Pubblicato da Ossimoro
Carissimi lettori di Diario,
vi presentiamo Ilaria Mavilla, vincitrice dell’edizione 2011 del concorso “Il mio esordio”, bandito da “Il mio libro”, con il suo romanzo Miradar, che arriva proprio oggi nelle librerie per Feltrinelli, nella collana I Narratori. Chi vi scrive ha letto questo romanzo in anteprima e l’ha recensito per voi sul prossimo numero di Speechless (non perdetevelo!): qui sotto, invece, troverete la scheda di Miradar e l’intervista alla sua autrice, che in questa occasione ci ha raccontato la sua avventura, dalla stesura del romanzo fino alla pubblicazione con Feltrinelli.
INTERVISTA 1) Benvenuta Ilaria e grazie di averci concesso questa intervista; andiamo in ordine cronologico e partiamo dall’inizio: da quale esigenza espressiva nasce “Miradar”? Hai delle esperienze letterarie pregresse o si tratta del tuo primo lavoro in quest’ambito? “Miradar” è il mio primo romanzo. Fino ad oggi avevo scritto racconti brevi e soprattutto testi di drammaturgia. Mi sono formata frequentando il corso di perfezionamento in sceneggiatura Rai-Script. Anche “Miradar” nasce da un racconto. Ma questa volta ho voluto confrontarmi con una forma più complessa, un racconto corale in cui s’intrecciano cinque voci che si fanno eco a vicenda. Credo che ancorarmi ad una struttura sia stato un modo per facilitarmi la strada, per non farmi prendere dall’ansia della pagina bianca. La vicenda si svolge nell’arco di una giornata e gravita intorno ad un luogo, un albergo fatiscente che sorge ai margini della città. L’ho scritto pensando di scrivere una serie di racconti che dovevano intrecciarsi.
2) Dopo quanto tempo dalla fine della stesura del tuo romanzo hai deciso di iscriverlo al concorso “Il mio esordio”? Vuoi raccontare ai nostri lettori questa esperienza? Il concorso l’ho trovato per caso su internet, anche se devo ammettere di essere una grande appassionata di concorsi. Ne ho fatti tanti, soprattutto di drammaturgia, perché ho sempre scritto e cercato occasioni di visibilità. Il più prestigioso fino ad ora era stato il premio Flaiano per il teatro, che ho vinto nel 2007. Avevo finito di scrivere “Miradar” da pochi mesi e stava lì, nel mio pc, senza speranza di mettere il naso fuori. Non avevo nessuna intenzione di passare mesi, forse anni, a spedirlo alle case editrici e a sentirmi dire no, grazie. Poi è saltato fuori “Il mio libro” che mi è sembrata un’ottima vetrina. Autopubblicando la propria opera sul sito la si poteva iscrivere al concorso “Il mio esordio”. E così ci ho provato.
3) La vittoria al concorso ha portato “Miradar” sulle scrivanie di Feltrinelli: com’è stato confrontarsi da subito con una grande e importante casa editrice? Come si è svolto il lavoro di editing e revisione del tuo testo? Bellissimo. Ho avuto la possibilità di lavorare con due persone eccezionali, Giuseppe Catozzella e Carlo Buga, che hanno radiografato le mie pagine con acutezza e sensibilità e da bravi maieuti mi hanno guidata alla ricerca dell’anima del racconto. E’ stato come scavare fino a trovare l’acqua, o togliere la polvere da un vaso antico e vederlo brillare, vederlo nella sua forma e nei suoi colori originali. A volte la polvere era una parola di troppo, altre volte una mancante. L’editor, quando è bravo, è fondamentale. Può persino arrivare a cogliere le esigenze narrative dello scrittore meglio di quest’ultimo.
4) Si sa che esordire dalla porta principale, con una casa editrice rinomata, garantisce una bella vetrina, ma comporta anche una certa “responsabilità letteraria”, in quanto lettori e recensori, nel loro giudizio, tendono ad essere meno clementi di quanto non siano nei confronti di un’opera che esce in sordina, con una piccola casa editrice o autopubblicata: come percepisci questa responsabilità? Ne sono consapevole e mi spaventa. Mi sembra giusto comunque che i lettori e i recensori siano severi, indipendentemente dal prestigio della casa editrice. Se alzo la mano e qualcuno mi da la parola, devo avere delle cose da dirgli, delle cose abbastanza interessanti da non fargli venire voglia di girarsi dall’altra parte. Insomma, da un lato c’è il perché si scrive e dall’altro il perché qualcuno ci dovrebbe leggere. La responsabilità di cui parli comporta una riflessione personale sul ruolo della letteratura, una riflessione che sto cercando di fare. C’è una vocazione universale della letteratura che ha a che fare col raccontare per abituarci alla morte, al destino e poi c’è il farsi carico del momento storico in cui si colloca la mia scrittura, un momento in cui il linguaggio verbale appare sempre più contratto, balbuziente, pieno di puntini di sospensione. E allora forse sta alla letteratura ridargli complessità e spessore.
5) Nella mia recensione ho scritto che i personaggi di “Miradar” (Margherita, Barbara, Marilù, Clarissa e Sugar), per dirla con De André, “non saranno gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”. Ti va di parlarci di loro? Che cosa unisce le loro solitudini? Sono inadatti all’ambiente, proprio come succede nella teoria dell’evoluzione. Sono incapaci di soddisfare le richieste del mondo. E quindi vivono fuori dalla rete sociale, nello spazio grigio della città, in un luogo in cui tutti passano ma nessuno si ferma perché non c’è niente. E lottano quotidianamente per sopravvivere, per non soccombere al proprio dolore. A volte ci riescono, altre no. In fondo, desiderano cose normali. Un lavoro, un po’ d’amore, la possibilità di scegliere. Solo che intorno c’è una violenza dei rapporti dalla quale è difficile uscire indenni. Ognuno cerca una via di fuga dalla propria solitudine, l’alcol, il sesso, internet. Una via di fuga che illude e delude.
6) La struttura di “Miradar” è altamente cinematografica, tanto che a tratti mi ha ricordato il film “Crash-Contatto fisico”: da dove deriva questo modo particolare di descrivere gli ambienti e fare interagire i personaggi? Pensi che questa caratteristica lo renderebbe adatto per un adattamento cinematografico? Hai colto nel segno e ti ringrazio. “Crash” è uno dei modelli a cui mi sono ispirata. In generale, amo quel tipo di cinema, quello della multilinearità, in cui si raccontano storie legate da un fil rouge tematico in cui c’è una forte percezione di come il caso, o se si preferisce il destino, determini la nostre vite al di là della possibilità di scegliere. Penso anche a “Babel” di Inarritu. E’ un tipo di narrazione che rompe con la visione dell’eroe artefice del proprio destino e introduce la dimensione del dubbio, della sconfitta, del limite. Mi sono chiesta se questo fosse esportabile sulla pagina e ci ho provato. Come dice Palahniuk, ormai la contaminazione dei generi è un tratto non rinunciabile della nostra cultura e la narrativa non può non guardare al cinema. Quanto all’adattamento, magari!
7) Quali sono i tuoi autori preferiti e più nello specifico, di quali modelli è debitore il tuo romanzo? Negli anni del liceo mi sono innamorata di Pirandello. Incredibile quanto mi sentissi vicina a ciò di cui parla, il relativismo, l’incomunicabilità, il contrasto tra la vita e la forma. Quando lo scultore di “Miradar” dice a Margherita che un’opera finita è perfetta ma già morta lì per me c’è un po’ di Pirandello. Poi mi piacciono tante cose. Mi piace il minimalismo che va da Carver a Palahniuk, mi piace lo stile sferzante di Aldo Nove, adoro la capacità di Francesco Piccolo di raccontare un mondo attraverso i dettagli, mi piace come Jean Claude Izzo scivola sulle parole rendendo accettabile la tragedia. Mi piacciono e Vergas llosa, Safran Foer, Gutierrez, Agota Kristof.
8) Ora una domanda che spazia dal romanzesco al reale: chi è Ilaria Mavilla, oltre che l’autrice di “Miradar”? E’ la domanda più difficile… posso dirti che cosa ho fatto. Sono laureata in filosofia con una tesi sull’I.A che oggi mi sembra quanto di più lontano da ciò che mi interessa e mi emoziona. Ma ero giovane e forse mi serviva il conforto di qualcosa che avesse un sapore vagamente scientifico. Durante gli anni dell’università facevo parte di un musical, ho ballato e viaggiato un po’, oggi tengo corsi di tip tap e di sceneggiatura. Le mie due passioni. Ballare per non morire, come dice Pina Bausch. Vale anche per la scrittura naturalmente. Questo però non risponde alla domanda. Ma è una domanda alla quale forse è bene non saper rispondere.
9) Per chiudere: quali sono i tuoi progetti letterari per il futuro? Hai già in mente una nuova storia? Ho qualche idea, ma è tutto da vedere. Per ora sto lavorando a un paio di progetti teatrali e chissà che proprio da questi non tragga ispirazione per un adattamento letterario. Ma è davvero troppo presto per parlarne. Una cosa però mi è chiara. Scriverò comunque, anche senza riconoscimento o successo.