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Intervista a Francesco Zingoni

Creato il 19 marzo 2012 da Sulromanzo

Demian SideheartSuvvia, non nascondiamolo, nella vita di ogni scrittore lo sconforto è dietro l’angolo, e quando hai un libro nel cassetto che nessun editore ti fila, eccolo uscire allo scoperto per intrappolarti nella sua malia, viscosa e paralizzante. Se, però, lo scrittore è Francesco Zingoni, gli eventi possono assumere risvolti diversi, a dir poco sorprendenti. Dopo due anni e cinquemila ore di scrittura, minuto più minuto meno, Francesco Zingoni mette fine all’ultima revisione del suo primo romanzo, Demian Sideheart.

Da qui prende il via il suo sogno: grande, ambizioso, da favola, come solo i sogni che paiono più irrealizzabili sanno essere. Un sogno che si fa strada accompagnato da un pensiero, qualcosa che suona come: “Oh, al diavolo! E se provassi a farcela da solo?”.

Assecondando l’istinto e la natura intraprendente, Francesco Zingoni fonda una casa editrice, la Outsider Edizioni e pubblica il romanzo. Dal suo cuore zampillano le prime gocce di un cocktail straordinario, un misto di determinazione e desiderio, che porterà Demian Sideheart dritto nelle vetrine di Mondadori, Rizzoli e Feltrinelli a Milano. Per poi approdare, niente meno, che alla Fazi Editore.

Tutto ciò in poco meno di due anni: niente male, vero?

Puoi raccontarci la tua odissea editoriale?

A settembre2010, dopo aver incassato le lodi spassionate di moglie, familiari, parenti, amici e condòmini, decido di tentare la pubblicazione. Premetto che ero totalmente a digiuno delle dinamiche editoriali (ma già avevo intuito di dover stare alla larga dagli editori a pagamento). Così invio sinossi e chiamo alcune delle più famose case editrici italiane. In risposta silenzio siderale, a parte un paio di scambi illuminanti (e a loro modo surreali) con Mondadori e Giunti, che non sto qui a raccontare. Quindi sposto la mira sulle case editrici medio-piccole. Trovo interlocutori più disponibili e qualche tiepido interesse, da convalidarsi nei mesi successivi. A questo punto, però, mi assale un’idea malsana...

Un’idea che si è poi tradotta in un approccio “originale” alla pubblicazione. In un nostro precedente colloquio telefonico hai fatto riferimento al romanzo autobiografico L’arte di correre in cui Haruki Murakami racconta come propose il suo romanzo d’esordio: ne inviò l’unica copia esistente a un concorso letterario e, qualora non l’avesse vinto (cosa che poi, per nostra fortuna, accadde), la sua fatica sarebbe andata irrimediabilmente perduta. Il tuo approccio, invece, è stato diametralmente opposto.

Ammesso che la storia dell’“unica copia esistente” non sia solo una forzatura per creare un’aurea “murakamiana” anche attorno al suo esordio, l’approccio di Murakami è davvero affascinante. Incrollabile fiducia in se stesso? Shō ga naial limite dell’autolesionismo? Comunque sia, hai detto bene: il mio approccio è diametralmente opposto. A fine ottobre 2010 mi metto in testa un’idea precisa - più che un’idea, un sogno - e cerco di non lasciare nulla al caso affinché si possa avverare. In due parole: voglio vedere il mio romanzo nelle vetrine delle librerie della mia città. Poca roba, no? Capisco ben presto che il mio sogno non sarà realizzabile con i piccoli editori. Ed ecco che l’idea malsana a cui accennavo sopra si fa strada.

E se provassi a farcela da solo?

A novembre 2010 mi butto a capofitto. Batto tutte le librerie di Milano presentando un pre-print del romanzo e raccontando l’intenzione di aprire la mia casa editrice, Outsider Edizioni, per pubblicarlo e vederlo esposto accanto ai best sellers del momento. Qualche libraio mi ride in faccia, qualcuno, seppure con un sorriso scettico, mi chiede di lasciargli il libro, ci butta un occhio (per capire se sono motivato da qualcosa di buono o sono proprio fuori di testa). Si convincono che faccio sul serio, mi danno qualche dritta. Evito per un pelo denunce di stalking e raccolgo i primi sì.

E poi il tuo romanzo c’è arrivato davvero in vetrina, persino alla Rizzoli, alla Feltrinelli e alla Mondadori. E qui è stata importante un’altra idea, il book preview.

Parlando coi librai, è chiaro che non basta esporre il libro, ma ci vuole qualcosa che attiri in libreria i lettori con l’idea di acquistarlo. Così m’invento il book preview con in quarta di copertina i riferimenti delle librerie che esporranno il romanzo. Si parte: apro Outsider Edizioni, stampo libro e book preview. Trovo un distributore (Russano Rappresentanze Editoriali, che non ringrazierò mai abbastanza per la sua incosciente disponibilità) e ai primi di dicembre Demian Sideheart approda nelle librerie. Natale è alle porte e propongo la mia storia a diversi media locali. Esce un servizio al TG3 Lombardia che racconta il mio caso come una sorta di “favola di Natale”: un ragazzo che autoproduce il suo romanzo e riesce a farlo arrivare nelle vetrine delle più importanti librerie di Milano. Questa piccola risonanza mediatica motiva i librai a tenere esposto il mio libro, così in molte vetrine ci resta per più di un mese. Si crea quello strano circolo per cui una notizia stimola la sua stessa realizzazione.

Fin qui tutto bene, quindi. Ma arrivare nelle vetrine è stato sufficiente per dare la visibilità sperata al tuo libro?

Direi di no. Nonostante in pochi mesi vada esaurita la prima tiratura di mille copie, mi rendo subito conto che la mia iniziativa rischia di sgonfiarsi e rimanere fine a se stessa. Per fortuna, a febbraio 2011 faccio una conoscenza determinante, che mi instraderà verso la seconda parte della mia avventura. Gian Paolo Serino, la mente affilata dietro Satisfiction, risponde incuriosito a una mia mail. Ci conosciamo e, con un paio di battute, mi regala subito il giusto cambio di prospettiva: mi fa capire che da solo ho già fatto tutto quello che potevo, e ora devo sfruttare la visibilità ottenuta per farmi notare da una vera casa editrice. Una bella iniezione di fiducia. Inoltre Gian Paolo mi dà impulso e dritte preziosissime per far parlare del mio libro: escono così segnalazioni e recensioni su Rai News, Panorama, L’Opinione, Il Tempo e molti altri. Poi iscrivo il mio libro ad alcuni premi letterari e vinco il Città di Cattolica (premio speciale della giuria) e il Tulliola (menzione speciale della giuria).

A questo punto sono pronto per riproporre il libro ai grandi editori. Finalmente ricevo risposte interessate da Fazi, Einaudi, Cairo e Giunti. L’interesse si concretizza subito con Fazi. La loro editor Francesca Magni mi chiede in lettura il libro, poi al Salone di Torino conosco Alice Di Stefano. Nel frattempo l’editor Fabrizio Pennacchia si innamora del mio libro e lavora strenuamente perché venga pubblicato. A ottobre 2011 incontro Elido Fazi e a dicembre finalmente chiudiamo il contratto. La nuova edizione sarà pubblicata nell’autunno del 2012.

Insomma, si è chiuso un ciclo e spero se ne aprirà un altro altrettanto fortunato ed entusiasmante.

Qual è stata l’intuizione che ti ha guidato in tutti questi mesi, sino al contratto con una casa editrice come la Fazi?

L’ho capito solo pochi giorni fa. Un caro amico libraio (Giancarlo Benzoni della libreria “La Tramitedi Milano), dopo aver sballato scatoloni pieni di novità, ha sbottato su Facebook: “ma perché ora escono solo libri da idee nate sul web? E sono tutti casi editoriali?”

Illuminante. Ecco il punto: coinvolgere direttamente le librerie. Nell’epoca di Amazon e degli e-book, la mia intuizione fortunata è stata credere nell’umanità e nel romanticismo dei “vecchi” librai. Rifiutare il teorema per cui tutto dipenda solo da giochi di potere e dalle logiche del marketing. Nell’era dei casi letterari sul web, per distinguermi è stato necessario creare un (minuscolo) caso nato dalle librerie, alla vecchia maniera (o quasi).

Quindi è stato fondamentale il rapporto diretto con gli addetti ai lavori. Hai riscontrato più scetticismo o più curiosità? E cosa, secondo te, ha fatto la differenza?

Più scetticismo che curiosità. La mia fortuna è stata ricevere aiuto prezioso da quei pochi “curiosi” che hanno dato una chance al mio libro. La differenza cioè l’hanno fatta i librai che hanno creduto in un sogno un po’ romantico, magari infantile, sicuramente anacronistico. La cosa straordinaria è che questo è avvenuto non solo nelle piccole librerie indipendenti, più sensibili a queste iniziative, ma anche nelle grandi catene. Per dare un’idea, Carlo De Ponti (direttore della Mondadori Multicenter Duomo) ha addirittura taroccato il database della libreria, attribuendo il mio titolo a un’altra casa editrice, per far sì che venisse accettato dal sistema! Insomma è stato un po’ come giocare ai piccoli eversivi, ed è stato molto divertente. (P.S.: caro Carlo, spero di non metterti nei guai con questo outing!)

Che idea ti sei fatto del panorama editoriale italiano, in particolare delle piccole e medie case editrici?

L’anno scorso, prima di aprire Outsider Edizioni, mi sono chiesto: posso tentare di realizzare il mio progetto insieme a un piccolo editore? La risposta è stata no. La prospettiva che mi si offriva era fatta di poche copie stampate e ancor meno distribuite, serate di presentazione e siti web come unica opportunità di diffusione. Un paio di mesi dopo, quando ho visto il mio progetto realizzarsi, mi sono chiesto: ma perché la piccola editoria non fa lo stesso? Non ho trovato risposte convincenti. Forse si pensa che un gioco come questo non valga la candela: il notevole investimento di tempo e fatica spesso non viene ricompensato da guadagni adeguati. Ma, per quel poco che ho visto, mi resta il sospetto che la piccola editoria, a forza di prendere mazzate, si sia arresa a restare confinata nel suo angolo.

Non ti sei affidato a nessuna agenzia letteraria, perché?

Devo ammettere che è un’ipotesi che non ho nemmeno preso in considerazione, forse per mancanza di fiducia. A mia discolpa posso dire che, ai tempi, Sul Romanzo non era ancora un’agenzia letteraria ;-)

Quali sono, a tuo parere, le differenze sostanziali tra il percorso da te intrapreso e l’affidarsi a un editore a pagamento o a un sito di self publishing?

Allora, le differenze sono essenzialmente tre.

La prima è la libertà d’azione: restando in possesso di tutti i diritti sul libro, sia come autore che come editore, ho potuto disporne sempre e comunque come volevo. Ho potuto prendere accordi con le librerie, stipulare un contratto di distribuzione e infine cedere i diritti alla Fazi Editore senza doverne rendere conto a nessuno.

La seconda differenza è economica: ho speso molti meno soldi! Con l’editoria a pagamento e col self publishing l’autore paga per ogni singola copia un prezzo vicino a quello di copertina. Questo ne impedisce l’inserimento nel circuito librario, dove la distribuzione si prende circa il 55%. Stampare il libro in tipografia inoltre lascia margini per altre iniziative, dall’organizzazione delle serate di presentazione all’invio di copie gratuite ai media per le recensioni.

Ultima, ma non ultima: il fatto di potersi confrontare direttamente con dei professionisti del settore (librai e distributori). Con loro si è instaurata un’interessante dialettica che mi ha permesso anche di apportare alcune importanti modifiche sul testo prima della sua pubblicazione.

Che differenze ci saranno tra il testo autoprodotto e l’edizione di Fazi? Quali sono stati agli occhi di un editore così scafato gli interventi necessari su un testo “spontaneo”?

Il vostro Gerardo Perrotta qualche mese fa ha recensito proprio su queste pagine il mio romanzo. Una recensione severa, ma interessante. Ecco, posso dire che i difetti che ha evidenziato lui, principalmente ingenuità che saltano agli occhi dei lettori più sgamati, sono stati sistemati. Nella nuova edizione (come diceva qualcuno), «la macchina narrativa si è affilata».

La tua è una storia a lieto fine, consiglieresti a un esordiente il tuo stesso percorso?

Se vuole perdere dieci chili in due mesi e vedersi i primi capelli bianchi in testa, perché no? No, sinceramente non lo consiglierei. Non credo sia una ricetta replicabile, perché alla seconda volta stuferebbe. Ha funzionato perché è stata un po’ folle e si prestava bene ad essere raccontata. Poi per me è stato semplice aprire una casa editrice, perché sono dieci anni che lavoro come libero professionista. Aprire una partita iva per autoprodursi un libro, beh, non credo avrebbe molto senso!

Insomma, sta a ognuno inventarsi il proprio percorso. Io ho dovuto assecondare il mio carattere impulsivo e attivo, portato a costruire (talvolta anche castelli in aria). L’idea di inviare un manoscritto e aspettare una risposta, che magari sarebbe arrivata dopo mesi sotto forma di rifiuto, mi faceva venire l’orticaria.

Il mio consiglio, per quello che può valere, è questo: non importa che strada si intraprende, l’importante è dare un paio di gambe al proprio libro. Se avrà l’energia di muoverle, arriverà dove deve arrivare.

1I giapponesi tendono a rispondere a ogni catastrofe o problema che non riescono a risolvere con l’affermazione “sho ga nai” che significa a grandi linee: “non posso farci niente, non è tra le mie capacità cambiare questa cosa".

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