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Intervista a John Real

Creato il 09 aprile 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

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Giovanni Marzagalli, in arte John Real, è considerato uno dei più giovani e validi registi in Europa. Può vantare un Master all’Università di California e soprattutto qualità notevoli considerati i suoi 24 anni. E’ giunto al suo secondo film, Midway tra la vita e la morte, che uscirà nelle nostre sale l’11 Aprile dopo aver conseguito numerosi riconoscimenti con la sua opera prima, il thriller-horror Native.
Oggi al Cinema lo ha intervistato per voi.

Lei è uno dei registi più giovani d’Europa e ha conseguito diversi riconoscimenti internazionali. Com’è riuscito a dare avvio alla sua carriera, considerata la nota crisi del settore nostrano?
Ho cominciato a 16 anni con il film “Ombre di realtà”, avevo una macchina da presa che oggi ha la stessa risoluzione di un Iphone. All’epoca esisteva solo Youtube e non c’era nessun social dove condividere i miei video. Sono riuscito a farmi strada creando curiosità nel pubblico. Ricordo che prima della premiere del film nella mia città (Catania) se ne parlava molto, stupiva credo la qualità dei teaser che cercavamo di divulgare ed il passa parola ha fatto tutto. Alla presentazione del film accorsero tantissime persone, il giorno dopo mi contattò Vogue per un’intervista. Non me lo aspettavo e ne fui molto contento. Sono convinto che se credi realmente in qualcosa, in qualche modo puoi riuscire a renderla reale (Real è il suo cognome d’arte n.d.r.). Nonostante la crisi economica e la competizione, credo che oggi sia molto più facile riuscire a farsi conoscere come regista: la tecnologia audiovisiva è alla portata di tutti e questo è un grande vantaggio. Inoltre i social network come Facebook e Twitter sono ottimi strumenti di comunicazione che aiutano a far conoscere le proprie opere.

Quale crede che sia la chiave vincente dei suoi film?
Punto molto sugli argomenti che tratto e cerco di renderli avvincenti. Credo che trattare argomenti che ci distaccano dalla vita reale sia un ottimo modo per intrattenere e allo stesso tempo rievocare le emozioni che proviamo ogni giorno. In particolare, mi piace trattare storie fantasy, dove il pubblico viene proiettato in una realtà diversa da quella di tutti i giorni e, proprio quando meno se lo aspetta, si ritrova comunque davanti alle emozioni della vita reale.

Quanto è difficile secondo lei rendere un thriller o un horror avvincente ed interessante per un pubblico vasto rispetto ad un film drammatico, romantico o comico?
Ci sono registi che nell’horror scelgono d’impressionare il pubblico facendo vedere scene di sangue cercando così di inorridire, è una scelta interessante e spesso molto semplificativa. A me questo non piace, preferisco strutturare situazioni ansiose che trovano sfogo in forti colpi di scena e sviluppi narrativi intrecciati, in cui i tempi e le attese sono elementi fondamentali. Le commedie sono il punto forte della produzione cinematografica italiana, sono divertenti, spensierate e rivolte a tutti. Tuttavia credo che si possa fare bene anche con altri generi, non meno interessanti e coinvolgenti. La commedia qui in Italia è molto richiesta, ma credo che l’interesse del nostro pubblico sia rivolto anche verso altri generi, come il thriller o il fantasy.

Lei ha frequentato l’Università di California, quanto crede di dover la propria creatività al confronto con una realtà così diversa dalla nostra non solo dal punto di vista cinematografico? Cosa le ha dato quell’esperienza all’estero in termini di stimoli e strumenti necessari a mettere a frutto le sue qualità e quanto la sua terra di origine, la Sicilia?
Credo che l’iniziativa sia una prerogativa che devi avere dalla nascita se no non ti verrà mai. La UCLA è stata un’esperienza che ha confermato tante mie idee e che mi ha dato tanta forza. Sapere che dall’altro lato del mondo c’è una realtà cinefila che la pensa diversamente mi ha reso più sicuro nelle mie scelte, prima avevo il dubbio di essere io ad avere concetti diversi da tutti. Ricordo che io e i miei compagni di corso italiani notammo la differenza sin dal primo giorno. La Sicilia è una terra molto particolare, credo che tutte le persone che la abitano facciano parte di un meccanismo creativo che si sviluppa per una serie di problematiche che nascono dall’impossibilità effettiva di poter fare qualcosa. Sforna tanti talenti, ogni siciliano la porta nel cuore.

Il produttore Emanuele Leone ha deciso di darle fiducia perchè condivideva con lei l’intento di realizzare qualcosa che si distinguesse nel panorama cinematografico italiano. Qual è il suo rapporto con i produttori, crede che in Italia siano sufficientemente coraggiosi o che sia da imputare loro parte della crisi del settore?
Leone è un mio caro amico da sempre e con lui ho condiviso l’esperienza di Native che oltre ad essere un progetto che ci impegnava economicamente entrambi, era un obiettivo da condividere insieme. Solitamente il mio rapporto con i produttori è sempre più che positivo. Nei casi specifici di Native e Midway ho co-prodotto con entrambi due opere che non godono della possibilità che hanno le grandi major per fare un film, e questo quindi mi ha spinto a trovare un compromesso con la mia arte, cercando di adattare al meglio le scelte per poter comunque godere di un buon risultato in prospettiva del fatto che è molto difficile riprendere gli investimenti fatti.

Cosa apprezza del sistema statunitense e cosa crede debba necessariamente essere cambiato in quello italiano?
“La vita di un film inizia quando si termina” mi disse Barbara Boyle. Dopo aver terminato un’opera, il principale obiettivo che deve prefissarsi una produzione è quello di distribuirla, sia in Italia che all’estero. Qui molte produzioni attingono a finanziamenti pubblici ma al momento di distribuirlo non hanno alcun interesse, perché molte volte tramite i finanziamenti hanno già ripreso le spese del film o addirittura ci hanno pure guadagnato. Apprezzo del sistema statunitense la concezione del cinema come un’Industria. Forse eliminando questi “falsi aiuti” si restituirebbe al cinema italiano una possibilità che potrebbe davvero cambiare la nostra cinematografia, dando così più valore ai titoli che vendono veramente, e non a quelli che ci fanno credere che stiano vendendo.

Riferendoci strettamente al genere horror, cosa c’è che non va negli horror italiani?
Il problema è che abbiamo perso di credibilità soprattutto qui a casa nostra, mentre all’estero quando sentono di opere horror italiane drizzano le orecchie. Credo che proprio in questo genere ci sia un fermento artistico notevole, sono tanti i registi che stanno intraprendendo questa strada anche se sempre in termini di low budget. Forse non c’è la vera possibilità economica per rendersi credibili. E’ vero che con poco si può fare molto ma credo che il comfort di una grossa produzione possa aiutare molto nella resa di un film e spesso possa essere decisivo nel giudizio che porta uno spettatore a pagare il biglietto in sala.

E’ un estimatore di Dario Argento?
Io stimo molto Dario Argento, perchè ha ancora il coraggio di mettersi in gioco. Sono tanti i registi italiani che hanno fatto la storia del cinema, ma sono pochi quelli che hanno il coraggio di mettere in discussione ciò che sono stati nel passato. Nonostante le numerose critiche sui suoi ultimi lavori, sono sicuro che continuerà a stupire come ha sempre fatto.

Tra qualche settimane approderà nelle nostre sale il suo secondo film, Midway – tra la vita e la morte. Di che cosa si tratta?
Midway è una storia molto semplice che in realtà nasconde una nota molto originale. La particolarità di questo film è la contrapposizione continua di scene di suspense a scene drammatiche. Il sentimento, che non sempre è presente in questo genere, diventa per diverse scene protagonista della storia di Sara ed Alex, accantonando quasi del tutto la minaccia di un’entità soprannaturale che è legata in qualche modo alla loro relazione. Quando mi viene chiesto di che genere si tratti, per me è molto difficile riuscire a definirlo, perché il film evoca delle situazioni che spaziano da un genere all’altro. E’ il primo capitolo di una saga e molto di ciò che viene visto nel film troverà risposta nel seguito. Midway la possessione è il titolo del secondo capitolo, dove si rientra più sul thriller psicologico riavvicinandosi così ad uno stile che ho già trattato con Native.

Quali sono state le difficoltà di realizzazione?
E’ un film che è stato realizzato in tempi strettissimi e in condizioni molto dure, devo ringraziare il mio cast dal primo all’ultimo attore se oggi questo film potete vederlo in sala. Abbiamo girato sull’Etna di notte, le condizioni climatiche, gli spostamenti e tanti altri problemi erano duri da affrontare, ma il loro calore mi ha dato la forza per riuscire a terminare il film. In particolare, ogni volta che vedo la locandina del film penso al vero ruolo principale di questo film, che è quello di Elisa Franco, lei ha interpretato il fantasma ed è stata sempre presente sul set anche nei giorni in cui non aveva convocazione, mi ha aiutato tanto.

Come partorisce l’idea di partenza di un film e quali sono i suoi registi di riferimento? Ci sono colleghi con i quali le piacerebbe collaborare?
Sia per Native che per Midway l’idea è stata adattata ad una richiesta specifica di produzione, e in questi casi cerco di trovare la formula giusta per inserire una storia interessante all’interno di un contesto già creato. Molte volte dalle emozioni che mi trasmette un brano ne tiro fuori un incipit che poi sviluppo in una storia. I miei registi di riferimento sono tanti, cerco di imparare da ognuno qualcosa di diverso. Sam Raimi, Peter Jackson, Martin Scorsese e tanti altri registi sono spesso punti di riferimento. Tra gli attori italiani mi piacerebbe lavorare con due grandissimi del nostro cinema Sophia Loren e Giancarlo Giannini. Mi piacerebbe vedere all’opera grandi registi italiani come Benigni e Tornatore.

Che cos’è che l’affascina maggiormente del genere horror? Crede che continuerà su questo filone o le piacerebbe anche sperimentare qualcosa di diverso?
Ogni qualvolta mi viene chiesto di intraprendere un’avventura horror, la tramuto in un thriller –horror. Amo di più il thriller e cerco così di smussare il più possibile la componente horror, arricchendo l’aspetto misterioso delle mie storie. Farò qualcos’altro, ne sono certo, non subito però. Al momento non ho avuto modo di trovare il vero genere che mi identifica come regista, spero che con la mia prossima opera possa mostrarvi un aspetto di me che non ho ancora avuto la possibilità di esprimere.

Quanta stima ha del pubblico italiano e a cosa crede che sia dovuta questa crisi di incassi al botteghino? E’ solamente un problema di crisi economica?
Credo che l’affluenza del pubblico nelle sale sia diminuita negli ultimi anni per una serie di cause. L’evoluzione dei sistemi di riproduzione e di distribuzione tramite network e satellite in continuo sviluppo stanno sempre più contribuendo a non far frequentare le sale. La crisi economica è anche il motivo per cui ormai una famiglia preferisce vedere un film da casa invece che andare al cinema. I costi di una serata al cinema per una famiglia sono molto elevati, e con un quarto della spesa puoi avere abbonamenti che ti permettono di vedere più film direttamente da casa. Riguardo il pubblico italiano è un bel pubblico, forse un po’ “schiavo” del sistema di distribuzione che vincola un po’ la sua scelta. Non siamo un popolo che frequenta molto i cinema, stiamo più davanti alla televisione, ma credo che la rete stia sconvolgendo un po’ le certezze degli ultimi anni.

C’è qualsiasi altra cosa che le piacerebbe aggiungere?
Chiudo invitando il pubblico italiano ad andare a vedere Midway tra la vita e la morte dall’11 aprile al cinema! Buona visione!

di Rossella Maiuccaro


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