perché così si è formato, dalla combinazione di pagine disparate raccolte nel corso di qualche anno attorno all’idea iniziale del vecchio compositore intervistato dal giovane collega. Ecco perché è una “rapsodia” sin dal titolo. Tra tutto questo materiale che andavo accumulando si sono formati poi legami, continuità, connessioni, rimandi – e il finale dà comunque senso anche alla frammentarietà apparente del testo, basta avere la pazienza di arrivarci.

Quanto spazio hai dedicato alla ricerca (propedeutica alla scrittura del romanzo)?
Potrei risponderti che ho cominciato ad accumulare spunti e dati da quando ero ragazzino, ben prima cioè che mi venisse l’idea del romanzo… La ricerca musicologica alla base di “Rapsodia” si è nutrita nel corso di molti anni della mia passione per la musica, vissuta prima da aspirante musicista, poi da studioso dilettante e da collezionista. In questo senso non è stato difficile mettere insieme tutti quei nomi, quei riferimenti – ed è stato facile soprattutto riversarli con naturalezza nelle pagine di “Rapsodia”. Fanno parte della vita e dei pensieri di Prescott e Dvoinikov perché hanno fatto parte e continuano a far parte della mia vita. Questo significa semplicemente che, almeno per la componente musicologica e musicale, non ho fatto alcuna fatica: giusto la ricerca di qualche data, di qualche dettaglio che la memoria aveva reso impreciso. La fantasia ha fatto il resto, per esempio nel reinventare brani musicali attribuiti a questo o a quel compositore, o nell’immaginare vite di musicisti che non sono mai esistiti, ma che spero abbiano una loro verosimiglianza.
È diverso il discorso sulla ricerca storica: “Rapsodia” è nato soprattutto da momenti dialogati tra personaggi, tra caratteri. I riferimenti storici sono stati un’aggiunta successiva, che mi è servita per situare le vicende in determinati spazi e tempi.

Che ruolo gioca la Storia in “Rapsodia in un solo tema”?
La Storia con la esse maiuscola, in particolare quella del Novecento, è una presenza discreta nel mio romanzo. Se ne sta sullo sfondo, negli incisi, nelle note a piè di pagina, nei riferimenti. Da questo punto di vista, “Rapsodia” non è proprio un romanzo storico; non fornisce un affresco compiuto di un’epoca, ma qualche pennellata sì. A me interessava soprattutto lavorare sul tema dei condizionamenti del potere e della committenza sull’espressione artistica, in diversi contesti storici, dal Settecento di Joseph Mathias Mayer all’Unione Sovietica di Dvoinikov agli Stati Uniti degli anni novanta di Prescott e Thalberg all’immaginario Novecento di Aloisio Kleberson, più altre situazioni minori… E soprattutto mi premeva raccontare la maturazione e la presa di coscienza di Ethan Prescott, che dall’iniziale ottimismo sulla propria privilegiata condizione di musicista e di artista passa, attraverso il paragone con quanto ha vissuto Dvoinikov in modo assai più drammatico, a dubbi sempre più forti sui margini di libertà in cui egli stesso, Prescott, si muove.
In questo gioco di rimandi era inevitabile rinunciare alla precisione del quadro generale per privilegiare solo alcuni dettagli capaci di restituire il senso o il sapore dei differenti ambiti storici e geografici.

Come descriveresti i due personaggi del libro: Ethan Prescott e Rafail Dvoinikov?
Sono complementari l’uno all’altro. In partenza c’era una specie di intento geometrico nel definirli diversi, opposti anche geograficamente. Nel corso della stesura, però, li ho visti crescere come personaggi, assumere spessore e complessità, e ho scoperto – io con loro, soprattutto con Ethan Prescott – le non poche affinità. Per esempio i due hanno una concezione molto simile del comporre, un’idea “artigianale”, molto novecentesca (e molto poco romantica); hanno la capacità di guardare le cose (e se stessi) con ironia, un’ironia un po’ manipolatoria, ma anche talvolta con uno spirito sentimentale quasi naif; in comune hanno anche ricordi di esperienze, per esempio la passione infantile per l’improvvisazione al pianoforte, valvola di sfogo dalle lunghe sedute di esercizi, e alcune idiosincrasie. Ora che ci penso, sono tutte cose che hanno in comune anche con me, idiosincrasie comprese, e che mi è stato naturale attribuire loro.
Ethan è un compositore portato all’eclettismo e un uomo intellettualmente curioso, anche se uno snobismo di fondo gli impedisce di essere totalmente eclettico e curioso di tutto. È alla ricerca di modelli forti, alti – il che è piacevolmente in contraddizione con il suo egocentrismo. Non sembra aver conosciuto il dramma – al massimo si concede qualche rimuginio tormentoso sulla natura della sua arte, sui suoi rapporti con Carl Thalberg, su Polina.
Rafail Dvoinikov ha una storia assai più lunga alle spalle, molti dolori e diversi compromessi. È naturalmente molto più consapevole e pessimista di Ethan – ha un modo amaro, smagato, anche derisorio e sarcastico di esprimere questa sua consapevolezza. Talvolta diventa compiaciuto, puntiglioso, provocatorio – sa di poterselo concedere. Se parlando tende alla verbosità (ma è sempre Prescott a trascriverne le parole, non dimentichiamolo) in musica sembra avere scelto il silenzio, dopo avere via via prosciugato di suoni le sue composizioni. Parla spesso di morte. Vive solo, quasi dimenticato, assistito da Polina – ma non ci sembra meno solo Ethan Prescott, che pure conduce una vita assai più movimentata: spesso è per conto suo, in camere di albergo, sul treno, per la strada.
Dvoinikov è un vecchio malato, la cui fisicità si impone sul resto. Ethan Prescott è la voce che racconta e interpreta questo corpo segnato dalla storia, ed è lo sguardo che si posa sulla vecchiaia (di Dvoinikov, poi di Carl Thalberg, di Klyuev…) scoprendo che quello, la vecchiaia con quel che segue, è l’unico sbocco di ogni vita (questo tema attraversa tutto il romanzo, è un leitmotiv che, per quanto lo si osservi con ironia, dà qualche brivido, almeno a Prescott).

Su “Letteratitudine” stiamo portando avanti un forum sul rapporto tra letteratura e musica. Che tipo di esperienza è stata (ed è) per te animare questa discussione?
Quella di “Letteratitudine” è una delle esperienze più coinvolgenti e fruttuose che mi siano capitate sul web. Ci si confronta partendo da posizioni diverse e si scopre che le posizioni non sono così inconciliabili come poteva sembrare all’inizio; si ritrovano vecchi amici e si scoprono nuove conoscenze; da diversi interventi si traggono nuovi spunti di riflessione e si impara molto. Grazie al nostro forum, per esempio, ho allargato le mie conoscenze sulle ricche testimonianze di letteratura che si occupa di musica e sulle possibili articolazioni del rapporto tra musica e letteratura.
Resta il problema nel nostro paese di una scarsa attenzione per la musica, soprattutto del Novecento, dovuta soprattutto, temo, a un’educazione e a una familiarità con la musica praticamente azzerate.
C’è un altro aspetto che voglio sottolineare: “Letteratitudine” è uno spazio civilissimo di confronto, il che non è per niente scontato nel mondo dei forum, dove spesso la rissa comincia dalla mancata condivisione del senso delle parole e dove sgomitano troppi polemisti della domenica. E questo carattere di confronto, improntato a un galateo che ha una sua ragion d’essere, l’ho sentito da subito in sintonia con lo spirito di “Rapsodia”. Voglio dire che nel mio romanzo, per via della cura maniacale con cui Ethan Prescott trascrive ogni battuta di conversazione, il dialogo ha una parte predominante ed è visto come uno strumento di conoscenza e di arricchimento reciproco – tranne, ovviamente, negli interrogatori di Vladimir Galavamov.
E poi anche il forum è, in un certo senso, una “rapsodia”! Si procede liberamente attorno ad alcuni temi ricorrenti, in un modo che consente anche le divagazioni, le digressioni. Basta fare il punto ogni tanto, per riprendere le fila. Mi piace questa maniera di procedere, è molto simile a come io costruisco una storia.

A tuo avviso, che cosa hanno in comune letteratura e musica? In cosa si differenziano nettamente?
Questa è una delle questioni chiave del forum su “Letteratitudine”.
Nonostante la storia della musica e della letteratura siano piene di esempi di poesia e letteratura nate per essere messe in musica, tendo a vedere queste due discipline come separate, soprattutto per il fatto che la musica è restia a collegarsi, se non a un livello molto convenzionale, a significati altri da sé, a significare insomma e ad esprimere qualcosa che non siano suoni e rapporti tra suoni. Ma proprio questa distanza tra musica e parola rende particolarmente interessante per la letteratura e soprattutto per la narrativa misurarsi con la musica.
Uno dei problemi che mi sono posto anch’io è: come “raccontare” la musica? Prima di tutto attraverso la narrazione della vita dei musicisti, dei fruitori di musica, dei compositori, degli esecutori, degli impresari, che so. Attraverso la narrazione di come nasce l’idea musicale e di come si sviluppa sulla pagina pentagrammata – o in sala di registrazione. Attraverso la narrazione di come viene interpretata dagli esecutori o di come viene colta (capita, a volte fraintesa) da chi ascolta. Siamo in un campo in cui musicologia, psicologia, sociologia soccorrono la letteratura dando ad essa qualche strumento di analisi da ibridare con i ritrovati espressivi e retorici della scrittura. Non è fare musica attraverso la parola scritta, è appunto un raccontare tutto quel mondo che si muove e si agita attorno alla musica.
C’è un altro livello, più vago e in un certo senso più rischioso: la letteratura che prende le mosse dalla musica imitandone le forme. Sono convinto che sia possibile lavorare proficuamente in questa direzione a patto di essere coscienti che si potrà procedere solo per analogia, anzi per approssimazione. Costruire un romanzo come una “rapsodia” è insomma possibile fino a un certo punto (ne sono consapevole); ancora più illusorio è fare di un romanzo una “sinfonia”, una “sonata”, forme assai più strutturate, almeno secondo la tendenza classica. Molte volte, è vero, queste forme musicali sono tirate in ballo nei titoli delle opere letterarie con un intento genericamente suggestivo, rimandano a una vaga idea di interiorità, di pluralità di toni o di voci, in cui ad esempio “sinfonia” vale quanto “concerto” o, che so, “variazioni sul tema”. La letteratura, in sostanza, se va bene può procedere “come se”.
D’altra parte procediamo sommariamente e approssimativamente anche quando parliamo di valenza “narrativa” di un brano musicale, che “sembra” suggerirci dinamiche tra personaggi (timbri, strumenti, o temi…) o uno sviluppo cronologico.
Sono convinto che proprio la “distanza” tra musica e letteratura renda particolarmente interessante lo sforzo creativo dello scrittore che tenta operazioni di avvicinamento.

Progetti per il futuro?
Vediamo. A marzo dovrebbe uscire un mio romanzo breve nella nuova collana di Agenzia X “Inchiostro rosso” (in questi giorni sto appunto lavorando di lima). Altri due romanzi, più ampi e molto diversi quanto a impostazione, sono in comoda attesa di una collocazione editoriale. Accanto alle forme ampie del romanzo, in questi anni ho preso gusto a praticare le forme brevi del racconto: un paio di testi dovrebbe finire a breve nel “jukebooks” di Quintadicopertina.
Quando si scrive, il futuro si confonde sempre con il presente e con il passato – i tempi della scrittura si sommano con quelli editoriali, e a quel punto diventano lunghissimi. Mentre finivo di scrivere “Le larve” già lavoravo a “Rapsodia”; e da quando mi occupo di presentare “Rapsodia” ho steso le prime versioni de “Il sangue del tiranno” e rifinito “A gran giornate” e “Folco”…
Insomma, il progetto è quello di continuare a scrivere sui temi che più mi interessano, di esplorare le possibilità del romanzo e del racconto, di affinare la mia “voce” – e di mantenere un contatto aperto con i lettori.

Massimo Maugeri



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