AT: Bentornato su Fralerighe. Dopo due interviste multiple, ecco finalmente una singola.
MdG: Un piacere ritrovarvi, e onorato dalla… solitudine!
AT: L’intervista riguarda i due romanzi aventi come protagonista l’ispettore Lojacono. Pronto?
MdG: Sempre.
AT: 1) Come mai ha scelto di dar vita a un investigatore siciliano per raccontare la Napoli contemporanea?
MdG: Sono convinto che una realtà complessa come la mia città non possa essere compresa da un napoletano, troppo dentro le dinamiche per poterle osservare con obiettività di giudizio, né da un settentrionale, troppo lontano dal modo di affrontare la vita; un meridionale non napoletano (come Ricciardi, che è cilentano, o lo stesso Lojacono) ha secondo me la prospettiva giusta per poter vivere la città come voglio che la viva.
AT: 2) A volte si ha l’impressione di qualche richiamo al Montalbano di Camilleri. Semplice suggestione o c’è una precisa volontà di omaggiare il commissario fittizio più famoso d’Italia?
MdG: No. Credo di avere una visione del romanzo nero radicalmente diversa da quella del Maestro, che ha cambiato la storia del genere e che adoro, ma non credo di avere in comune altro che la serialità delle storie e la radicata meridionalità delle stesse.
AT: 3) In questi due romanzi racconta la Napoli dei giorni nostri. A livello narrativo, cosa cambia rispetto a scrivere della città degli anni ‘30?
MdG: Le due città sono radicalmente diverse: negli anni ’30 Napoli era un coacervo di comunità di quartiere, in cui ci si conosceva tutti e si vivevano insieme lutti e nascite, come separazioni e unioni. La città attuale, pure infinitamente più avanzata soprattutto sotto il profilo sanitario, è un arcipelago di solitudini. Chiaramente questo cambia enormemente la posizione del narratore, che deve tenere conto della differenza di clima.
AT: 4) Qual è l’idea alla base de Il metodo del Coccodrillo? Che ci dice riguardo la scrittura di questo romanzo?
MdG: Volevo avvicinarmi al contemporaneo, anche per testare la mia capacità di raccontare l’attualità. Mi è venuto in mente il terribile film di Monicelli, tratto da un bellissimo romanzo di Cerami, Un borghese piccolo piccolo, con l’immenso Alberto Sordi, e ho voluto tener presente quella determinazione e quella sete di vendetta in un “invisibile”, uno dei milioni di esseri anonimi che percorrono le nostre città.
AT: 5) Il rapporto tra genitori e figli ha una grande importanza all’interno di questo romanzo. Cosa le ha lasciato, a livello emotivo, l’esplorazione del lato più oscuro di questo legame fortissimo?
MdG: E’ una costante della mia narrativa. Se si scrive di sentimenti, allora i più importanti tra essi non possono mai mancare. Io soffro moltissimo ogni volta che mi trovo a raccontare di innocenti, deboli e indifesi che patiscono la violenza e la prevaricazione.
AT: 6) La sua è una scrittura che concede un ampio spazio alle emozioni dei personaggi. Come lettore ho avuto modo di notare che, nell’ambito del romanzo criminale, generalmente si opta per un registro più freddo, spietato. Lei cosa ne pensa? Le piace quel tipo di narrazione ma non le viene naturale come scrittore, o invece non le piace e preferirebbe leggere romanzi scritti come i suoi?
MdG: Credo che ognuno abbia le sue storie, e una voce personale per raccontare. Rispetto ogni scrittore, e le scelte narrative che ognuno compie in autonomia e in piena onestà intellettuale. Non amo molto, da lettore, un uso sensazionalistico ed estenuato della violenza. Credo che un delitto per romanzo sia più che sufficiente, e l’efferatezza conta per l’emozione che la muove più che come effetto speciale.
AT: 7) Leggendo questo romanzo si ha la netta sensazione che nessuno dei personaggi sia candido o completamente marcio. Il killer, poi, è mosso da motivazioni che risultano comprensibili ai limiti della condivisione, per quanto sia possibile condividere l’omicidio. Secondo lei perché in molti romanzi i cattivi sono sempre più spesso esseri disumani, calcolatori e “privi” di emozioni? Va di moda il killer di ghiaccio?
MdG: Il manicheismo narrativo, tutto il bene e il male da una parte, è una trappola in cui i romanzieri cadono spesso, purtroppo. Personalmente credo che sia necessario avvicinarsi alla realtà, e nella realtà il bene e il male assoluti non esistono. D’altra parte io le mode non le ho mai seguite…
AT: 8) Ci racconta un aneddoto particolare legato a questo romanzo?
MdG: Ricordo con grande affetto i molti messaggi in cui i lettori mi ringraziano per il racconto e mi “rimproverano” per il finale. Credo che sia il miglior complimento per uno scrittore di romanzi neri.
AT: 9) Passando a I Bastardi di Pizzofalcone: come sono nate le storie che lo compongono? E perché ha scelto di scrivere un romanzo corale?MdG: Ho un’immensa ammirazione, ormai più che quarantennale, per i romanzi del grandissimo Ed McBain, inventore dell’87° distretto scomparso nel 2005. Ho sempre sognato di portare una squadra di protagonisti, tutti di pari dignità, in una città che come la mia prevede tante realtà coesistenti.
AT: 10) Ognuno dei Bastardi ha una sua storia personale, una sua credibilità. Ci descriverebbe ognuno di loro con due/tre aggettivi?
MdG: Il commissario Palma è ottimista e sensibile; Ottavia è inquieta e combattuta; Alex Di Nardo è introspettiva e irrequieta; Lojacono è determinato e bravissimo; Romano è forte e fragilissimo; Pisanelli è ammalato e testardo; Aragona è scorretto e coerente.
AT: 11) Ma quel pazzoide di Aragona da dove è venuto fuori?
MdG: Aragona rappresenta una certa maniera superficiale e televisiva di intendere la realtà. Mi piace, perché sotto una scorza di becera ignoranza ha una sua sensibilità affettiva, che verrà fuori un po’ alla volta.
AT: 12) Ci sarà un seguito dei Bastardi?MdG: Ma certo. Lo sto già scrivendo, uscirà per Natale (spero!) e si chiamerà “Buio per i Bastardi di Pizzofalcone”.
AT: 13) Nel giro di pochi anni ha vinto diversi premi ed è diventato uno dei giallisti italiani più apprezzati. Come ha vissuto e come vive tutt’ora questo cambiamento nella sua vita?
MdG: Mi gratifica moltis-simo soprattutto l’affetto che sento attorno a me ogni volta che incontro i lettori, ma mantengo la consapevolezza che, improvvisamente com’è co-minciato, tutto può dissolversi in una bolla di sapone.
AT: 14) C’è un aspetto della scrittura che proprio non le piace? E un aspetto legato alla fama?
MdG: La scrittura mi diverte, ma contempla un’attività di ricerca che non sempre è piacevole, soprattutto per uno pignolo come il sottoscritto. Per la fama, ci sono momenti in cui essere riconosciuto è piuttosto scomodo. Ma tutto è ampiamente sopportabile, direi.
AT: 15) Progetti per il futuro?
MdG: La serie dei Bastardi è stata acquistata per la TV e dovrò collaborare alla sceneggiatura di quattro puntate; in primavera uscirà il prossimo Ricciardi; nell’antologia di Sellerio per Natale c’è anche un mio racconto (prima volta che un autore di un altro editore esce in questo splendido contesto). Ti basta?
AT: Grazie per la chiacchierata!
MdG: Grazie a voi per l’attenzione, e un forte abbraccio a tutti.
Maurizio de Giovanni e Aniello Troiano