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Intervista a Massimiliano Panarari

Creato il 16 maggio 2011 da Mdeconca

Massimiliano Panarari ha pubblicato per l‘Einaudi nel 2010 un libro che ha avuto un notevole successo: L’egemonia sottoculturale. L’Italia da Gramsci al gossip. Si tratta di un’analisi della cultura italiana di oggi, sotto forma di pamphlet, come ha precisato in una nota di commento alla mia segnalazione, soprattutto utile bussola per chi chiude un libro ed accende la TV. Dove siamo arrivati? A cosa ci ha portato la nostra civiltà della comunicazione? Il panorama tratteggiato non è dei più rosei, segnato da una serie di imbarbarimenti che da Drive In portano ai salotti di Signorini.

Il prof. Panarari, che è già intervenuto sul mio blog commentando le mie note, ha accettato di rispondere a qualche domanda.
Nel pubblicare non posso che ringraziarlo per la sua disponibilità.

1)   Dal suo libro emerge che gli intellettuali sono stati esiliati dai grandi media, salvo alcune eccezioni. Un po’ per scelta, un po’ per necessità. Ma facciamo un passo indietro: chi sono oggi, secondo Lei, gli intellettuali e cosa ci si deve aspettare da loro?

Le dico chi dovrebbero essere a mio giudizio: dei portatori di riflessione e spirito critico, degli analisti simbolici (come direbbe l’economista statunitense Robert Reich) capaci di elaborare mondi, ma anche di introdurre la “giusta distanza” rispetto alle cose e, soprattutto, di disgelare gli assetti di potere. Trovo molto utile e significativa, quindi, per venire al caso italiano, la riflessione avviata da Alfabeta2 sul tema, giustappunto, degli intellettuali, così come il lavoro che, da tempo, in modo controcorrente, conduce la rivista diretta da Goffredo Fofi Lo straniero, e quello di vari siti come Nazione Indiana o, nuovamente, quello dialfabeta2.
2) Esistono trasmissioni veramente culturali, scritte da intellettuali di nicchia relegati in secondo piano (penso a “Per un pugno di libri”, “Glob. L’osceno del villaggio”). In radio invece la situazione cambia: anche le trasmittenti private si prodigano in programmi di approfondimento. Finirà presto l’era della radio di cultura/interesse o, per il fatto stesso di non interessare un vasto pubblico, si salverà?

Concordo con lei sulla qualità delle trasmissioni che cita, fatte bene, originali e non unicamente “didattiche”, ma capaci di utilizzare nel modo giusto la logica e il linguaggio del tipo di medium che le diffonde; a dimostrazione, checché ne pensino alcuni corifei dello stato delle cose, che la televisione consente anche una programmazione di qualità lontana dalla triade imperante “sesso, violenza, sberleffo (apparente) dei potenti”. Penso che la radio – un medium “freddo”, secondo la famosa distinzione di Marshall McLuhan – per le caratteristiche del mezzo (e anche, non da ultimo, per il fatto di non convogliare gli interessi economici che si appuntano sul piccolo schermo), per un verso, sia una risorsa importante per chi non si rassegna all’attuale stato di cose del sistema mediatico italiano e che, per l’altro, a meno di precise decisioni politiche, si salverà, come per l’appunto rimarcava lei.

Entriamo, con questa sua domanda, nel pieno di una questione essenziale, ovvero la dimensione del servizio pubblico, nella fattispecie radiotelevisivo.
3) Intellettuali come Eco, Arbasino, Dorfles, sono da considerarsi “integrati” nel sistema?

Sono persone, assai diverse tra loro, la qualità della cui produzione intellettuale e culturale è elevata e, soprattutto nel caso di Eco e Dorfles (dei quali sono lettore) generatrice di riflessioni critiche sul sistema (voglio citare l’ultimo libro di Piero Dorfles al riguardo, che consiglio caldamente, “Il dinosauro). E quindi avercene, mi viene da dire, di intellettuali di questo livello e con queste caratteristiche.
4) Nel suo libro si fa l’esempio della televisione e si salta tutto il contesto ‘canoro’: in Italia in fondo permangono ancora forti radici cantautorali che stanno permettendo un passaggio di cultura. Certo mio figlio non ascolterà tanto facilmente Guccini, De André …  La sua è stata una scelta? Non pensa che valga la pena approndire l’affermazione della sottocultura anche in ambito musicale, a partire da fenomeni quali “x-factor” e “amici” ? (Si tratta comunque di due trasmissioni differenti!)

Nel libro L’egemonia sottoculturale mi sono concentrato sulla televisione – e, quindi, anche su trasmissioni come X Factor e Amici (programmi che rispondono a una logica di format a mio giudizio comune) come espressioni dell’ideologia dell’estetica del talent (show), assai più che della promozione del talento autentico (con l’etica del sacrificio che esso comporta) perché, come dovrebbe apparire chiaro a tutti (salvo coloro che fingono, per ragioni strumentali, di ignorarlo) la tv ha svolto un ruolo decisivo nell’edificazione della Nazione. Quello che non hanno potuto Mazzini, Garibaldi e Cavour è riuscito al tubo catodico; ora, a volte la tv ha saputo essere una buona insegnante, ma quando è stata “popperianamente” utilizzata come “cattiva maestra”, gli effetti, sono stati dirompenti. E penso che sia indispensabile tornare su questo punto, innanzitutto.

Penso, però, anche che lei abbia assolutamente ragione, vista la penetrazione della musica pop nella nostra vita quotidiana e la sua assoluta centralità per le giovani generazioni. E che quindi occorra estendere la riflessione sull’egemonia sottoculturale anche all’ambito della musica pop e alle sue varie manifestazioni.

5) Nel concludere il suo saggio, c’è una vena di ottimismo. Ma moriremo tutti ‘ignoranti’, ovvero gossippari, o possiamo aspettarci di più?

Ritengo che la vita e la politica rappresentino l’arte del possibile e che, dunque, gli esiti non siano mai davvero completamente, e fino in fondo, predeterminati. Però, certamente, le cose non accadono per caso, e, quindi, per evitare di sprofondare completamente nella gossipcrazia e nell’universo del gossipopolare (che ha sostituito il nazionalpopolare), bisogna agire e contrastare ovunque possibile il fenomeno. E, in primis, questo dovrebbe essere il compiuto di chi pensa e fa politica a sinistra. Si è perso troppo tempo, permettendo l’instaurazione di un regime sottoculturale che amplifica i già numerosi problemi di questo nostro complicatissimo Paese. Ma, per quanto tardi, si può e si deve operare per combattere questa espressione italiana del lunghissimo (e nefasto) ciclo neoliberale che domina dalla fine degli anni Settanta l’Occidente (e il resto del pianeta).

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MASSIMILIANO PANARARI
Nato a Reggio Emilia il 14/12/1971, svolge attività libero-professionale di consulente di comunicazione pubblica e politica. Collaboratore presso la cattedra di Teorie e tecnica della comunicazione pubblica dell’università Iulm di Milano e docente Maspi. Consulente per la saggistica di Fazi editore; è stato responsabile della comunicazione e delle relazioni esterne di Ervet – Emilia-Romagna Valorizzazione Economica Territorio SpA (l’Agenzia di sviluppo territoriale emiliano-romagnola).
Il curricolo continua sulla pagina del COM-PA al quale il prof. Panarari parteciperà in marzo.

Segnalazione: Salone Europeo della Comunicazione Pubblica nel terzo millennio (Bologna, 1-2-3 marzo 2011)


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